Prima di parlare di global warming, deve essere chiara una cosa. Nessuno sa cosa sia. Nessuno lo sa perche’ e’ una materia cosi’ multidisciplinare che occorrono una trentina di specialisti per comporla. Questo significa che nessuno, inteso come singolo individuo, sul pianeta capisce davvero il global warming. Quello che si fa e’ misurare il consenso scientifico degli specialisti.
Se biologi marini, geologi, paleologi, astrofisici del sole, fisici dell’alta atmosfera, fisici della bassa atmosfera, esperti di solar proxies, esperti di rilevamenti da satellite, biologi terrestri, metereologi esperti di nuvole, esperti di modelli matematici,esperti di fisica dei gas, e via dicendo, concordano su qualcosa – nel senso che i loro paper fanno previsioni che si avverano – possiamo dire che ci sia “consenso scientifico” su qualcosa.
Non e’ un parlamento della scienza dove si vota a maggioranza, sia chiaro: quando parlo di consenso scientifico parlo di pubblicazioni con dati, che poi vengono sottoposti a peer review, e citati.
Quando sento qualcuno dire che ha “letto’ la scienza riguardanto il global warming, io so gia’ di avere di fronte un buffone, perche’ e’ cosi’ multidisciplinare che nessun singolo essere umano puo’ dire di conoscere “la scienza dietro al global warming”, a meno di non essere letteralmente onniscente. Possiamo concordare o meno sulle conclusioni, cioe’ un lavoro di estrema sintesi, ma se volessimo discutere i dettagli , avremmo bisogno di una ventina di esperti di settore, o di un centinaio di “sub-specialisti” nelle nicchie di ogni settore. Quindi si misura il “consenso scientifico”: non, ripeto, la quantita’ di scienziati che concordano – non e’ un parlamento – ma il numero di pubblicazioni con dati che convergono.
“L’antartide si scioglie” e’ un’affermazione semplice da capire, ma se provate a leggere la scienza che sta dietro vi serve un esperto di clima antartico. E pure bravo.
Detto questo, essenzialmente del riscaldamento climatico capisco solo la parte che riferisce ad un lavoro che ho fatto, cioe’ big data e simulazione. In questa parte sono esperto, cosi’ posso leggere dei paper e capire cosa ci sia sopra. Dico capire, perche’ sottoporre a peer review 350 exabyte di datin in formato HDF (https://www.earthdata.nasa.gov/esdis/esco/standards-and-practices/hdf-eos5 ) va oltre le capacita’ di calcolo e di storage di cui dispongo. Pero’ almeno capisco cosa fanno.
Posso criticare le tecniche? In linea di principio si’ nel senso che io la smetterei di usare tecniche cosi’ sensibili alle condizioni iniziali, per esempio. E la smetterei anche di pre-testare i modelli col clima del pleistocene. E altre cose.
Quindi posso leggere una piccola nicchia di quel che fanno. E scrivo questo perche’ di recente una divertente divulgatrice fisica tedesca ha fatto un video piuttosto allarmante.
Quindi, proviamo a spiegare la storia del modelli matematici (invariabilmente costruiti al computer: un famoso fisico di colore scherzava sul fatto che la scienza del global warming potrebbe peggiorare il global warming per via dell’uso smodato di simulazioni al computer, e potrebbe aver ragione almeno in parte) in maniera semplice.
Ne vengono fatti tantissimi. Ogni volta che si trova il modo di inserire un nuovo dataset (magari perche’ inviamo una sonda vicina al sole a abbiamo dati migliori sull’energia emessa), di fatto partono centinaia, se non migliaia, di nuove simulazioni.
Di queste, ne sopravvivono pochissime. Alcune vengono cassate immediatamente perche’ prevedono scenari alla Sharknado, (uragani cosi’ forti da risucchiare acqua salata e farla piovere sulle zone coltivate: se succedesse, una forza simile potrebbe risucchiare anche cetacei e imbarcazioni grandi come una petroliera), altri vengono cassati col tempo perche’ falliscono le predizioni, ma in maniera meno eclatante.
Un tempo esistevano modelli che prevedevano scenari da estinzione globale del genere umano, che sono stati cassati, ma hanno avuto effetti politici , tipo creare movimenti tipo “Last Generation” o “Extintion Rebellion”. Esiste, quindi, un fenomeno provato di “ecoansia”: interi movimenti politici nati dalla comparsa di modelli molto catastrofici. Ma ripeto, questi modelli sono stati cassati.
