Chi parla della Ferragni.

Chi parla della Ferragni.

Oggi non si puo’ non parlare della Ferragni, o dei Ferragnez come si dice con un portmanteau (o “parola macedonia” se volete stupire le signore dei salotti che frequentate) . Siccome in questo periodo leggo molti libri di logiche di secondo ordine e di teoria delle categorie, ho deciso di usare un approccio diverso: parlare dei ferragnez parlando di chi ne parla, in modo da descriverli usando i loro effetti, ma senza parlare di loro. Secondo ordine rocks.

Fedez, il marito della Ferragni, in senso topologico la parte convessa della coppia, ove la Ferragni e’ la parte concava, non e’ molto utile per una discussione. Parliamo di un “musicista rap”, cioe’ di un cantante che non canta , con una musica che non e’ musica. Una definizione discreta dell’insieme vuoto, ma alla fine dell’insieme vuoto puoi parlare  non piu’ di tanto.

Rimane la femmina dei due, ovvero la parte topologicamente concava della coppia. Non e’ decisamente un insieme vuoto (che non e’ sempre una buona notizia: chiedere a Cantor cosa intendo), e dobbiamo ringraziare Russell per non avere una definizione di “insieme pieno”. Ci si limita a dire “non vuoto”. 

Allora, come ho anticipato non parlero’ della Ferragni, ma di chi ne parla. Ho scelto un articolo in particolare, perche’ si sforza di definire un insieme complementare, che e’ un trucco perfetto per definire qualcosa senza mai definirlo. Definire il complementare. 

L’articolo e’ questo:

https://www.today.it/opinioni/ferragni-capitalismo.html

Si tratta chiaramente di quello che Elio e le storie tese chiamerebbero “un articolo del primo Maggio”, il cui titolo mi fa capire una cosa: la signora ci tiene a far sapere che ha frequentato un liceo. Quelli cui non e’ piaciuta l’universita’ lo fanno spesso: si identificano con la scuola che e’ piaciuta loro di piu’. Strano, a me l’Alma Mater e’ piaciuta.

Non voglio etichettare la signor(in)a in questione, quindi mi riferiro’ alla giornalista dicendo “quelle come lei”, perche’ ancora una volta la logica di secondo ordine ti allunga il pisello meglio di un SUV. Nel campo dei complessi, intendo.

Come tutte “quelle come lei”, Sandra Figliuolo usa termini da liceale per indicare le cose. Per esempio, usa la parola “capitalismo” per indicare a volte il consumismo, a volte l’edonismo, a volte il materialismo. Marx, che ha definito la parola, non le aveva assegnato nessuno di questi significati. Mai. Comunque, al Liceo si fa cosi’, perche’ serve alla canzone del primo maggio. Del complesso del primo maggio. Bregovitch!

Andiamo a decriptare il “liceese” della signor(in)a.


“Chiara Ferragni è solo l’orribile specchio del capitalismo” mi dice una cosa: la logica non c’entra. Perche’ detta cosi’ sembra che lo specchio sia orribile, mentre sembra che  il capitalismo sia neutro. Al liceo questa frase funziona , ma fuori da un liceo non si capisce come mai l’immagine speculare del capitalismo sia orribile. Forse Sandra Figliuolo detesta gli specchi. O la logica.

Cito l’articolo.

La cosa seccante è che quando se ne parla non si fa altro che alimentare l’algoritmo che genera aria fritta, like, commenti, idiozia e tanti, tanti soldi. E poi è estremamente fastidioso il fatto che non c’è alternativa: o ti piace, è fantastica, bellissima, intelligentissima, grande imprenditrice e bla bla bla o allora sei solo invidiosa perché sei brutta, sporca, cattiva (e povera). Non si può semplicemente dire che Chiara Ferragni ha un unico grande merito: essere lo specchio e il simbolo del mondo vuoto, individualista e squallido in cui viviamo.

