“Jordan Peterson”?

"Jordan Peterson"?

Mi sono imbattuto, in una discussione casuale , sul nome di un certo Jordan Peterson. A quanto pare, sembra essere una specie di “guru” capace di illuminarti e aprirti le porte del successo, un pochino come il network marketing, ma meglio.

Cosi’ sono andato a cercare questo personaggio, che sembra spopolare su Youtube, e ho cercare di capire chi fosse.

Svelo prima il mio bias: anni fa un fornitore ci offri’, aggratise, un corso di “The 7 Habits of Highly Effective People“. Cioe’, come prendere le sette abitudini che ti faranno diventare molto “effective”.

Si trattava di un corso newage, o forse post-age, che non ha nessuna possibilita’ di resistere al concetto italiano di “americanata”.

Al centro, un italiano circondato da fuffa americana che pensa “americanate”: una misura degli effetti.

L’insegnante era anche abbastanza divertente, ma ho cominciato a sospettare che qualcosa non andasse quando notai, tra le perle di saggezza  di Stephen Covey, delle massime Bene Gesserit.

Highly Effective.

Ora, voi direte: che diavolo ci faceva Dune tra le abitudini per diventare persone “effective”? Certo, riconosco che Paul Atreides potrebbe essere considerato “effective”, ma in azienda non dovreste portare vermi cosi’ grandi. Non si parcheggiano, davvero.  E spacciarli per “pet therapy” e’ dura.

Comunque, dopo i primi giorni di “training” avevo riconosciuto Jubal Harshaw, (Heinlein) , il professor Dubois (Heinlein), il Bene Jesserit, (Herbert), il Bene Tleilaxu (Herbert), Tufir Hawat, (Herbert), Bron Ander Altern (Colin Kapp), Cirocco Jones (Varley), Larry Niven, François Rabelais, Johann Gottlieb Fichte, Stephen King, ed altri.

A quel punto cominciai a chiedere agli altri aspiranti “effective” se loro avevano mai letto di questi libri, e siccome l’aspirante manager NON legge, scoprii di essere l’unico ad aver capiro che si trattasse di una rimasticatura della fantascienza degli anni 60/70, con sette consigli del tipo “non scendere da entrambe le parti del letto”, “fai girare i piattini”, e alla fine credo di essere stato troppo distratto quando e’arrivato a “viva la fica”, che lui esprimeva come “distingui le cose urgenti dalle cose importanti”.

Peterson e’ uno di questi elementi, con la differenza che fa parte dell’universo della destra americana. E’ diventato famoso per essersi opposto alla legge canadese che obbliga le universita’ a riconoscere i pronomi delle persone transessuali (circa lo 0.28% della popolazione) e siccome e’ uno psicologo clinico ha capito tutto della vita, dell’universo e di tutto quanto.

E specialmente, ha capito che seguendo 12 regole diventerete persone di successo. Il suo pensare e’ cosi’ catastrofico che viene da chiedersi come abbia fatto a sopravvivere, e la tecnica che usa e’ molto semplice:

Se gli chiedete cosa pensa, scoprite che lui sta “investigando il rapporto tra significato e responsabilita’”. Una frase che non significa nulla, a meno di non essere meglio spiegata, cosa che Peterson non fa MAI.

Dopo aver fornito all’interlocutore una frase troppo astratta ed ambigua per essere capita, l’interlocutore gentile e’ portato a fare domande.

OGNI cazzo di discussione con Peterson funziona cosi’:

TUTTE, TUTTE le sue interviste si basano SEMPRE sullo stesso schema, sino alla noia. Ambiguo nel dichiarare, preciso fino allo sfinimento nel negare di aver dichiarare qualcosa.

Io capisco che la giornalista femminista che gli hanno messo contro in Inghilterra fosse una nana bianca nell’universo della candidosi vaginale, ma onestamente un dialogo contro Peterson potrebbe finire semplicemente cosi’:

E cosi’ via. E’ una specie di robot che e’ molto astratto ed ambiguo nell’affermare, sino al palese nonsense, per poi diventare pedantemente preciso quando si tratta di dire che NON ha detto quello che avete capito voi, dal suo messaggio confuso e contraddittorio.


Passiamo al suoi errori logici, che sono ancora piu’ catastrofici.

