Teoria della montagna di merda, II.

Teoria della montagna di merda 2

Di Uriel Fanelli, 13 febbraio 2014

E’ passato molto tempo da quando ho scritto per la prima volta sulla “teoria della montagna di merda” (uno dei miei post piu’ citati: La teoria della montagna di merda®) e oggi sento il bisogno di aggiornarla, perche’ ho trovato diciamo un nucleo, un punto della montagna di merda che e’ sorprendentemente duro. O meglio, piu’ di un punto, almeno due. Ma occorrono altre due parole.

Nel primo post ho scritto che mettersi a debunkare tutta la merda di internet sia inutile, dal momento che di merda ne verra’ comunque prodotta molta piu’ di quanta non possiate spalarne. Ci sono quattro fattori in gioco, che riassumerei cosi’:

1) Il cittadino è onnisciente. Nonostante i fiumi di retorica da cui siamo inondati, la democrazia non è un valore in sé, bensì semplicemente un metodo mediante il quale un corpo sociale sceglie i propri valori, la proprie leggi, il proprio governo. Potrebbe sceglierli in mille altri modi; in regime democratico, il corpo sociale attua tale scelta attribuendo al cittadino la possibilità di esprimere il proprio volere in una determinata occasione (le elezioni) e con un determinato sistema (il voto). Ogni cittadino è chiamato a votare e col voto ogni cittadino esprime implicitamente una valutazione, un giudizio, sul governo esistente o su quello che auspicherebbe. Ed ecco che si nota qui il primo postulato dello spirito democratico: il cittadino è onnisciente, il cittadino ha conoscenze sterminate. Poiché infatti l’operato del governo, e della legge in generale, copre pressoché ogni aspetto dell’esistenza umana, poiché il governo avrà una politica estera, una politica della scuola, una politica economica, una politica della famiglia, una politica dello sport, una politica ambientale, ecc., il cittadino – chiamato a valutare su questi ambiti il suo governo – si suppone che sia pressoché onnisciente, che sappia esprimere un’opinione (e si può immaginare quanto fondata!) su una serie di fatti che va dalla guerra in Iraq all’inquinamento elettromagnetico, dai Parmalat bond agli asili nido, dai rapporti con la Russia alle politiche per incentivare l’occupazione. Si chiede insomma al cittadino comune di saperne di più di quanto ne sapevano i grandi statisti del glorioso passato europeo: in fondo Richelieu era un gran volpone in politica estera, ma in politica interna ed economica forse non era poi questo genio, forse Colbert era un mago dell’economia ma in politca estera si trovava un po’ spaesato; il cittadino moderno no, il cittadino moderno, lui, sa tutto, ma proprio tutto di tutto. Quanto questo aspetto dello spirito della democrazia sia in totale opposizione alla specializzazione crescente in ogni lavoro scientifico degno di tal nome, è superfluo notarlo.

Quello che voglio invece notare è un’altra cosa. Al cittadino hanno insegnato (e per primi glielo hanno insegnato quei tuttologi, quei sommi maestri dell’orbe universo che sono i giornalisti) che lui sa tutto: è facile allora che la convinzione di sapere tutto penetri in profondità nella sua mente, che lui si convinca di poter dare lezioni di storia agli storici e di scienza agli scienziati. Se io so tutto, ovunque la mia mente volga il suo occhio, troverò qualche vecchia idea da correggere, qualche nuova scoperta da fare, troverò qualcosa da innovare, da cambiare, da modificare; io so tutto, se non in atto certo perlomeno in potenza, e quindi ogni disciplina mi è aperta, in ogni disciplina posso dire la mia alla pari di chi in essa abbia trascorso una vita di ricerche.