Lavoro nel settore IT da ormai 28 anni, e posso garantire che gli algoritmi non si alimentano. So che ultimamente la parola algoritmo indica una cosa che i greci avrebbero definito “demone”, ma quando dite “se piove apro l’ombrello’ avete scritto un algoritmo.  Come lo alimentate? Boh.

Se la signora intendeva dire che parlandone la Ferragni  diventa piu’ ricca grazie ad un algoritmo, ho brutte notizie per lei. Il concetto di “engagement” oggi riguarda principalmente la polemica e la bruttura (odio, razzismo, etc). Ad alimentare la fama della Ferragni, e quindi il suo indice di influenza, non e’ parlarne. E’ parlarne male.

Ed e’ l’engagement che porta soldi. Se preferisce “l’algoritmo” che porta soldi. Tanto, cosa NON e’ un algoritmo?

Se l’articolo  parlasse bene della Ferragni, non la arricchirebbe. Invece lo fara’, perche’ e’ brutto e polemico. Bel problema.

Chiarito che la signora non ha idea di quali siano le metriche dei social network, alla fine del periodo trovo il solito parto dell’ Agenda di Smemoranda (per chi non c’era: una specie di blog del liceale, solo che non lo leggeva nessuno. Forse era un bene). Insomma, una tirata sullo specchio e sul simbolo di un mondo vuoto, individualista e squallido , nel quale nessuno capisce che Sandra Figluolo e’ molto migliore di noi.

Vabe’. Non promette bene, ma alimentera’ l’algoritmo dell’engagement.

Non si può dire che Chiara Ferragni è il prodotto – non delle rivoluzioni culturali e dei costumi, non del femminismo e delle lotte delle nostre madri e nonne – ma di quel capitalismo rapace e annientatore che si regge sul consumismo (e che si lava la coscienza con la beneficenza). Non si può scomodare la Scuola di Francoforte, Fromm e Marcuse per far capire che la libertà, quella rappresentata da Ferragni, è la più grande delle prigioni, perché prevede che ogni desiderio e ogni pulsione siano incanalati esclusivamente sugli oggetti da comprare e possedere, che si è ciò che si ha e che ci si autodetermina soltanto scegliendo tra una marca e l’altra.

Qui si abusa ancora una volta dell’ambiguita’ dei linguaggi naturali. Si parla delle lotte delle “nostre” madri e delle “nostre” nonne, spalmando su tutti (anche sulla Figliuolo) le lotte di pochissime donne, dividendo la loro eredita’. Ma ne siamo tutti eredi? La nonna della Figliuolo ha lottato? Era femminista? Sarebbe persino interessante , piu’ di un articolo sulla Ferragni, conoscere le imprese eroiche della nonna della Figliuolo. Giuro. 

Poi arriva il pippone insensato (ma al liceo questa cosa bagna la passerOna alla prof) sulla Scuola di Francoforte, Fromm e Mancuse (poteva metterci anche Carlo Magno , ma la convenzione di Ginevra lo vieta), che ha lo stesso significato di scrivere “viva la figa e chi la burdiga” sul muro, anziche’ dire “sono un maschio eterosessuale e voglio che si sappia”. Quei nomi non c’entrano niente nel contesto, tantomeno con la Ferragni e nemmeno si mescolano benissimo tra loro, ma in un mondo vuoto  e materialista , un po’ di branding non fa male. “Io ho la Mercedes, e tu? Io guido solo Marcuse o Fromm”. Buongustaio! 

In pratica, Marcuse, Fromm e la Scuola di Francoforte sono uno status symbol, per quelle come lei. Sembra la figlia di quei sessantottini che un giorno entrarono in libreria dicendo “devo farmi una cultura in fretta, mi dia il libro piu’ noioso che ha”.

Sul piano logico, e’ un disastro. Nonsense distillato. Si parte dall’idea che la Ferragni rappresenti la liberta’. Perche’ rappresenta proprio la liberta’ e non, che so io, gli idrocarburi aromatici?  Perche’, come era scritto sul muro del mio liceo, “e’ meglio un archetipo di uno stereotipo”. Qualsiasi cosa voglia dire. Ma quanto suona bene.

