Mosse locali.

Prima di iniziare, volevo informarvi che gli scorsi articoli hanno attratto qui una discreta massa di farlocchi, e sto facendo mass deletion di commenti: se nel click-click-click qualcuno dei vostri viene perso, mi spiace. Non ho tutto il tempo che vorrei per fare un lavoro accurato. Penso che la tempesta si esaurira’ a giorni. Volevo invece notare come finalmente stia avvenendo qualcosa di rilevante nel mondo delle banche italiane.

Nei mesi scorsi, Draghi ha commesso un grosso errore di condotta, ritenendo di darsi una certa patina di imparzialita’ rimanendo fuori dalle polemiche tra banche, imprenditori e Tremonti. Lo definisco errore perche’ se da un lato e’ vero che un arbitro deve essere imparziale e deve evitare ogni malinteso a riguardo, dall’altro uscire dal campo e andare al cinema non e’ sintomo di imparzialita’, ma semplicemente e’ sintomo di assenza dell’arbitro.

In definitiva, un buon arbitro non e’ uno che interviene poco: e’ uno che interviene bene. Il basso profilo di per se’ non e’ un indice di bonta’, anzi.

Lo dico perche’, a tutt’oggi, Draghi ha mostrato di guardare nella direzione sbagliata mentre sotto i suoi occhi avvenivano dei fenomeni strani. E’ vero che le banche italiane sono state poco impattate da titoli tossici,  e semmai sono state impattate dalla crisi di liquidita’: c’e’ da dire pero’ che alcuni dei comunicati aziendali , in questi giorni, non sono del tutto credibili.

Se io vado a riassumere i comunicati di bilancio delle principali banche e delle principali entita’ finanziarie italiane, sembra quasi che la finanza sia stata l’isola felice dell’economia, perche’ tutti gli enti vantano andamenti tutto sommato soddisfacenti: il confronto con il resto dell’economia e’ abbastanza desolante. Ci sono a quel punto due possibilita’:

  1. Tali comunicati dicono il vero. In tal caso si e’ verificato uno scollamento pesante tra mondo della produzione e mondo della finanza. Se il mondo della produzione perde, e quello della finanza non perde altrettanto, possiamo sapere quale punto della catena sia saltato? Accettando quei bilanci, Draghi dovrebbe iniziare ad investigare chiedendosi per quale motivo il mondo della finanza non sia stato solidale con quello della produzione: un simile scollamento puo’ corrispondere ad uno “spalmare” le perdite sulle aziende, o semplicemente alle conseguenze di un distacco tra finanza e produzione che non promette nulla di buono. Lo scopo storico delle banche e’ quello di finanziare il mondo della produzione, ed essendo le banche delle aziende questo implica la condivisione di un certo ammontare del rischio di impresa. Se il mondo della finanza appare cosi’ sconnesso nel momento in cui il rischio si materializza, uno dei due requisiti e’ saltato: o le banche non finanziavano le imprese neanche prima, o spalmavano il loro rischio d’azienda sulle imprese stesse. Nella seconda ipotesi, questo riduceva la competitivita’ delle aziende stesse: a livello sistemico, e’ esattamente nel mandato residuo di Bankitalia investigare questo. La BCE non ha tale mandato, che e’ rimasto alle banche nazionali.
  2. Tali comunicati NON dicono il vero. Sia chiaro, quando parliamo di entita’ finanziarie il limbo tra la cosmesi e la truffa e’ cosi’ ampio che un bilancio puo’ essere “cosmetico” senza per questo essere illegale: per questa ragione ci sono entita’ preposte al controllo di tali bilanci e della loro credibilita’. Dal momento che il meccanismo del rating si e’ mostrato inaffidabile con questa crisi, la domanda e’: chi controlla? La risposta spontanea dovrebbe essere “Bankitalia, ABI e Consob”. Ovviamente non ci aspettiamo che ABI controlli i propri soci, per via del palese conflitto di interessi: quale credibilita’ avrebbe ABI che certifica la trasparenza dei propri soci? Avrebbe credibilita’ in senso negativo, se sgamasse qualcuno che fa il furbo, e se lo facesse diverrebbe credibile (forse) anche nel certificare positivamente: in assenza di casi negativi, quelli positivi lasciano il tempo che trovano. Consob, sebbene potenziata, e’ abbastanza limitata alla relazione tra comunicazioni sociali ed effetti di borsa; il suo campo di intervento non e’ ancora quello di un controllore di aziende, bensi’ di un controllore della borsa. Rimane Bankitalia, alla quale effettivamente e’ assegnato un compito di vigilanza riguardo ai rischi: e un bilancio poco trasparente o “cosmetico” va ad impattare proprio la valutazione dei rischi.