2) Il voto è sintesi. Alle elezioni il cittadino è chiamato a dare una valutazione “tuttologa” sul governo passato e su quello che lui auspica. Vediamo ora come sia chiamato a dare questa valutazione. Lo strumento della democrazia è il voto, un singolo voto che il cittadino attribuisce al partito o allo schieramento di sua preferenza. Pensiamoci, si potrebbe votare in mille altri modi; si potrebbe ad esempio chiedere ai cittadini di esprimere delle “pagelle”, di dire “a Tizio attribuisco 7 voti su 10, a Caio attribuisco 2 voti su 10, a Sempronio attribuisco 0 voti”; lo strumento della democrazia è invece un voto unico, mediante il quale il cittadino sintetizza tutto il proprio giudizio sullo sconfinato campo della politica. Si tratta a mio parere di una sintesi impressionante: tutta quell’enorme serie di conoscenze di cui il cittadino si suppone in possesso, tutta quell’enorme serie di valutazioni che si suppone il cittadino compia, deve essere compressa, condensata, sintetizzata nella semplice nuda espressione di un unico voto. E tale sforzo di sintesi comporta che ogni percezione degli aspetti fini delle questioni, ogni lettura in filigrana degli eventi, debbano essere impietosamente sfrondate. Il voto è un impoverimento delle questioni; si trova idealmente al polo opposto rispetto allo spirito analitico che la cultura deve possedere, rispetto alla quieta paziente tenace analisi dei fatti; certo, le sintesi possenti sono uno degli aspetti più attraenti della scienza e della cultura, ma queste sintesi non sono mai gratuite, dietro di esse c’è sempre una meticolosa opera di analisi, di scomposizione, giù giù fino ad arrivare al banale number-crunching della fisica o alle tediose cronologie della storiografia. Le sintesi gratuite sono infondate, le sintesi gratuite sono la fuffa a cui ci ha abituato il sistema del voto unico. Superfluo dire che, nei loro giudizi trancianti e nelle loro sbandierate certezze sono fuffa anche tutta la pseudostoria e la pseudoscienza.

3) La democrazia non tollera i privilegi. Il metodo democratico non ammette privilegi, ma a ciascun cittadino senza distinzione attribuisce uno ed un solo voto; certo, il potere esiste in democrazia e non potrebbe non esistere, ma nell’urna non ci sono privilegiati, vige la più assoluta e rigorosa uguaglianza. Ogni voto ha lo stesso peso, lo stesso valore di ogni altro voto. L’estensione di questo concetto di uguaglianza, fondativo dello spirito democratico, all’ambito della cultura ha effetti devastanti. Se i privilegi non sono tollerati in democrazia, se non sono tollerate classi o caste, non lo devono essere neppure nel campo della cultura; se tutti siamo uguali, rigorosamente uguali, tutti dovremo avere la stessa voce in capitolo in materia di cultura, tutti avremo diritto (parola dall’aspetto alquanto arrogante) di dire la nostra, di essere ascoltati, di scrivere, di parlare. Il pensionato INPS in materia di mitologia indiana avrà la stessa voce in capitolo del docente di sanscrito: l’abbattimento dei privilegi, anche dei privilegi dello spirito, è il reale demone che anima questo miserabile giacobinismo. Ecco allora tutto il fiorire di queste leggende metropolitane, sia nel campo della storia (Virishna, il protocristianesimo) sia nel campo della scienza. Di solito il processo mentale che sta dietro tali fenomeni è semplice: la storia e la scienza sono difficili, sono discipline che richiedono una vita di studi, e quindi – implicitamente e naturalmente – la formazione di una casta di persone che, avendo operato questa scelta di vita, siano i professionisti della cultura. Ma l’uomo democratico non può tollerare ciò, non può tollerare la loro presenza, non può tollerare che loro ne sappiano più di lui, che loro non siano uguali a lui. Ecco allora che l’uomo democratico, mediante i due fattori descritti sopra (onniscienza e sintesi) si crea una sua storia, una sua scienza, belle belle, facili facili; storia e scienza fatte a suo uso e consumo, fatte di leggende metropolitane, di miti senza fondamento, di clamorose antiscientifiche bugie. Ma va bene, va bene così: l’importante è non dover ammettere che loro ne sappiano più di lui.

