Socialita’ obbligatorie.

Prendo spunto da un post sul blog di Yossarian per una riflessione sull’educazione alla socialita’ di molti italiani, la quale sta portando ad una sempre piu’ sentita esigenza di selezione. In pratica, sempre di piu’ la societa’ si segmenta, in reazione ad una cattivissima educazione sociale del giovane italiano.

Riflettiamo un attimo sulla dinamica dell’educazione sociale dell’italiano.

Per via dei tempi e della difficolta’ lavorative, l’infanzia trascorre tra i nonni e gli asili nido. Poiche’ la socialita’ dei nonni non e’ una vera socialita’, si finisce all’asilo nido.
Fin qui niente di male: nell’asilo nido il bambino si trova con altri bambini, e le differenze di eta’ rendono abbastanza variabili le classi. Il bambino, quindi, si trova a socializzare con altri bambini , che variano abbastanza nel tempo.Il dramma iniziera’ dopo.

Finita l’infanzi, il bambino si ritrova nel peggior carnaio sociale della nostra era: la scuola pubblica. Esso viene irregimentato in classi e finisce in compagnia di altri tot bambini, coi quali socializzera’. Si tratta di un gruppo chiuso, il quale non e’ stato scelto. Ma non solo: il nostro bambino non ha fatto alcuno sforzo particolare per socializzare: egli si trova dentro un gruppo in maniera gratuita. 
Una volta entrato nel gruppo, si ritrova per cinque anni in compagnia di quelle persone. Deve fare qualche sforzo per socializzare? Non realmente: l’enorme quantita’ di tempo passata con quelle persone, che gli si sono affiancate gratis, fara’ si’ che dopo pochi mesi abbia un ruolo di qualche genere nel gruppo.
Ora, possiamo discutere del ruolo che ha nel gruppo, ma non del fatto che ne faccia parte. Ne fa parte perche’ un meccanismo sociale fa si’ che ne faccia parte. Il primo punto della socialita’, cioe’ l’oltrepassare il primo gradino (quello tra completi sconosciuti e persone che dialogano) e’ stato superato gratis.
Se prendiamo due persone sull’autobus, otteniamo che potrebbero incontrarsi ogni giorno per 20 anni sullo stesso autobus, riconoscere i rispettivi volti come volti familiari, ma non rivolgersi mai la parola. Perche’ si rivolgano la parola occorrera’ salire un primo gradino, che definirei “rompere il ghiaccio”. Cosa che potrebbe anche essere considerata invadente, ma rimane il primo gradino della socialita’. Senza questo gradino, si rimane dei perfetti sconosciuti.
Ora, il problema e’ che dai 6 ai 18 anni, questo gradino e’ superato sempre in maniera gratuita. Un ente, la scuola, non fa altro che prendere il ragazzo e metterlo in una classe con altri. Sebbene la sua abilita’ nel socializzare possa determinare (o meno) il suo successo dentro il gruppo, rimane il fatto che si e’ saltato il primo passo della socialita’, quello che potremmo definire “rompere il ghiaccio”.
Il nostro ragazzo, insomma, e’uno sciatore formidabile, nel senso che con gli sci ai piedi la sua performance e’ eccellente. Ha un solo piccolo difetto: non sa infilarsi gli sci da solo.
Finiti gli anni della scuola, il nostro sociale da recinto si trova al lavoro. Ovviamnte non ha problemi a socializzare, dal momento in cui si trova dentro una stanza con altri, cioe’ coi colleghi. E sara’ meglio che sappia farlo, perche’ e’ l’unica cosa che sa fare. Perche’ questa e’ tutta la socialita’ che ha imparato in 20 anni di scuola: socializzare con altre persone, a patto di trovarsi a passare piu’ di 3 ore insieme nella medesima stanza.
Arrivato all’era adulta, quindi, il nostro italiano si ritrova chiuso nel proprio ambiente di lavoro. Se vuole conoscere altre persone deve andare in un qualche ambiente chiuso (o gruppo chiuso) nel quale passa ore ed ore al giorno. Il semplice contatto occasionale non gli e’ sufficiente: non sa gestire tempi piu’ brevi, non sa gestire la situazione di “rompere il ghiaccio”. Non gli e’ stato insegnato, perche’ la prima parte della socialita’ gli e’ sempre stata fornita gratis dalla scuola.