Quello che fanno e’ di prendere un modello e vedere per prima cosa se riesce a “prevedere” dei dati “storici”. Nel senso che gli metto tutti i dati che ho sino a 10.000 anni fa, e vedo se riesco a “prevedere” qualcosa che sappiamo gia’, tipo il clima di 9900 anni fa.
(questa e’ la parte che onestamente critico, perche’ a mio avviso questo genera troppo bias)
Ma andiamo avanti. Come siamo messi? Oggi come oggi sopravvivono una ventina di modelli matematici che vengono usati nelle simulazioni ed aggiornati quando appaiono nuovi dataset. (nuovi satelliti, eccetera).
Voi penserete che se questi modelli sopravvivono, allora in qualche modo dicano la stessa cosa. Che concordino.
No.
Ci sono modelli detti “hot” , che sono stati costruiti (cioe’ testati) principalmente sui dati storici , presi da periodi nei quali la temperatura aumentava). I dati provengono principalmente da alberi fossili di cui si osservano gli anelli, carotaggi di ghiacci perenni, e geologia chimica, dalla quale si possono estrarre composizioni chimiche e temperature.
Ma questi modelli sono stati sviluppati usando SOLO dati di periodi storici ove la temperatura aumentava. E la cosa interessante e’ che se usiamo un modello “hot”, otteniamo una previsione “hot”, cioe’ una previsione ove la temperatura del pianeta aumenta.
Ma ci sono anche modelli che sono stati testati SOLO usando i dati di periodi storici nei quali la CO2 aumentava ma la temperatura diminuiva. Questi modelli continuano a prevedere l’arrivo di nuove ere giaciali. Se sentite scienziati dire “altroche’ riscaldamento, qui sta arrivano un’era glaciale” non e’ perche’ sono scemi: e’ perche’ non lavorano sui modelli matematici “hot”, ma piuttosto su quelli “cold”.
Immagino le domande che vi state ponendo. Sono piu’ i modelli “hot” o quelli “cold”? Sono di piu’ quelli Hot.
Ma cosa significa? Significa semplicemente che per gli accademici e’ piu’ semplice ottenere fondi per creare modelli “hot”. Il meccanismo di funding della ricerca accademica non e’ razionale bensi’ politico (in Europa) o necessariamente economico (finanziamenti privati) negli USA. Russia e Cina per esempio prediligono i modelli di interesse. Cosi’ i russi finanziano molti modelli “cold” perche’ hanno paura che un abbassamento improvviso delle temperature, fosse anche solo invernale, uccida diverse zone – molto vaste – del loro paese. Capite che se avete zone che durante l’inverno sono a -43, e sono zone da cui estraete idrocarburi (cioe’ ne avete bisogno per l’export) , l’idea che scendano a -60 vi preoccupa. Vivere tre mesi a -40 e’ difficile ma non impossibile, -60 per tre mesi di fila diventa impossibile. Sentirete quindi scienziati russi impauriti dal possibile arrivo di una strana glaciazione.
E se sviluppassimo modelli analoghi in occidente, probabilmente avremmo questa paura. Poiche’ i modelli “hot” hanno successo nell’industria occidentale , si preferisce investire su quelli. E’ piu’ facile ottenere fondi, insomma.
Quindi la domanda sulla differenza di numero tra i modelli, “hot” e quelli “non-hot” e’ giusta, ma ingenua.
Altra domanda: ma stai parlando di intelligenza artificiale?
No. Di base quello che fanno non e’ “addestrare una IA con dati freddi”, o “addestrare una IA con dati caldi”. Il Bias qui e’ prevedibile.
Quello che fanno e’ scrivere modelli, di solito basati su differenze finite (di questa scelta critico sia la difficolta’ del meshing sia la sensibilita’ ai valori iniziali) , e poi cominciano a “testarli”. Prendono blocchi di dati storici e vedono come si comportano. Se il risultati della simulazione al computer soddisfa bene i dati passati, la considerano credibile.
Il fatto che tutti i modelli basati su dati “hot” prevedano un riscaldamento e tutti quelli basati su dati “cold” prevedano un raffreddamento e’ una bizzarria che secondo me proviene proprio , come ho scritto, dalla sensibilita’ di questi modelli alle condizioni iniziali.
Perche’ ci sono quelli “hot” e quelli “cold”? Perche’ non buttare nel calderone tutto?