In definitiva , Draghi sta mantenendo la promessa di un atteggiamento molto “anglosassone” riguardo al mercato, dimenticando pero’ che il modello anglosassone si sia dimostrato fallimentare, e dimenticando -ripeto- che un buon arbitro non e’ necessariamente uno che interviene poco, ma uno che interviene bene.

Solo oggi Draghi ha rimbrottato alle banche di aver chiuso i rubinetti del credito alle aziende: questa repentina chiusura , che ormai dura da un anno, potrebbe spiegare in che modo le banche abbiano potuto esibire bilanci che, quando non sono buoni, sono sempre migliori di quelli del resto del mondo. Ma cosi’ facendo sono venute meno al loro compito fondamentale, che e’ quello di finanziare le aziende.

Il motivo per il quale e’ avvenuto si e’ manifestato subito, perche’ “in cambio” Tremonti ha chiesto ad ABI ed alle banche di lavorare al fine di ridurre il carico di sofferenza sulle aziende. Il che e’ semibuono, per diversi motivi.

Il primo motivo e’ che si ripercuotera’ sulla produzione partendo dalle grandi aziende, che di fatto non rischiavano nulla: anche se sofferente, una grossa SpA puo’ “trattare” il proprio debito, specialmente se quotata in borsa quanto le banche che la finanziano. Ma le grosse aziende in Italia hanno piu’ credito dai fornitori che dalle banche: si tratta di uno scollamento pericolosissimo riguardo al quale Draghi dovrebbe dire qualcosa, e Tremonti agire di piu’.

Se ad anticipare soldi sotto forma di merci e lavoro sono sempre i fornitori, normalmente aziende piu’ piccole, il risultato e’ che (come succede oggi) il sistema bancario vede tutto il rischio di impresa proiettato sulle piccole aziende. Questo non solo destabilizza il sistema bancario, ma lo svuota: sebbebe alle grandi aziende possa sembrare che dilazionare il pagamento a 270/360 giorni, come stanno facendo, sia un vantaggio, dall’altro canto devono rendersi conto che le piccole aziende pagano subito. Questo le mette in sofferenza e le espone al trattamento vampiresco che le banche applicano ai sofferenti: per sopravvivere, dovranno alzare i prezzi, e poiche’ questo fenomeno e’ diffuso, il mercato potra’ farci poco: nessuno si comportera’ diversamente, e in definitiva il problema si sara’ solo spostato.

Ci sono due persone che dovrebbero muoversi per frenare questo fenomeno: Draghi, dal punto di vista del capo di Bankitalia, dovrebbe iniziare a lamentarsi piu’ forte del fatto che questo giro di fatturazioni ritardate (spesso, a dopo la stesura dei bilanci patrimoniali! (1) )di fatto sia un circuito di credito parallelo: ci sono fornitori che gestiscono quantita’ di credito, sotto forma di pagamenti dilazionati, che sono paragonabili a quelli di una piccola banca. Draghi, come autorita’ di vigilanza, avrebbe ben motivo di lamentarsi di questo.

Tremonti, dal canto suo, non puo’ permettere un simile sbilanciamento del rischio di impresa durante una crisi del genere, e avrebbe tutte le ragioni per imporre un regime contabile che sia punitivo nei confronti di questa pratica: essa e’ ragionevole verso imprese grandi, perche’ le grandi commesse hanno tempi di pagamento lunghi, ma non e’ tollerabile verso piccoli fornitori per via dello spostamento e della parcellizzazione del rischio e del debito.