Il primo e’ che definisce il lavoro dello psicologo clinico come se fosse una specie di “career coach”. Continua a ripetere quante persone ha aiutato ad avere successo (senza fare nomi, e senza che alcuna di queste persone lo abbia mai ringraziato pubblicamente: non ci sono evidenze di tutto questo aiuto)  .

Sfortunatamente, anche ad una lettura superficiale da non addetto, la “psicologia clinica” non ha niente a che vedere con tutto questo. Lo psicologo clinico non vi insegnera’ ad avere successo.

Quindi, se esploriamo in senso astratto questa professione, possiamo dire che , secondo quel che ha detto, la psicologia clinica di cui parla Peterson e’ perlomeno una distorsione esagerata del lavoro descritto dai corsi di laurea.

Comunque, prendiamolo per buono. Andiamo avanti.

Quando viene interrogato sul gender gap dice una cosa giusta, che evidentemente non capisce lui stesso: i predittori del reddito sono molti, e non solo il genere. Giusto.  Questo lascia intendere che lui conosca il problema, lo abbia esaminato sul piano statistico, e a quel punto abbia un’opinione precisa.

Dimentica pero’ di menzionare il fattore  importante in un MERCATO del lavoro: il prezzo e’ l’equilibrio tra domanda e offerta. Il PRINCIPALE predittore del reddito , in un mercato del lavoro, e’ l’equilibrio tra domanda e offerta. Ma Peterson e’ cosi’ occupato a puntare il dito sul percorso educativo delle donne che non prende MAI in considerazione il problema che determina il prezzo di una prestazione lavorativa in un qualsiasi mercato: il rapporto tra domanda ed offerta.

E’ cosi’ impegnato a dimostrare che le donne hanno successo in altri campi (infermiere, ed altro) che dimentica solo di chiedersi quale sia la domanda di infermiere/i, come se le condizioni di mercato non c’entrassero nulla con il prezzo del lavoro.

Viene da chiedersi se conosca davvero l’ “analisi multifattoriale” di cui si sciacqua la bocca.  Quando parla di gender gap non menziona mai ne’ domanda e offerta, ne’ elasticita’ e anelasticita’. Per lui tutto dipende dalle differenze tra uomo e donna, come se un cerusico (mestiere di cui non esiste piu’ domanda sul mercato) avesse piu’ probabilita’ di guadagnare molto se fosse un uomo.

E non sto battendo su questo tasto per caso: questa mania di non investigare sui fattori di mercato e’ stata ripresa da alcuni giornalisti italiani di Repubblica, che si sono bevuti tutta la storiella senza fiatare. Ti spiegano come guadagnare quanto un uomo, ignorando bellamente i fattori di mercato, e puntando tutto sul fatto che “bisogna scegliere gli studi giusti”.

https://lab.repubblica.it/2021/gender-pay-gap-come-ottenere-parita-di-stipendio-tra-uomo-e-donna/

Ora, ho sempre detto che la mancanza di ingegneri informatici femmine sia dovuta al fatto che ce ne sono poche nelle scuole, e ho sempre detto che non e’ certo il patriarcato ad impedire alle ragazze di iscriversi ad ingegneria.

Ma se non si iscrivono, deve esistere una causa: e siccome non esiste nessun “patriarcato” di cui si conosca un modello , mentre esiste sicuramente un MERCATO, per esempio mi chiedo se per caso la relazione tra domanda e offerta non c’entri qualcosa. Sarei piu’ portato ad affermare che ci siano precise ragioni DI MERCATO nella tendenza delle ragazze a non iscriversi  nei corsi STEM, per una semplice ragione: quando si parla di questioni quantitative, quasi sempre le regole sono quelle di un equilibrio costi/benefici.

Non e’ mia intenzione scaricare sul mercato OGNI causa del gender gap. Ma veder escludere dall’analisi del MERCATO DEL LAVORO i fattori di MERCATO, mi riempie di diffidenza. Idem per il rapporto tra costi e benefici, che non viene MAI menzionato da Peterson e dai suoi adepti di Repubblica.

Il fatto che la “filosofia” di Peterson stia facendo adepti sui giornali mi lascia pensare molto. E’ vero che un’analisi multifattoriale smentisce che il principale predittore del reddito sia il sesso (il numero di uomini ridotti a barboni e’ molto piu’ alto rispetto alle donne, per esempio) ma e’ anche vero che un’analisi multifattoriale che esamini il comportamento di un mercato SENZA inserire domanda, offerta, costi e benefici, a me sembra una fumante pila di merda.