Perche’ in un modello cosi’ complesso succedera’ che i risultati andranno a farfalle. Persino la previsione delle ere glaciali e’praticamente impossibile: geologicamente parlando si tratta di un fenomeno che non e’ davvero regolare come si pensa. ( https://it.wikipedia.org/wiki/Cronologia_delle_glaciazioni ). E se usciamo dal pleistocene cambia tutto. Ma anche il Pleistocene non e’ cosi’ regolare.
Il modello di sopra sembra mettere in relazione CO2 con le ere glaciali del Pleistocene, con successo (quasi), ma se usiamo questo:
Potremmo mettere il clima in chiara correlazione con l’isotopo 18 dell’ossigeno. Morale: mai mescolare gli indicatori di un fenomeno con la causa del fenomeno.
Quasi nessuno, peraltro, puo’ dire di aver capito che succede, e anche i famosi cicli di MIlankovitch spiegano il giusto, ma decisamente non tutto. ( https://en.wikipedia.org/wiki/Milankovitch_cycles)
Hanno quindi preferito “spezzare” il problema in parti piu’ piccole. Ma questo punto vi chiederete che senso abbia usare come test dei modelli climatici che vengono anche da periodi piu’ antichi, quando le ere glaciali ancora non esistevano. Domanda interessante, che cozza con i cicli di Milankowitch.
Dopo questo lungo spiegone, andiamo al punto.
Sabine ha lanciato un allarme, come divulgatrice, che suona cosi’. “Tutto dipende da una certa “climate sensitivity”, cioe’ un valore scalare che rappresenta la relazione tra aumento di CO2 e global warming.
Affermazioni di questo genere mi lasciano molto perplesso. Se rappresenti un fenomeno usando uno scalare per rappresentare la crescita del fenomeno, mi stai parlando di un fenomeno lineare. Sul serio? Invece no, perche’ poi questo parametro viene usato dentro una simulazione che non e’ affatto lineare.
Dire quindi “sono preoccupata per quanto e’ alto” a me sta un pochino stretto. E’ come prendere un fenomeno complesso (prendiamone uno a caso: l’orgasmo femminile) e farlo dipendere dalle dimensioni del pene. Ne dedurremo che il miglior partner possibile di una donna e’ un capodoglio: ben due metri e ottanta.
Invece la cosa non e’ lineare, e la donna media comincia ad avere dei problemi oltre i 18 centimetri, mentre le pornostar arrivano ben oltre, ma non sappiamo quanti orgasmi siano veri. (onestamente non sappiamo nemmeno se le femmine di capodoglio abbiano l’orgasmo).
Morale: in un modello complesso e non lineare, la dimensione di un solo parametro NON conta.
Quindi no, non condivido l’allarme: se alzo la sensitivita’ climatica in un modello “hot” ottengo una previsione ancora piu’ calda, ma se lo metto in un modello che prevede ere glaciali, ottengo ancora piu’ freddo.
Perche’ questo errore? Perche’ ricondurre tutto ad un solo parametro che poi viene moltiplicato con un altro parametro, cioe’ la quantita’ d CO2 o di gas serra? Perche’ sembra sensato guardare UN numerello e pensare che tutto dipende da quello? (a sua volta, quel numerello dipende molto da quel che fanno le nuvole quando l’acqua e’ in uno stato particolare, diciamo “liquido che di solito non si trova in aria”).
Il problema e’ che ci siamo sempre sentiti spiegare il riscaldamento globale come un fenomeno che dipende solo dai gas serra, e ce lo siamo sempre sentiti spiegare con un’analogia, che era l’effetto serra.
Lo so che vi sembrera’ strano, ma l’effetto serra non c’entra UN CAZZO col riscaldamento globale. E’ un’analogia che ha senso usare per scopi divulgativi, ma non per scopi scientifici.
L’effetto serra, innanzitutto, funziona in un range che arriva poco oltre i venti metri. Fate pure una serra alta 50 metri , e scoprirete che avete costruito una specie macchinia di Stirling che e’ ancora piu’ fredda alla base perche’ e’ ancora piu’ calda in cima. Le vostre piante ghiacceranno ancora di piu’.
Non c’entra.
Il fenomeno vero ha a che fare con il cambiamento nel comportamento degli strati atmosferici alti. La temperatura terrestre, in maniera spannometrica, puo’ essere descritta come la differenza tra l’energia che entra e quella irradiata.
Ad irradiare energia sono principalmente gli strati alti. Se sono densi contengono molta energia, e quindi ne irradiano molta. Questo raffredda il pianeta. Se la presenza di CO2 rende meno radianti, o piu’ pesanti, quindi meno alti, alcuni strati, allora tutta l’energia viene emessa da strati meno densi e piu’ alti. Ma se sono meno densi conterranno meno energia e ne irradieranno meno. Risultato, la terra si scalda.