Comunque, questa liberta’ ipoteticamente rappresentata dalla Ferragni e’ la piu’ grande delle prigioni, quindi non e’ una liberta’ (o facciamo metafisica o facciamo critica, signor(in)a Figliuolo) , e via col pippone liceale che pero’ Pahlaniuk in Fight Club ti ha fregato da anni: “le cose che possiedi ti possiedono”.  Considerato il fatto che fight club e’ diventato il manifesto degli MGTOW, potrei criticare la scelta retorica della giornalista  in molti modi. 

Ricordiamo che  ai tempi del liceo, Essere o Avere era il must della citazione. Specialmente per chi passava tutto il tempo a desiderare dei pantaloni firmati. Cioe’ tutto il liceo.

Un mondo triste, senza empatia e solidarietà, greve e profondamente ingiusto, ma nascosto dietro lustrini e paillettes, e, poiché privo di Cultura, inevitabilmente pure senza senso critico. Un mondo dove esistono folle che acclamano una donna di 35 anni che ha la proprietà di linguaggio di una ragazzina di 13, che, pur essendo a capo di un impero, non è però in grado di parlare con sicurezza in pubblico per 8 minuti, di formulare frasi che prevedano anche qualche subordinata

Tralasciero’ momentaneamente l’abuso della C maiuscola in “Cultura”, tipico di quelle come lei,  perche’ la vedo impegnata in uno sterile ditirambo (*) contro le capacita’ letterarie della Ferragni.

Ma…ma… la Ferragni non e’ famosa per essere una scrittrice, o per meriti letterari.

E’ come se io criticassi le arti marziali di Rita Levi Montalcini. Faceva schifo col Muay Thai, (lottava come una vecchietta di cento anni), ma forse (azzardo) questo e’ dovuto al fatto che di mestiere faceva altro. Per quale motivo si debbano giudicare le qualita’ letterarie della Ferragni , che non lavora nel campo della letteratura, in un contesto come Sanremo, e’ un mistero assoluto. 

A sua discolpa nemmeno la signor(in)a Figliuolo e’ famosa nel mondo della logica. 

A volerla dire tutta, osservando la Figliuolo, si direbbe che sia nata in una casa ove si parlava dialetto – ad occhio e croce uno meridionale – e abbia poi imparato l’italiano come seconda lingua. E’ certamente fluente in Italiano, ma non lo ha imparato di certo a casa: si nota la costruzione liceale del discorso. Il compito in classe, insomma. L’Italiano e’ la sua seconda lingua, non la prima.

In queste condizioni, se la Ferragni e’ ferma a 13 anni, la Figliuolo e’ ferma a 16, quando ha imparato a padroneggiare la lingua di Dante. Chi ama il teorema di buon ordinamento (che per la cronaca equivale all’assioma di scelta) sara’ felice, ma si poteva fare di meglio. Per esempio, continuare ad imparare l’italiano all’ Universita’.

Che mette in fila – più che dei concetti – una serie di meme e luoghi comuni, indossando la maschera dell’insicurezza e della fragilità per tentare di schivare le inevitabili critiche di chi non ci casca. Modello per migliaia (forse milioni) di persone, capace – sempre secondo gli algoritmi – di dettare mode e trend, influencer tra le più note al mondo, ma vestita francamente male (a furia di voler essere originali a tutti i costi si diventa spesso ridicoli). Il nudo disegnato, signori, dice più di un quadrato semiotico.

“Essere donne non è un limite” ha detto dal palco dell’Ariston l’altra sera (dove ancora una volta è riuscita a parlare solo di se stessa: è lei il prodotto in vendita, è chiaro?), quasi con un moto di rivolta, ma sempre ossequiando il pensiero dominante del momento. Siamo nel 2023, pensare che questo possa essere uno slogan femminista vuol dire non avere neanche la più vaga idea della rivoluzione senza tempo di Aretha Franklin che nel 1967 canta “Respect”, per esempio, o più banalmente dell’ombelico di Raffaella Carrà o dei reggiseni in bella vista di Madonna. Vuol dire avere la presunzione di poter cambiare la Storia senza tuttavia conoscerla affatto.