Voglio notare per inciso che la più antica delle democrazie, la polis di Atene, già conosceva questi abissi di volgarità che sono connaturati allo spirito stesso della democrazia: il famoso episodio dell’ostracismo di Aristide,

nelle parole di Plutarco (Vita di Aristide, VII, 5-6), cioe’ il racconto di un episodio che accadde durante l’assemblea che ne decise l’ostracismo:

“Si stavano scrivendo i nomi sui cocci quando – così si racconta – un rozzo analfabeta che si trovava vicino ad Aristide gli dette il suo coccio e gli chiese di scrivere proprio il suo nome. – Ma cosa ti ha fatto di male Aristide? – gli chiese stupito. – Nulla – rispose l’analfabeta – non lo conosco neppure. Solo mi sono stancato di sentirlo sempre chiamare il Giusto. – E Aristide, senza rispondere, scrisse il proprio nome sul coccio e glielo riestituì.”

Ma la polis ateniese non conosceva ancora l’ultima delle caratteristiche della democrazia, peculiare alle nostre contemporanee democrazie di massa:

4) La rivoluzione come hobby. Fin qui abbiamo analizzato come l’uomo democratico, tra i tanti hobby che potrebbe scegliersi, anziché dedicarsi alla distillazione della grappa o alla coltivazione delle petunie, abbia deciso di dedicarsi alla storia. E fin qui nulla di riprovevole. Abbiamo anche analizzato come lo spirito democratico lo spinga a voler dare lezioni ai professionisti della storia elaborando una pseudostoria a suo uso e consumo ed atteggiandosi quindi a “storico” o a “ricercatore”. E questo è già molto più riprovevole. Assolutamente deprecabile, poi, è lo scopo che l’uomo democratico si prefigge nelle sue ricerche, nella continua elaborazione di nuove quanto infondate leggende metropolitane. Nonostante l’apparenza di potere democratico nella cui illusione si culla, l’uomo contemporaneo, in quanto infinitesimale frazione di un’enorme massa umana, si trova in condizioni di assoluta impotenza: nell’ancien régime poteva almeno decidere se e quando piantare un albero nella strada di fronte a casa, nella moderna democrazia non è libero neppure di prendere ed attuare questa banalissima decisione. La condizione di impotenza dell’uomo contemporaneo mi pare così evidente che non ci spendo altre parole. Vale la pena però analizzarne gli effetti sul nostro storico dilettante: perché ha elaborato tutta la sua pseudostoria, perché mai lo ha fatto? Semplice. Per giocare a fare il rivoluzionario, per illudersi che nella sua pseudostoria covino le scintille di una rivoluzione che le sue scoperte faranno scoppiare; il nostro storico ha messo così tanto ardore, così tanto impeto nella costruzione delirante dei suoi miti perché, a differenza della distillazione della grappa e della coltivazione delle petunie, in quei miti si immagina nelle vesti di rivoluzionario, come il portatore di verità sconvolgenti. Costretto all’impotenza, alla banalità e all’uniformità, spera di redimersi mediante la rivoluzione che scaturirà dalle sue teorie. E loro saranno abbattuti, e loro moriranno, e loro saranno schiacciati. Questa volta loro non sono più gli scienziati o gli storici di cui al punto 3), questa volta loro sono proprio i potenti, i potenti occulti, i misteriosi burattinai che tengono le fila di tutto; quelli, in definitiva, a cui il nostro storico dilettante attribuisce inconsapevolmente le responsabilità per la sua vita abortita. E scopriamo che in fondo storici e scienziati, nella sua visione del mondo, sono solo servi dei burattinai, servi di coloro che vogliono soffocare la verità per mantenere il potere. Per distruggere loro il nostro storico dilettante ha passato notti intere a navigare in internet, per distruggere loro ha inventato la storia che un alieno sia sbarcato a Roswell e sia conservato al sicuro dalla CIA, per distruggere loro ha inventato di sana pianta e dal nulla uno pseudoeroe indiano la cui vita somiglia a quella di Cristo. Niente e’ troppo per chi ha un hobby come la rivoluzione.

Queste considerazioni, che ho gia’ espresso in precedenza, sono  piuttosto descrittive ma non  contengono ancora il nucleo duro della montagna di merda.

La montagna di merda ha un nucleo duro impossibile da scalfire in questi casi:

“Il credo per narcisismo.

I popoli non perdono mai la propria liberta’. Chi dice che un popolo abbia perso la liberta’, come si trattasse di una battaglia, non dice il vero. I popoli la liberta’ la svendono per un piatto di lenticchie. Come mai la svendono per un prezzo misero? Perche’ insieme al prezzo misero, viene pagato loro un altro obolo: un obolo in narcisismo.