 

Passiamo al secondo punto: che cosa deve fare il nostro ragazzo per rendersi socialmente gradito, dentro una classe? Beh, trattandosi di un gruppo chiuso obbligatorio, il limite e’ dettato dalle regole che si vengono a creare in quel gruppo. Il nostro ragazzo non ha, cioe’, dei reali limiti: il gruppo non lo puo’ cacciare.
Certamente il gruppo puo’ anche punirlo in altri modi: emarginandolo, rimanendo ostile, eccetera. Ma non puo’ cacciarlo. La sua appartenenza a quella classe scolastica (o a quel reparto dell’azienda subito dopo) non e’ MAI in dubbio.

Quello che il nostro ragazzo deve decidere e’ come gestirsi all’interno del gruppo, ma non come gestirsi per entrare nel gruppo stesso. La gigantesca carenza sociale che l’italiano acquisisce si potrebbe riassumere in due proposizioni:

  1. Il gruppo  NON mi puo’ cacciare.
  2. Appartenere al gruppo  non richiede alcun particolare sforzo da parte mia.

Ovviamente, le cose non stanno cosi’. Se escludiamo i gruppi forzosi , il punto e’ che nella societa’ reale succede questo:

  1. Il gruppo ti PUO’ cacciare.
  2. Appartenere al gruppo richiede un preciso sforzo di rendersi amabili o almeno gradevoli. In ultimo, almeno non deliberatamente sgradevoli.
 Che cosa succede quando il nostro italiano arriva all’esterno? Partiamo dalla mia esperienza universitaria come buttafuori. Il nostro italiano entra in una discoteca convinto che per quanto faccia, le sue azioni saranno dimenticate prima o poi. In ogni caso , non puo’ essere rifiutato, se non temporaneamente. Si ritrova ad avere un club che ti lascia entrare per tessera, e dei PR dai neuroni sovrasviluppati capaci ri tenere in mente tutti e diecimila i nomi della propria agenda.
Cosi’, non si stupiscono molto se rompendo le palle a qualche ragazza ella richiede l’intervento dell’autorita’. Ma sono abituati all’autorita’ scolastica, inetta e poco punitiva. Iniziano a capire di averla fatta grossa quando ti avvii ad accompagnarli fuori dalla porta.
Qui crolla il primo tra i loro paradigmi: il gruppo ti puo’ cacciare.
La loro reazione scomposta e’ normalmente divertente: essi non fanno altro che enunciare il loro diritto di stare nella discoteca. Del resto, e’ loro diritto stare in classe. La loro educazione sociale si e’ basata su una scuola ove era loro diritto entrare e sedersi in classe. Le punizioni di tipo esclusivo (esci di qui mezz’ora) magari c’erano, ma non implicavano il rifiuto da parte del gruppo (i compagni di classe). L’idea che esista un rifiuto che parta dalle altre persone, e viene eseguito dall’autorita’, non e’ parte della loro educazione.

 

E’ come se la classe chiedesse al prof di espellere un alunno, e di non riammetterlo mai piu’, perche’ ha dato fastidio ad una ragazza. Nelle scuole NON succede mai. Si tende a dire che il fatto che a volte succedano scaramucce sia il costo naturale dell’appartenenza forzata ad un gruppo. Ma le cose non stanno cosi’ fuori: fuori, il gruppo ti puo’ espellere. E per sempre.
Ovviamente il buttafuori non ha tempo di fare filosofia con gli idioti, e specialmente l’idiota non capisce che scaldandosi non solo rischia la fraccata di mazzate (o il lancio da una tromba di scale)(2) , ma non capisce che nella migliore delle ipotesi il suo viso di imprimera’ nella memoria di PR e di buttafuori, col risultato che poi verra’ bloccato all’ingresso per sempre, o quasi.
Ma tant’e’: il primo fattore di desocializzazione che l’italiano si trova ad affrontare finita la scuola e’ che non prende in considerazione il fatto di poter essere cacciato da un gruppo.
Andiamo alle motivazioni. Le motivazioni sono sempre quelle: una volta reso stabile artificialmente e gratuitamente un gruppo, nessuno si rende conto del fatto che per stare in un gruppo bisogni rendersi amabili, ed evitare di irritare le persone, perlomeno di risultare sgradevoli.
La scuola sta insegnando il contrario: puoi essere sgradevole quanto vuoi, o quasi, perche’ comunque domani si tornera’ tutti in classe. La persona con cui sei stato sgradevole magari sara’ arrabbiata per un pochino, poi le passera’. Se anche non passa, visto l’enorme quantitativo di tempo che passerete insieme, il gruppo imparera’ “come prenderti”. Potrai quindi mantenere quel vizio di pettegolare sui tuoi compagni di classe, visto che alla fine dei conti lo scopo dell’istituzione scolastica sara’ di troncare e sopire, e verra’ consigliato a tutti di lasciar perdere e di sopportare.