Sul “quadrato semiotico” sembra di sparare sulla Croce Rossa. Pero’, visto che io ho appena inventato “sterile ditirambo” e l’ho dedicato alla clitoride, possiamo pensare che “quadrato semiotico” sia dedicato alla minchia. Una minchiata, insomma.

Mi sfugge l’importanza, nel discorso che si vuole fare, dell’abbigliamento della Ferragni. Ammetto che sia un’imprenditrice nel mondo del Fashion, ma non era li’ in questa veste. Era li’ nella veste di comunicatrice , visto che la TV non comprende il concetto di “influencer”.

Era una critica alla comunicazione televisiva?

Devo dire che una critica alla comunicazione televisiva, specialmente in una trasmissione-abisso come Sanremo, ricorda la scena in cui critichiamo l’arredamento di Auschwitz. Tutti concordano che  un divano ci voleva proprio, ma non era quello il problema di Auschwitz!

Mi interessa, visto che negli anni ’80 c’ero, osservare la mitologia della Figliuolo. Ricordo bene che noi giovani del periodo venivamo indicati come “il disimpegno” se non come “il riflusso”, perche’ a differenza dei settantini ce ne sbattevamo dei Katanga e della Palestina.

Apprendo invece del nostro impegno politico, che consisteva nel nostro rapporto col reggiseno di Madonna.

Essendo stati investiti dal reggiseno di Madonna (un tamponamento di civilta’, direi) scopro oggi che eravamo davvero impegnati. A quanto pare, il reggiseno di Madonna fu un momento di svolta. Anvedi.

Adesso basta con la droga, e diciamola come va detta: in quegli anni il reggiseno di Madonna non se lo e’ fumato nessuno, perche’ si parlava di Moana Pozzi da Pippo Baudo e di Cicciolina in parlamento. La dilettante americana, detta come va detta, se la filavano solo le quattordicenni con le spalline gonfiate e i capelli cotonati. A me piacevano Doro Pesch, Siouxie Sioux,  e Wendy O. Williams: il reggiseno di Madonna era , al massimo, una brutta imitazione. Lo “spagheti bolognese” che vedo nei ristoranti qui.

In una società in cui la libertà si misura dai conti in banca e dal numero di followers, Chiara Ferragni è effettivamente libera. Molto meno lo sono tutte quelle donne che magari da lei sono pure affascinate (e comprano i prodotti col suo orribile marchio per cercare di somigliarle), ma che nascono e crescono in quartieri degradati, che restano incinta a 14 anni perché in questo Paese “libero” l’educazione sessuale alla scuola dell’obbligo è un tabù, che non possono studiare perché bisogna portare il pane a casa, consumandosi lavando scale o sciacquando piatti per avere a 35 anni (e 3 o 4 gravidanze) i tratti di una sessantenne. Oppure avere studiato, essere preparatissime, ma dover esercitare professioni delicatissime (dal medico all’avvocato, dal giornalista all’architetto) con paghe che non arrivano ai mille euro al mese.

Qui siamo nel campo dei luoghi comuni. Esso ha la cardinalita’ del continuo, ma davvero non si capisce da dove arrivino le affermazioni. Piovono assiomi. Se la societa’ misurasse la liberta’ dai conti in banca, quasi tutti sarebbero considerati prigionieri, visto che la distribuzione della ricchezza in Italia e’ pessima. Il numero di followers non e’ mai stato proposto come indice di liberta’, al massimo e’ un indice di importanza, a meno che in dialetto non si dica cosi’, laddove la signor(in)a Figliuolo vive. 