Si tratta quindi di una modifica che ha poco a che vedere col meccanismo dell’effetto serra. C’e’ di mezzo tutta l’interazione tra i proxy atmosferici, che richiede diversi specialisti. Per questo gli allarmi sull’acqua come gas serra , o sul metano, sono poco fondati. Sono gas serra se li mettete in una serra, ma in termini atmosferici il loro ruolo e’ ancora incerto.
Ma rimane il fatto che spiegare il riscaldamento globale usando l’effetto serra sia stato un errore. E non perche’ sia sbagliatissimo (rimane un’analogia semplice da usare per spiegare), ma perche’ mette le persone nelle condizioni di pensare che tutto dipenda da un solo fattore (il CO2, piu’ altri gas), mentre per fare un modello decente occorrono almeno venti specialisti, se non un centinaio di subspecialisti.
Usare a scopi divulgativi un esempio che sembra far dipendere tutto dalla CO2 e’ stato a mio avviso l’errore piu’ grave. Perche’ ha fatto credere che tutto dipenda da un SOLO fattore. Invece la presenza umana ha effetti in molteplici dimensioni, e per questo e’ stupido raccontarla cosi’.
Raffigurare il problema come qualcosa che dipende dalla CO2, e solo dai combustibili fossili, e’ un errore gravissimo. Fa credere che se usiamo auto elettriche alimentate ad energia solare, tutto andra’ bene. Invece potremmo scoprire che pesa molto di piu’ la cementificazione, perche’ da solo il calcestruzzo e la CO2 che emette durante la cemenzazione e’ il terzo fattore di produzione della CO2. E non stiamo facendo nulla. E che dire dei fenomeni vulcanici che producono CO2?
Ma se tutti andiamo a caccia DEL fattore che scatena TUTTO, come fa Sabine nel temere la crescita della sensitivita’, siamo molto piu’ lontani dalla soluzione. Certo, forse abbiamo una rappresentazione piu’ sintetica del problema per le masse, ma siamo MOLTO piu’ lontani dal trovare la soluzione.
Certo , il CO2 e’ uno dei fattori piu’ correlati, ma non sarei cosi’ certo che sia LA causa in senso singolo, e non sarei nemmeno certo che tornare a 300 ppm funzioni. Modificae le auto, per dire, secondo me non sortira’ alcun effetto. Abbiamo notato abbassamenti significativi delle emissioni con la diffusione delle auto elettriche? Uhm… no.
Il problema, cioe’, e’ che il CO2 e’ un indicatore di attivita’ industriale nel suo complesso. Di conseguenza , dire che e’ il CO2 a causare l’effetto serra ha senso, ma e’ come dire che abbiamo un problema con l’attivita’ industriale. Se avessimo per esempio usato il valore degli indici di borsa, avremmo ottenuto lo stesso risultato perche’ l’attivita’ industriale impatta in maniera molto simile SIA sui livelli di CO2, che sugli indici di borsa. Potremmo calcolare le correlazioni , invece di usare il CO2, usando una misura dell’attivita’ industriale, e scoprire che il problema e’ l’attivita’ industriale nel suo complesso, ed e’ inutile concentrarsi sulle auto,perche’ magari la trasformazione climatica produce un aumento cosi’ grande dell’attivita’ industriale che il risparmo ottenuto non conta.
In soldoni:
- Se consideriamo il CO2 come principale causa chimico-fisica, puo’ sembrare sensato dire che passando ai pannelli solari e riducendo le fonti fossili la situazione del CO2 migliori.
- Se consideriamo che il CO2 e’ un indicatore dell’attivita’ industriale, la trasformazione industriale potrebbe aumentare cosi’ tanto la CO2 nell’atmosfera da vanificare qualsiasi sforzo.
Cosa significa?
Significa che abbassare la CO2 deve richiedere ANCHE la trasformazione industriale MINIMA possibile. Perche’ la CO2 e’ un indicatore dell’attivita’ industriale, e se la trasformazione “green” causa un aumento enorme dell’attivita’ industriale , potrebbe non essere affatto “green” per il pianeta.
Contesto l’idea che una simulazione che tiene conto di centinaia di fattori finisca con l’indicare un solo fattore come causa, un solo moltiplicatore (la sensitivita’ climatica) e una sola soluzione, che non tiene conto di nient’altro.
Questo modo di pensare non e’ parte della soluzione: per come la vedo io, e’ parte del problema.