M5S…

M5S...

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Vedo che sui giornali italiani impazza la caduta dell’ M5S, che come prevedibile si sta disintegrando. I suoi padrini politici, cioe’ i servizi segreti inglesi e poi quelli cinesi (che lo hanno colonizzato subito dopo) hanno smesso di investire, e come se non bastasse Grillo sta invecchiando davvero male, diventando un vecchiaccio incarognito.

Per spiegare questa parabola ripetero’ quello che ho detto tante volte: i partiti che chiamiamo “populisti” non sono davvero “populisti”. Populista era Giulio Cesare, tanto quanto (o mille volte tanto, come diceva Silla) il suo mentore, Mario. Era sicuramente populista Napoleone, per fare un altro esempio. Era populista Lenin, era populista Berlusconi.

E se cominciamo a dire questo, capite che stiamo giocando un campionato completamente diverso rispetto a Grillo, Meloni e Salvini, ma non solo: e’ proprio tutto un altro sport.

E questo perche’ i Grillo, Meloni, Salvini non sono “populisti”: il termine corretto e’ “tribunizi”, che riprende la storia dei cosiddetti “Tribuni della Plebe”.

Allora: ai tempi dei romani non facevate manifestazioni. Le faceva il governo. Non scherzo: venivate invitati in piazza (e andarci era dovere altissimo dei cittadini attivi) ad ascoltare questo e quel politico (quando non console, magistrato o senatore) che vi illustrava i suoi programmi. Tutto avveniva sotto lo sguardo vigile dell’esercito (ok, era la guardia civica, ma erano militari, combattevano come militari ed erano equipaggiati come militari: il “black block” avrebbe avuto discreti problemi) , ed era un processo diciamo “ordinato” con il quale la classe politica raccoglieva , come dire, dei “sondaggi”. Se le proposte erano gradite, allora il tizio prendeva dei grandi applausi, se non erano gradite… a dire il vero non so di preciso cosa facesse il pubblico, ma so che era possibile saperlo. (non ricordo se gli facessero dei versacci o gli gridassero insulti, o entrambe le cose).

In questo contesto nascono i tribuni della plebe. Dico “in questo contesto” per indicare il fatto che la partecipazione alla vita politica fosse considerata un dovere se non un privilegio: il problema era che tra gli “invitati” non c’erano i plebei, che quindi non potevano eleggere magistrati, e che quindi non potevano far sentire la propria voce. Male.

Ci fu una rivolta di plebei, che oggi chiameremmo “sciopero generale”: anziche’ lavorare se ne andarono tutti sul Monte Sacro e alla fine ottennero di poter eleggere dei “tribuni della plebe”. Un pochino come i ciompi di Firenze, solo che i tribuni della plebe raggiunsero il loro scopo. I loro magistrati erano intoccabili, avevano potere di veto , e altri privilegi.

Gia’ il fatto che il potere principale dei tribuni della plebe fosse il veto fa capire quanto simili fossero a grillini, salviniani e meloniani: dire di no e’ il fulcro del concetto di “tribunizio”.  Mentre non e’ il fulcro del concetto di “populista”: il populismo richiede una persona che ha avuto (fuori dalla politica) grandissime vittorie , grazie alle quali si attribuisce capacita’ semidivine (Giulio Cesare si fece nominare dittatore e semidio) e quindi potra’ salvare il paese da tutti i suoi nemici. Berlusconi, per esempio, era un populista: siccome era un imprenditore di successo, blablablabla, e via al miracolo italiano. Un semidio, insomma.

Il tribuno della plebe normalmente non ha una vita di vittorie da mostrare. Al punto che viene facilmente oscurato da chi ha dei talenti anche minimi: vedi alla voce Giuseppe Conte, che ha oscurato tutti gli altri perche’ sa vestirsi meglio di loro ed e’ capace di parlare in un italiano invidiabile.

Ma il punto principale e’ che il populista, dall’alto delle sue vittorie passate (anche presunte o millantate, come nel caso di Trump) puo’ promettere di fare cose, ha una ricetta, ha dei rimedi “contro la crisi nel quale e’ finita la nostra grande nazione”, cioe’ ha delle proposte.

La qualita’ principale del tribuno della plebe, invece, e’ il veto. Il vaffanculo, il NO: NO TAV, no Gronda, NOvax, NO-qualsiasicosa.

Esiste quindi una differenza enorme tra partiti populisti e partiti tribunizi:

  • il capo di un partito tribunizio non ha una vita di vittorie sulla quale ergere un mito.
  • il capo di un partito tribunizio non ha un programma fattivo, ma un programma catalitico: no a questo, no a quello, distruggiamo questa istituzione, demoliamo l’altra istituzione.