Che nei quartieri degradati (quali? ) si comprino degli originali Ferragni ne dubito, visti i costi. Una donna che fa le pulizie dopo aver abbandonato la scuola a 14 anni e aver avuto quattro figli non se le puo’ permettere, al massimo compra delle imitazioni. (ma non si puo’ nemmeno permettere quattro figli, se e’ per questo)  Queste figure retoriche sono un po’ come la signora di 73 anni che fatica ad usare qualsiasi tipo di tecnologia. Ne parlavo ieri con mia madre, 76 anni, in video su Telegram. Una gran comodita’ se vivi in un paese straniero.

Cosi’ abbiamo i topos:  la vecchietta di 73 anni, il mammifero delle pulizie che veste firmato , e per avere anche il consenso dei piu’ fortunati ci mette anche i giovani meno mammiferi e piu’ studiosi che guadagnano poco: un inno contro il capitalismo.

A proposito:  scrivi un articolo pomposissimo e cacofonico per descrivere quanto ti fa schifo il capitalismo, dicendo che essere e’ meglio di avere, e che la liberta’ non si misura dal conto in banca, e QUINDI concludi  lamentandoti che guadagni poco come giornalista.


Non c’era neanche l’ombra del femminismo più becero nel monologo della signora Ferragni, non c’era un grammo di libertà nei rudimentali pensieri che ha cercato di esprimere. E ciò che è peggio: neanche le emozioni erano vere. Solo un lunghissimo (ed insopportabile) spot per vendere, vendere, vendere. Monetizzare, e in questo è effettivamente bravissima. Ma io sogno un mondo in cui conti l’Essere e non l’Avere, in cui le persone siano libere perché hanno tutte accesso agli strumenti per imparare, conoscere, sapere e quindi pensare e scegliere, compiendo azioni un po’ più impegnative di mettere un like come scimmie ammaestrate. In cui i monologhi li fanno persone che hanno qualcosa da dire e che con la forza delle parole riescono a cambiare la realtà. In meglio.

Qui arriva il momento dei botti finali, che caratterizzano la fine di ogni spettacolo di fuochi d’artificio. Non si capisce se sia un bene o un male che ci sia (o meno) il femminismo “becero”: prima di lasciare l’italia, usavo la parola “becero” come dispregiativo. E’ cambiato il significato nel frattempo? Chiedo: e’ un bene o un male che non ci sia stato il femminismo piu’ becero? Ad occhio e croce e’ un bene. 

“Non c’era un grammo di liberta’ nei pensieri che ha cercato di esprimere”. Oddio, non e’ che la Figliuolo brilli di strutturazione elegante del pensiero, (a meno che non sia un’ammiratrice di Le Corbusier), ma il cazzo sui maccheroni arriva quando dice che, ovvove ovvove, “nemmeno le emozioni erano vere”. Lo scrive sul serio. 

Mi viene da chiedere cosa succedera’ quando la Figliuolo scoprira’ che Sylvester Stallone non e’ mai stato un soldato ne’ un pugile, che i draghi del trono di spade non esistono, che le attrici porno recitano ,  o che Sanremo e’ una trasmissione televisiva con autori e sceneggiatura. NIENTE e’ autentico. E’ tutto costruito. Per definizione, per contratto e per convenienza. Parlassimo di un Reality, potrei ancora capirlo: in tal caso tutti vogliamo le emozioni “vere”. Ma e’ Sanremo. Una costruzione per famiglie nazionalpopolari: le emozioni “vere”  uccidono la famiglia nazionalpopolare  come tanti vampiri esposti al sole. E’ OVVIO che le emozioni di Sanremo siano finte.

Contesta che la Ferragni sarebbe “un lunghissimo spot per vendere, vendere, vendere”, come se Sanremo non fosse una trasmissione televisiva mirata agli ascolti , per fare pubblicita’ e vendere, vendere, vendere. Ripeto: o fai critica o fai metafisica. 

Quanto alla storia che i monologhi li fa solo chi puo’ cambiare il mondo con le parole, ci tengo a ricordare che la moda dei monologhi in TV fu lanciata da Adriano Celentano. Forse per questo il mondo di oggi e’ cosi’ Yuppi Du.