L’uomo contemporaneo sa di essere un numero di merda. Quando entra dentro un supermercato, sa bene che in quel supermercato , o in uno identico, sono entrate decine di migliaia di persone. E sa che se entra in un negozio, migliaia di persone ci sono entrate. Sa che qualsiasi cosa compri, per quanto ci sia scritto “esclusivo” o “migliore”, viene prodotta in stock da milioni di parti. Sa che la sua auto ha, quando va bene, il 60% di parti in comune con la concorrenza di prezzo analogo, per cui ha scelto tra automobili sostanzialmente identiche. Sa bene che non ha modo di sottrarsi a questo meccanismo, perche’ per via del suo reddito puo’ andare a fare spesa solo in alcuni sueprmercati, comprare solo alcune auto, eccetera. Insomma, l’uomo moderno sa di essere  praticamente identico a qualsiasi altro. Sa di non avere nulla di speciale.

Ma adesso gli raccontiamo una palla particolare. Gli chiediamo di rinunciare a qualcosa, dandogli in cambio la soddisfazione di sentirsi speciale, diverso dagli altri, unico. Prendiamo una citta’: Roma. Di per se’ esistono megalopoli piu’ grandi, conurbazioni enormi come Tokyo, citta’ multietniche come Mosca, e in molte di queste i servizi pubblici funzionano meglio che a Roma.

Ora, il cittadino ha ragione di incazzarsi, o di pensare che ha perso dei diritti, almeno quello di una buona amministrazione. Ma possiamo raccontargli che: “Roma e’ una citta’ cosi’ antica e speciale che non e’ possibile gestire bene i servizi, per via della sua storia enorme: li’ e’ nata la civilta’”. A questo punto abbiamo gonfiato l’ego del nostro cittadino. Ok, ha servizi di merda. Ma accidenti, questo e’ il giusto prezzo da pagare per il grandissimo privilegio di vivere a Roma. Uno di Roma e’ speciale, perche’ vive a Roma. E quindi, accettera’ di perdere qualcosa. Se per un istante scoprisse che Roma e’ una citta’ come un’altra, perche’ gran parte della sua estensione deriva da epoche recenti e lontane dai “Cesari” , scoprirebbe di essere un pirla qualsiasi che viene defraudato dei propri diritti. Ma, attenzione: questo cozza col narcisismo. Ammettere di essere un pirla qualsiasi senza nulla di speciale rispetto a milioni di altri e’ qualcosa che non paga in narcisismo. Non dopo aver vissuto con tutto il mondo che ti racconta che sei speciale perche’ usi quella tale lacca per capelli, perche’ indossi quel tale vestito, insomma, dopo tutto quel tempo passato a sentirsi dire di essere speciale, l’ego del nostro uomo NON accetta piu’ di venire declassato a pirla qualsiasi.

Se lo unite ad una palla che soddisfa il suo narcisismo, qualsiasi danno e’ accettabile.

“Sai, la Toscana e’ un posto cosi’ bello che tutti vogliono viverci. Non ti preoccupa se il costo delle case cresce enormemente e il mercato immobiliare uccide ogni altra cosa, vero? Non hai un cazzo di futuro, ma non hai un cazzo di futuro IN TOSCANA.”

Vi hanno appena tolto il diritto di comprare casa  prezzi ragionevoli per una speculazione, ma vi ripagano facendovi credere che questo sia il prezzo inevitabile per vivere in un posto speciale, e dunque, in qualche modo di essere speciali, diversi, unici.

“Non ti dico che cazzo ci sia dentro questo cibo, ma ti dico che e’ stato coltivato entro 30 km da qui. E siccome qui si coltiva il meglio del meglio, ho gia’ detto tutto. Per non parlare del fatto che se mangi a KM zero salvi il mondo. Sei batman. Sei superman. Sei un supereroe, solo perche’ accetti di mangiare roba di cui non sai un cazzo di niente, tranne che la compri perche’ sei stupendo, testimoniando che sei stupendo.”.