E quindi, M5S non e’ MAI stato un partito populista (ha avuto delle venature di populismo quando ha tirato di mezzo il premio Nobel Dario Fo, in modo da costruire un curriculum, ma ai plebei , che non hanno curriculum, il curriculum di altri fa paura: l’esperto puo’ esistere solo al patto che non possa mai comandare) , bensi’ un partito tribunizio.

Detto questo, possiamo leggere dei libri di storia e andare a vedere in che modo sia finito il potere dei tribuni. E se osserviamo bene la loro decadenza, troviamo DUE eventi principali:

  • ad un certo punto i patrizi guadagnano la possibilita’ di diventare tribuni della plebe.
  • ad un certo punto l’ imperatore Augusto si nomina primo tra i tribuni della plebe.

con questo finisce il loro “potere”, ovvero il potere che veniva dal basso: il potere cambia direzione.

Per distruggere un tribuno della plebe e’ sufficiente investirlo di un’autorita’ qualsiasi.

perche’ la caratteristica essenziale del tribuno della plebe, e del suo potere, e’ quella di avere un potere che viene dal basso. Nel momento in cui esiste un’autorita’, il potere viene dall’alto dell’autorita’, e non dal basso del popolo.

Lo stesso Grillo poteva mantenere il potere sinche’ “diceva quello che diceva la gente”: ma da quando e’ diventato “l’ elevato”,  (termine generico che indica benissimo i salami appesi ad asciugare) il suo potere viene dall’autorita’ di essere Grillo, di essere “sopra”, e di conseguenza il suo potere collassa.

E’ diventato “il primo tra i tribuni della plebe”: ma non e’ l’imperatore Augusto.

Un altro colpo alla struttura tribunizia del M5S l’ha dato , come successe a Roma , il fatto che un patrizio sia stato nominato tribuno: mi riferisco a Conte, che e’ evidentemente un “Patrizio”, cioe’ l’appartenente ad un’elite familista (l’accademia ) e come se non bastasse appartenente a quella “elite’ intellettuale” che inizialmente, come regola, non poteva accedere al titolo di Tribuno. Quando si tira in ballo un premio Nobel come Dario Fo, che e’ polemico verso l’accademia noiosa e scolastica, e si mette un accademico giurista a fare da premier, come diceva Lao Tzu, “se non conosci te stesso sei destinato a perdere”.

In definitiva, cioe’, il M5S (cosi’ come fara’ la Lega e come fara’ la Meloni, e come ha gia’ fatto il FN in Francia) non e’ un partito populista ma un partito tribunizio , e ha seguito la storia dei partiti tribunizi, morendo analogamente come morirono i tribuni della plebe a Roma.

Certo, la storia dei movimenti tribunizi non finisce con Augusto che diventa primo tra i tribuni della plebe. Ma tutti i movimenti tribunizi finiscono esattamente come finirono quelli: quando si va al potere , esso si fonde coi tribuni, che perdono il loro propellente, cioe’ il potere dal basso.

I movimenti populisti NON hanno questo problema: Cesare non aveva bisogno di essere autorevole, le sue imprese precedenti parlavano da se’. Lo stesso per Napoleone, le cui vittorie gli davano autorita’. Idem per Berlusconi, che era l’ “imprenditore per eccellenza”, e dai suoi successi passati traeva autorita’.

Ma i tribunizi, non avendo un leader che possa mostrare delle vittorie precedenti, hanno bisogno di autorita’: prima e’ il popolo a dargliela, ma non appena arrivano al potere, prendono il karisma’ della carica che ricoprono. Ma quando indossano la maschera del potere che esercitano, perdono il potere dal basso, e si disintegrano.

Anche come programmi, populisti e tribunizi sono molto diversi. Il leader populista trae dalla sua vita di successi la ricetta per risollevare il paese. Quindi se e’ un imprenditore prende come esempio quello che ha saputo costruire, se e’ Trump “l’arte di fare affari”, se e’ Napoleone “le mie vittorie sul campo”, ma se e’ un Beppe Grillo, esso trae la ricetta… dal popolo.

Ma il popolo, sebbene parli molto, non ha una ricetta autorevole per risollevare il paese, e si dipinge normalmente come vittima: non esattamente un successo. D’altro canto la plebe e’ tale perche’ ha perso la gara sociale.  Quindi non puo’ trarre la ricetta per salvare il paese dalla propria esperienza: non sapendo cosa fare il tribuno dice piuttosto cosa NON fare, e le proposte che ne escono vengono da altri (il solito Premio Nobel per l’Economia che pontifica nel caso di Grillo, oppure Borghi che parla grazie all’ autorita’ avuta dall’essere licenziato da Deutsche Bank).