In definitiva, quindi , vedo che si inizia a parlare di mancanza di credito solo ad un anno dalla chiusura dei rubinetti, e come se non bastasse per farlo Draghi ha aspettato che Tremonti desse qualcosa in cambio alle banche, cioe’ un’apertura di credito politico. E cosi’, ha sbagliato due volte: la prima volta, col suo lungo silenzio, ha sbagliato confondendo un arbitro assente con un arbitro imparziale. La seconda volta, entrando in campo, ha di fatto appoggiato ABI contro il governo, mostrando di NON essere imparziale.

A che cosa e’ dovuto, tutto questo?

Allarghiamo il campo: i manager italiani sono strapagati, a parita’ di responsabilita’, rispetto ai manager stranieri. Che abbiano ruoli vicini allo stato, come il CEO di Trenitalia, o meno, le retribuzioni sono molto alte. Stranamente, pero’, non c’e’ la coda di manager stranieri che vengono in Italia a fare concorrenza ai manager italiani. C’e’ una forte emigrazione di manager italiani che emigrano con un certo successo, ma non esiste (nonostante alcune posizioni siano notevoli ) quasi un mercato di manager stranieri che vengono qui.

Alcuni ci provano, certo, ma durano poco: il loro errore e’ di conoscere davvero poco la complessita’ dell’italian way. Nel mondo anglosassone ed in generale europeo, il lavoro non e’ una cosa personale. La peggiore cazziata che ti possano fare, fuori dal lavoro, e’ irrilevante, e nessuno si aspetta che tu serbi rancore o che ti vendichi. Io mi sono vendicato, e piuttosto duramente, diverse volte contro gente che mi aveva rotto le scatole, e diversi sono rimasti stupiti. Fermo rimanendo che in certi posti essere temuti permette di essere rispettati, rimane il fatto che questi manager non sono abituati alle vendette. “Non c’e’ niente di personale”, in italia, non funziona: lavorando in questo modo i pochi manager stranieri che ho visto si costruiscono attorno un muro di astio e di rancori, i quali salgono di livello sinche’ il manager stesso non viene “tagliato”.

Il secondo problema dei manager anglosassoni e’ che tendono a competere e fanno poco gregarismo. A pochi mesi dal mio arrivo qui, (e io non sono un manager) da bravo italiano ho costruito il mio “italian network”, che consiste in una serie di contatti esclusivamente italofoni , ai quali chiedere “procedure particolari” o informazioni “confidenziali”. Loro non concepiscono la rete di relazioni in questo modo: la rete di relazioni e’, effettivamente, una rete utile per stringere alleanze positive, ma non funziona come aggregatore di un branco.

Quando viene fatto un torto a qualcuno del gruppo italico, normalmente la voce si sparge,  se il torto e’ stato fatto usando mezzi “bassi” o considerati tali, il gruppo si coalizza e la persona otterra’ solo diffidenza e minore collaborazione da tutti. Il manager straniero viene da un mondo ove le valutazioni sono sempre individuali, e dove le performance che contano sono sempre individuali, e dove la competizione e’ sempre individuale. Non e’ abituato ad un ecosistema di alleanze sotterranee , basate su rapporti personali, le quali producono cordate e branchi piuttosto coesi verso chi “sgarra” violando territori invisibili o facendo un torto a qualcuno che, dirigendo una cordata, ha il problema della credibilita’ personale e quindi dovra’ vendicarsi.

Per il manager straniero, l’ecosistema italiano e’ incomprensibile, ostile, chiuso, mortale nel lungo termine. Quando Medvedev ha specificato che i rapporti personali non sono serviti a ricostruire rapporti tra USA e Russia(2) ha riportato la cosa ad una estetica anglosassone: egli sa di sicuro che questo messaggio verra’ capito dagli americani, ma sa che (la Russia non e’ molto diversa dall’italia in questo) adesso , sottobanco, dovra’ dare qualcosa in cambio a Berlusconi.

Questo modo di muoversi a piu’ livelli (istituzionale, personale, gregario, competitivo) e’ sconosciuto per moltissimi versi a chi viene dal mondo anglosassone: le imprese italiane sono, per i manager stranieri, delle trappole mortali. Occorre capire una cultura che non capiscono, e non c’entra la formazione scolastica ma quella personale.