Qualsiasi balla e’ passabile, se insieme ci vendete la convinzione che la persona che se la deve bere e’ speciale quanto piu’ la palla e’ creduta.  Spalare questa merda e’ inutile, perche’ spalarla significa colpire l’ego di chi ci crede. Se fate una mera analisi chimica del cibo, scoprirete che il parmigiano non ha nulla di speciale. Ma chi crede di essere un privilegiato da dio solo perche’ vive nella zona del parmigiano  non accetta di vivere in un posto qualsiasi del pianeta. Quindi, se anche gli dite che i laboratori stabiliscono l’autenticita’ del formaggio osservando la quantita’ di piombo, dovuta all’autostrada , non ci crederanno.

Cosi’, e’ stato possibile sostituire indicatori di qualita’ veri con indicatori farlocchi tipo “provenienza geografica” , per una semplice ragione: nella provenienza geografica e’ insito un narcisismo , quello di chi intende illudersi di essere speciale perche’ vive in una zona speciale. Cosi’ non potete piu’ confrontare due cibi leggendo cosa contengono, dal momento che sapete solo da dove vengano. Vi hanno tolto il diritto di scegliere coscientemente che cosa mangiate, ma in cambio vi hanno rifilato una paga narcisista, quella di pensare di essere unici, speciali, dei capolavori, semplicemente perche’ vivete in un posto.

“Credo a qualsiasi cosa, purche’ dimostri che non e’ colpa mia , cosa che sospetto”.

Un altro nucleo della montagna di merda e’ cio’ che si crede perche’ si e’ in cerca di un’assoluzione.Come ho gia’ spiegato, il governo fa sempre cio’ che il cittadino VUOLE. SEMPRE. Oh, leggete bene la frase: ho detto che il governo FA quel che i cittadino vuole, non che REALIZZA quel che il cittadino CHIEDE. Cosa intendo?

Se voi parcheggiate spesso  in doppia fila, non volete una multa per questo. Lentamente, nel tempo, unendo le forze con altri cittadini, riuscirete ad ottenere che la doppia fila sia normale e non multata. Il governo ha FATTO, cioe’, cio’ che VOLEVATE. Poi, CHIEDETE al governo di REALIZZARE un traffico scorrevole. Ma questo e’ impossibile, perche’ il governo ha FATTO cio’ che VOLEVATE (ovvero non multarvi quando siete in doppia fila) e quindi non puo’ REALIZZARE quel che CHIEDETE.

Detto questo, al cittadino che parcheggia in doppia fila non piace pensare di essere colpevole del pessimo traffico. E’ ovvio. Cosi’ come all’evasore non piace sentirsi dire di essere colpevole del deficit di bilancio dello stato. E cosi’ come chi sniffa cocaina non vuole sentirsi dire che ha finanziato la mafia che poi taglieggia il suo negozio.

Cosi’, un altro nucleo duro della montagna di merda consiste nella quantita’ di gente che crede a palle assolutorie.  Potete raccontargli quel che volete, a patto di dimostrare che il suo peccatuccio e’ veniale e che non e’ davvero la causa del male generale.
Non importa se inventiate gli illuminati, il grande complotto oppure il signoraggio. NON PUO’ essere colpa della sua piccola mazzetta se la pubblica amministrazione e’ una merda. NON PUO’ essere colpa del suo parcheggiare male se il traffico e’ in merda. NON PUO’ essere colpa della sua evasione fiscale se il paese affonda.  Non puo’ essere colpa del suo assenteismo, della sua pensioncina di invalidita’ non necessaria. No.
Deve essere il signoraggio, si. E gli illuminati. E Goldman Sachs. Satana. QUALSIASI COSA lo assolva e’ credibile. Raccontategli che sono gli alieni i colpevoli del traffico, e ci credera’ . Ciecamente. Perche’ lo assolvono.
In questi casi, ANCHE in questi casi, spalare la montagna di merda e’ inutile. Non serve a nulla principalmente perche’  le persone sono troppo attaccate alle palle in cui credono, e se anche ne demolite una, crederanno ad un’altra, a costo di inventarla.
E quindi, potete considerare queste due come aggiunte al precedente post, ovvero: perche’ non perdere tempo a debunkare stronzate , neanche in questi due casi.
Teoria della montagna di merda 2

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