Esiste un modo per mantenere l’autorita’ dal basso per i partiti tribunizi?

Un espediente interessante e’ quello della Lega, che si e’ presa le “autonomie locali”. In questo modo la Lega ha istituzionalizzato il “potere dal basso”, ma e’ una mossa furba sino ad un certo punto: possedere sindaci o presidenti di regione ha due difetti mortali:

  1. siccome il movimento tribunizio odia i curricula perche’ e’ contro le elite intellettuali e “gli esperti”, l’esperienza dei governatori regionali o dei sindaci NON puo’ arrivare al potere. Sinora i presidenti di regione e i sindaci, per quanto successo abbiano avuto, sono di fatto esclusi dalla classe dirigente nazionale.
  2. presto o tardi i “rappresentanti della plebe” diventano un pericolo per la dirigenza, dal momento che LORO sono quelli che parlano con la plebe. Sono piu’ vicini alla plebe e ne ascoltano la voce, ne parlano il dialetto.  Un pericolo grave per l’elite nazionale che invece parla italiano e inevitabilmente si allontana dalla plebe.

Un governo leghista e’ quindi condannato alla mediocrita’ ciarliera, perche’ alla fine dei conti non riesce a trasportare verso il vertice l’esperienza amministrativa di chi ne ha una.

Un altro espediente , che io chiamo “espediente Pasolini”, e’ quello della Meloni. Si tratta di prendere il peggio del peggio della feccia delle periferie e dei bassifondi, e mostrarsi a proprio agio tra quella, mostrando di “parteggiare per gli ultimi”. Questo metodo funziona nel breve termine, ma ha difetti anche peggiori.

  1. il primo e’ che non consente la formazione di una classe dirigente credibile. Se vi chiedessi chi sara’ il prossimo ministro delle finanze di un ipotetico governo Meloni, balbetterete nomi di vecchi catenacci missini, ma la verita’ e’ che non ne avete idea. E non ne avete idea perche’ un popolo ideale che parla dialetto laziale , scatarra e fa il facchino per vivere e’ si’ una prova di “vicinanza alla plebe”, ma per qualsiasi classe dirigente capace di parlare senza urlare la posizione e’ attraente quanto un’unghia incarnita. E anche come sindaci e governatori la Meloni non brilla, quindi il problema non e’ che la classe dirigente non raggiunge i vertici, ma nel fatto che non si forma proprio.
  2. i plebei non si limitano a puzzare. Sono anche quelli piu’ esposti alla criminalita’ organizzata. Basare un partito sulla plebe delle periferie espone il partito alla commistione con elementi malavitosi. Non perche’ il partito in se’ sia criminogeno, ma perche’ la plebe di riferimento lo e’. Pasolini si inventava che il poliziotto fosse un contadino meridionale (in realta’ era un giovane meridionale che aveva fallito a scuola), la Meloni immagina che il disoccupato delle peggiori periferie di Roma non viva di piccoli crimini, e che voglia essere emancipato.

In queste condizioni, qualsiasi tentativo della Meloni di formare un governo si disintegrera’ sia nella carenza di nomi validi e freschi, sia nel fatto che le sue classi dirigenti locali saranno continuamente bersagliate da inchieste per via della vicinanza del partito a una fascia della popolazione che, per motivi economici,  e’ criminogena e ha sviluppato una cultura paracriminale.

A questo si aggiunge una generale inadeguatezza della classe politica italiana, che “elegge un tecnico” ogni volta che arrivano momenti bui: siccome il “governo tecnico” e’ solo una governo SENZA politica, da solo questo meccanismo mostra l’inadeguatezza di tutti i partiti.

Ma nel caso della Lega e della Meloni, questa inadeguatezza non solo e’ ostentata (sono allergici agli “esperti”) , ma addirittura strutturale: non riescono a procurarsi una classe dirigente competente.

Il che significa, in definitiva, che i due partiti (Lega e Meloni) sono due partiti tribunizi che hanno trovato il modo di sopravvivere all’abbraccio del potere, ma non potendo formare una classe politica competente, sono destinati al disastro nel preciso momento in cui prendano  il potere senza dotarsi di un volto (come fecero con Conte) che abbia un minimo di rispettabilita’, almeno estetica.

Si tratta, cioe’, di due partiti che hanno una data di scadenza, come quello di Grillo.

Possono sopravvivere ancora qualche anno a patto che non si presenti una crisi, e a patto che non venga loro chiesto di fornire una classe dirigente di provata competenza.

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