Lei sogna un mondo di verbi , (Essere, Avere, Mangiare, Camminare) dove tutti abbiano accesso agli strumenti per imparare. E lo scrive su internet. La rete accessibile a tutti ove, volendo, si trova tutto lo scibile umano. Ho brutte notizie per lei: TUTTI hanno accesso al sapere, oggi.Posso iscrivermi da remoto ad un corso di giapponese , ed impararlo. (lo fa mia figlia, ma ok, e’ come con la nonna femminista). 

Il problema  (che quelle come la Figliuolo non afferrano) e’ che, anche avendone la possibilita’, non tutti VOGLIONO FARLO.

Che non mi si racconti che oggi esistono delle branche del sapere inaccessibili a chi sa usare internet come strumento conoscitivo. Tutti, tutti, tutti hanno accesso a strumenti per conoscere. I corsi di Coursera sono GRATUITI. Io feci 40 Km in treno per andare in una biblioteca universitaria a cercare cosa fosse uno “scrambler”, negli anni ’80.

Gli strumenti conoscitivi li hanno tutti, signora: si chiama “Internet”. Se non li vogliono usare, e’ perche’ NON VOGLIONO. E a questo punto si pone il problema della liberta’: se tra guardare le non-tette della Ferragni e passare il tempo su Coursera le persone preferiscono Sanremo, fa parte delle loro liberta’. 

Togliendo la liberta’, potremmo obbligare tutti a passare le serate su Coursera. 

Non si può dire? E io lo dico senza alcuna invidia: dietro i selfie e i trucchi c’è il nulla assoluto e non ci vuole neanche tanto a smascherarlo. Basta avere quella capacità di pensare e ragionare contro la quale personaggi come Ferragni investono ogni secondo della loro esistenza e ogni energia per poter governare meglio masse di imbecilli.

Che cosa “non si puo’ dire”? Se c’e’ una caratteristica del mondo social di oggi e’ che si possono dire anche le cose piu’ orrende, meschine, esecrabili ed esecrate. Ormai ci sono ministri vestiti da SS e persone che inneggiano al genocidio. Che cosa “non si puo’ dire”? 

Questa parlata si chiama “rivoluzione come hobby”, ovvero questo assurdo e anacronistico atteggiamento di chi “trasgredisce” di chi “fa cio’ che e’ proibito” , ‘dice quello che non si puo’ dire” , dimenticando che per trasgredire occorrono delle norme, e poi dimenticando che in questo secolo LE NORME NON ESISTONO PIU’ (e sta diventando raro anche trovare qualcuno che le ricordi).


In generale, questo articolo e’ l’equivalente di “se ti piace la figa tira una riga” che si trovava nei cessi dei maschi , al liceo. Chi scriveva voleva dire “sono un maschio eterosessuale , e voglio che non ci siano dubbi a riguardo”. 

Allo stesso modo, cosa vuole dire questo articolo da liceale? Vuole dire 

“sono migliore di voi, sono migliore di tutti, perche’ io so pensare meglio di voi, preferisco Essere che Avere, o Smerigliare piuttosto che Fresare, (insomma,” perche’ ho il potere dei verbi”) perche’ ce l’ho col capitalismo, che identifico con altri enti che non sarebbero mai passati per la mente a Marx, e perche’ non voglio che la  liberta’ si misuri col conto in banca ma i giornalisti guadagnano solo mille euro al mese.”

Vuole un consiglio, signora Figliuolo?

Tiri una riga anche lei. E’ sintetico, apotropaico, itifallico (cit.), propedeutico, aristotelico, e specialmente non succede sui giornali.


Cosa ci dice questo della Ferragni?

Che e’ la “primina” (studentessa tredicenne di prima ginnasio) piu’ gnocchetta della scuola, ha il fidanzato Chad molto fico che canta il rap, ma le ragazzine piu’ grandi la snobbano.

Niente di serio. 

(*)dedico la creazione di “sterile ditirambo” alla clitoride, mia fonte di ispirazione. 

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