Draghi appare come un manager anglosassone, e sembra aver dimenticato questo semplice fattore: la sua ostinazione a comportarsi come se fosse nella City lo costringe ad essere assente per scampare al gioco delle cordate e delle vendette. Cosi’, l’unica linea di management anglosassone che funzioni in Italia e’ la completa assenza: in questo modo di evita di pestare piedi, di causare risentimenti, di sfidare elementi alfa, di calpestare confini invisibili che solo i ben informati conoscono con precisione.

D’altro canto, pero’ , come ho detto un buon arbitro non e’ un arbitro che interviene poco, ma uno che interviene bene: aprire a Tremonti sullo scarso credito solo al prezzo di un’apertura politica di Tremonti a trattare con ABI puo’ sembrare una politica bilanciata, ma Tremonti sinora ha solo pagato pegno, e finche’ non si materializzera’ un accordo con ABI dovra’ costruire un deterrente contro Draghi allo scopo di inchiodarlo a pagare il prezzo.

Draghi sta facendo cose che sono comprensibilissime per un pubblico anglosassone, nella misura in cui non capendo l’Italia essi pensano che il suo aplomb sia stato un arbitraggio equilibrato in una situazione di poca trasparenza: quello che pero’ il pubblico ignora e’ che in italia dagli arbitri ci si aspetta una presenza in campo piu’ attiva, con tutto il carico di relazioni e compromessi che questo comporta. Questo Draghi lo sa di certo, visto il suo passato, ma evidentemente ha deciso di giocare per un pubblico che non e’ italiano: ognuno sceglie se scrivere un curriculum in italiano, in inglese o entrambe le cose.

E’ possibile che il pubblico anglosassone lo classifichi come un ottimo professionista, e questo giovera’ alla sua futura carriera all’estero: in Italia, questo atteggiamento e’ controproducente, perche’ l’arbitro assente non passa per equilibrato, in quanto mancando il gatto i topi ballano, e nella complessa ragnatela di relazioni di spazio per ballare ce n’e’ sin troppo. L’arbitro in Italia interviene proprio per regolare questo: le sue azioni magari risultano incomprensibili ai meno informati, ma conoscendo la mappa di relazioni esse hanno senso. La semplice assenza permette alle cordate di disporsi secondo equilibri di forza qualsiasi, e di spartirsi la torta secondo gli stessi equilibri, che appaiono prepotenti.

Il ruolo dell’arbitro italiano non e’ quello di garantire dei risultati che siano “fair” ma semplicemente quello di limitare gli eccessi del vincitore, garantendo una rendita ragionevole a chi ha posizioni dominanti, pur senza permettere che di tale rendita si abusi al punto da istigare alla violazione di “regole non scritte”: le regole reali del gioco , in Italia, non sono scritte. Esse vengono rispettate da tutti nella misura in cui, in un modo o nell’altro, forniscono qualche garanzia a tutte le parti. Se si permette un abuso di posizione da parte del vincitore, il perdente iniziera’ a pensare che violare regole non scritte, dopotutto, sia conveniente. E da qui l’ecosistema crolla per la fine delle regole.

Ad impedire questo, nel nostro paese, e’ l’arbitro. Ma sinora, Draghi non ha fatto nulla di tutto cio’, preferendo una politica che piacera’ molto al pubblico anglosassone,c he giovera’ alla sua carriera estera, ma onestamente non vedo in che modo sia stato utile al paese.

Paese che , dopotutto, gli paga lo stipendo.

Uriel

(1) Se avete avuto un’azienda, avrete avuto clienti che pagano “dopo il bilancio”, o che non pagano adesso perche’ “stanno chiudendo il bilancio”. In questo modo, essenzialmente, pubblicano bilanci ove, allo stato patrimoniale, figurano soldi che usciranno il giorno dopo. Questi bilanci cosmetici servono poi per chiedere/confermare i fidi bancari.

(2) Palesemente falso, ed e’ questo il motivo per il quale Obama ha dovuto pagare il ticket.

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