Del resto, Peterson sembra continuare a rivestire di una patina di scienza quelle che erano tesi del tutto filosofiche della destra americana: per lui la caratteristica del successo e’ quella di non essere “agreeable”, cioe’ di dire anche cose che irriteranno gli altri, se si pensa che siano cose vere. Che e’ la tesi della destra americana contro il “feeling before of facts”.

Ora, possiamo essere contrari al politically correct quanto vogliamo, e io lo sono, ma la situazione di ESTREMA polarizzazione NON e’ una situazione di politically correct: quando il negro americano se ne esce dando tutta la colpa al maschio bianco non e’ politicamente corretto, quando la femminista dice che ogni maschio e’ uno stupratore non e’ politicamente corretto, lo SCUM Manifesto non e’ politicamente corretto.

La polarizzazione estrema che la societa’ sta vivendo, cioe’, non e’ una situazione ove aumenta l’ “agreeability”, anzi e’ tutto il contrario. Da entrambi i lati.

La tesi secondo la quale il politicamente corretto (che si manifesta MOLTO di piu’ nei periodi nei quali ogni cosa e’ “bipartisan”) sarebbe “agreeable” a me sembra delirio puro. Se c’e’ un mondo che dice cose non “agreeable” e’ quello della sinistra radicale americana, che Peterson considera la madre del politicamente corretto, madre che e’ invece nel centrismo. Una polarizzazione ove i due poli si insultano a vicenda (quando non si sparano) non e’ “politicamente corretta”. Non puo’ esserlo.

Attribuire al “politicamente corretto” una femminista che ti dice che se sei un maschio sei la merda dell’universo e’, onestamente, un’altra delle fumanti pile di merda di Peterson. Le femministe NON sono politicamente corrette, e se non mi credete dovete solo leggere quella specie di Mein Kampf che e’ lo SCUM Manifesto.

Anche la storia della “consciousness” e’ abbastanza ridicola.

E’ vero: consciousness , agreeability ed altri sono i tratti della personalita’ che si usano nel big data per fare profilazione.

Ma Peterson continua a fare affermazioni che NON sono affatto dimostrate dai dati reali. Secondo lui questa societa’ ha visto decrescere, oltre alla un-agreability (cosa che non e’ evidentemente vero perche’ la societa’ si polarizza) , anche la consciousness.

Ma nemmeno questo e’ vero: una societa’ ove ognuno ha un calendario in tasca, ove le persone vengono contattate di continuo per verificare che abbiano portato a termine il proprio lavoro, ove il lavoro si digitalizza e viene controllato da macchine, NON E’ una societa’ ove cala la consciousness.

Ancora, una societa’ ove la produttivita’ sale NON e’ una societa’ ove diminiusce la consciousness. Una societa’ con canoni estetici sempre piu’ difficili da seguire, eppure sempre piu’ seguiti con impegno e sacrifici, non e’ una societa’ ove manca consciousness.

Anche su questo fatto, Peterson fa affermazioni completamente apodittiche, che hanno le loro radici nell’idea della destra: “good times make weaker men, weaker men make bad times , bad times make stronger men, stronger men make good times”.

Ma non esiste alcun riscontro scientifico di cosa siano queste entita’: la tesi di Peterson si pronuncia sostituendo a “weak” la coppia {freedom,rights} e alla parola “hard” {un-agreeable, conscious}. Ma non esiste alcuna evidenza di questo ciclo.

Il lavoro di Peterson e’ di prendere le tesi della destra USA e riscriverle usando le buzzword della psicologia clinica, allo scopo di ammantare le idee di destra con una patina di scientificita’.

Una patina che cade quasi subito, ad un esame razionale.

Ma ovviamente, sapete una cosa?

“Peterson non ha MAI detto questo”.

Il che e’ ovvio, visto che non ha mai detto NIENTE.

Perche’ la sua NOIOSISSIMA tecnica dialettica consiste nell’essere ambiguo e astratto quando afferma, e poi essere preciso e pedante quando nega di aver detto la diarrea ambigua che avete sentito.

Se solo qualcuno si alzasse dicendo “questa merda non significa nulla in nessuna lingua” quando fa le sue affermazioni astratte, Peterson semplicemente non riuscirebbe piu’ a vincere un dibattito.

Uno dei tanti cialtroni che vendono americanate, insomma.