 

Lo stesso succede spesso sul lavoro: dal momento che spesso il lavoratore e’ inamovibile, la piccola societa’ obbligatoria che si crea portera’ ad un qualche equilibrio per il quale le persone attorno “sanno che sei fatto cosi”. Il nostro italiano medio arrivera’ all’era adulta pensando di non dover “limare” gli spigoli del PROPRIO carattere, in quanto per un qualche motivo l’ambiente circostante e’ tenuto ad accettare e sopportare: semmai, il fascista e’ quello che ad un certo punto dice “levati dal cazzo”.
Cosi’, spesso io vengo infastidito via email: un tizio mi ha scritto che secondo lui le donne che usano la RU486 sono ragazzine viziose che amano farsi sborrare in fica. Non so in qualche film porno abbia visto tutto questo: il fatto e’ che se giri per i reparti ospedalieri perche’ fai una figlia, noti che in realta’ tutte  le donne che useranno la RU486 sono donne che abortiscono per motivi tutt’altro che ludici. Se poi qualche storia ti colpisce (3), e’ fatta. Arriva questo idiota e ti manda un’email cosi’, e tu lo mandi a cagare. Lui che cosa fa? Torna a scriverti.
Perche’ torna a scriverti? Perche’ crede di essere in una classe di liceo, ove e’ obbligatorio, l’indomani, sedersi accanto negli stessi banchi. Ma qui non siamo al liceo, e no, non sono obbligato a sedere a fianco di qualcuno: “levati dal cazzo” e’ la risposta obbligata. Mi hai dato fastidio? Si. Sono obbligato a sopportarti? No. Bene: levati dal cazzo.

 

Questo ragionamento e’ considerato oggi fascista: eppure si tratta della normalita’. La vera anormalita’ e’ il sistema sociale che ti irreggimenta aggratis, cioe’ ti crea un gruppo attorno senza che tu debba fare alcuno sforzo per mantenere l’appartenenza. La vera anormalita’ e’ la pretesa che un gruppo non possa mai escluderti definitivamente per il solo fatto di non aver fatto alcuno sforzo di renderti amabile.
La vera anomalia e’ di chi ritiene di avere il diritto di essere tollerato, il diritto all’appartenenza al gruppo. Dopotutto, se appartenete di diritto ad un gruppo, le stesse regole possono venire violate: che cosa vi fa, altrimenti, il gruppo? Cosi’, arrivo al dunque.
Quello che Yossarian ha imparato a sue spese e’ proprio la difficolta’ dell’italiano a non capire che un gruppo NON e’ tenuto ad accoglierti tra i membri , e neanche a sopportarti. Tantomeno i singoli individui, piu’ o meno parte di un gruppo.
Il problema e’, di per se’ , molto semplice: se non fai alcuno sforzo per renderti amabile, nel lungo e medio termine i tuoi rapporti con qualsiasi gruppo ne usciranno deteriorati.

Ovviamente la scuola e il lavoro non sono gli unici gruppi “obbligatori”. Per chi vive in un paesello, o in una comunita’ ristretta, qualsiasi cosa accada c’e’ sempre il domani nel quale si risvegliera’ e si trovera’ ancora cittadino di quel paesello (con tutta la rete che esso rappresenta) e/o di quella comunita’. La famiglia e’ un altro esempio: per quanto stronzo tu sia, si pensa che domani ti sveglierai comunque nella stessa famiglia, e dovrai in qualche modo, prima o poi, fare la pace.

Il terzo dei paradigmi scorretti che vengono insegnati all’italiano, piu’ dalla famiglia e dalla provincia ove vive, e’ il seguente:

  1. Il gruppo  NON mi puo’ cacciare.
  2. Appartenere al gruppo  non richiede alcun particolare sforzo da parte mia.
  3. Nel lungo termine, ogni dissidio si ricompone e tutto torna come prima.
L’idea che un dissidio ottenga un vaffanculo definitivo non passa mai per la mente dell’italiano che abbia una certa idea di famiglia. Mia madre e mio padre pensano, per esempio, che prima o poi il dissidio tra noi si ricomporra’: per loro il clan familiare e’un fatto, e l’indomani ti svegli sempre che fai sempre parte della stessa famiglia. Il fatto che un vaffanculo sia definitivo ed invariabile nel tempo e’ al di fuori della loro mentalita’, il commento piu’ frequente che sento in giro e’ “sono sempre i tuoi genitori”, e quel “sempre” indica l’errore caratteristico dell’italiano, ovvero quello di ritenere obbligatori e perenni alcuni rapporti umani.
Anche senza andare sull’estremo, ci sono sempre migliaia di frasi simili , del tipo “ma dai, siete sempre stati amici”, “dai, sono pur sempre i tuoi compagni di classe”, “in quel posto ci devi sempre lavorare, in fondo”: tutto quell’uso della parola “sempre”  e’ una cartina tornasole dell’errore che sta alla base: i rapporti personali sono eterni ed invariabili; in ogni caso non puoi rifiutarli.

 

Tutto in questa dialettica lascia pensare che i rapporti siano una realta’, un fatto (sono pur sempre i tuoi compagni di classe) , una cosa che e’ sempre stata (siete sempre stati amici) sin dai tempi immemorabili,e  quindi destinati a durare per sempre (in quel posto ci devi sempre lavorare) , e quindi l’ultima cosa che devi pensare e che se un rapporto si fa problematico tu debba o possa semplicemente troncarlo per i tempi a venire.

 

Quando facevo il buttafuori, spesso leggevo un simpatico cartello fuori dalle discoteche. Esso diceva
“la selezione all’ingresso migliora il tuo divertimento”.
Il principio e’ fantastico, ma e’ espresso, secondo me, in maniera troppo positiva. Secondo me la migliore formulazione analoga e’ quella di Stalin:
“ogni problema nasce da una persona. Togli la persona, togli il problema”
Certo, forse la sua idea di “togli” non era la stessa, ma il principio rimane valido: nessun dottore ci ordina di sopportare la persona X, nessun giudice ci ha condannati al rompicoglioni petulante.
E cosi’, caro Yoss, benvenuto nel club dei normali.
Quelli che possono anche decidere con chi avere rapporti, telematici o meno.
Uriel
(1) Conobbi un PR (professionista) che “aveva un’agenda di diecimila nomi.” Cosi’ queste persone misuravano la loro professionalita’. Passava ogni giorno a sentirne un pochino, giusto per salutare, dire ciao, fare due o tre domande di circostanza, e chiedere se interessa un invito per il tale evento che sono pagati per animare. La loro mente si specializza a tal punto che possono davvero tenere una blacklist in memoria. Nella memoria che hanno in testa, intendo. Fate una cappella con uno di questi, e siete finiti.
(2) Di fatto non e’ illegale. Si prende una rampa di scale inutilizzata e ci si mette il coso di plastica gialla che dice “pavimento bagnato”. Si solleva di peso il cretino in due o tre, e lo si lancia a volo d’angelo giu’ per la rampa. Funziona molto bene con gli ubriachi, meno coi cocainomani. Immagino che il picco di adrenalina che inizia con il volo possa compensare momentaneamente gli effetti dell’alcool e dare qualche momento di sobrieta’.
(3) In generale , niente ti riaggiusta nei confronti del corpo femminile quanto avere figli, se temi di essere inquinato da una vocazione all’immagine modaiola della donna. Innanzitutto perche’ inizi a scontrarti coi limiti tecnici, le problematiche fisiche ed eventuali problemi, quando ci sono.  Poi perche’ ti scontri con l’estrema specializzazione biologica insita nelle parti del corpo femminile che normalmente consideri “ludiche” piu’ che funzionali: la natura , quando una donna entra in gravidanza, mostra ler intero l’estrema , spietata , inesorabile specializzazione del corpo femminile: la trasformazione che avviene e’ cosi’ indifferente a qualsiasi considerazione estetica e sociale , cosi’ inesorabilmente sistematica da stravolgere completamente qualsiasi ordine di priorita’ e  di classificazione del corpo femminile: sebbene il corpo femminile riesca abbastanza bene in questo, estetica e piacere NON erano le priorita’ di madre natura quando effettuava il design dell’architettura, e niente ve lo chiarira’ quanto avere figli insieme. Poi ci sono i corsi pre-parto, nei quali partono N donne ai primi mesi di gravidanza, e non tutte (purtroppo )ce la fanno. Se percepisci un minimo la sofferenza di un altro essere umano, ti passa la voglia di sputare sentenze sulle donne che abortiscono, specialmente quelle che non possono avere interventi chirurgici per motivi diversi e devono usare altri modi.

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