Avviso ai compagni.

Sento il bisogno di scrivere questo articolo perche’ ho appena finito di chiacchierare con l’ennesimo poveroricco di sinistra. E la cosa piu’ incredibile, quella che mi colpisce di piu’, e’ la loro convinzione che il travestimento regga, che abbia sempre retto e che reggera’ sempre.

E quindi vanno in giro cosi’

camouflage fail

credendo che nessuno li veda. Allora, ci sono diverse ragioni per le quali tutti vedono che venite da famiglie agiate, e che avete un’esistenza tutto sommato invidiabile.

  • La prima cosa e’ il senso di colpa.

I borghesi italiani, ma in generale i borghesi di qualsiasi paese cattolico, si vergognano di essere ricchi. A differenza dei poveri, che imparano a vergognarsi di essere poveri e si sforzano di imitare i ricchi, il borghese si vergogna di essere ricco e si sforza di imitare i poveri. Il risultato e’ essenzialmente questo:

fintopovero

Questa persona deve aver letto molte cose sui poveri, cosi’ riesce a descrivere in che modo i ricchi vedono i poveri. Bene, adesso sappiamo come i ricchi immaginano i poveri. Ma ci sono DUE incongruenze in questo dipinto.

La prima e’ il povero sottopagato sfruttato con internet. Un po’ come d’Alema, sorpreso ad avere una barca, si giustifico’ dicendo “oggi anche gli operai possono averne una”, lui dice “ma oggi anche i poveri hanno internet”.

Beh, non e’ vero.

Il reddito e’ la grande discriminante tra persone che hanno internet e persone che non ce l’hanno.

La seconda incongruenza e’ il tempo libero dedicato ad una scelta improduttiva. I casi sono due: o ti pagano per scrivere quell’articolo, oppure (dal punto di vista della cultura dei poveri) stai perdendo tempo. Oppure speri di guadagnarci in futuro.


Essendo cresciuto in una famiglia povera, poi diventata “molto benestante” , posso dire una cosa. La cultura della poverta’ impone una vergogna per un fallimento (specialmente quando ci sono figli di mezzo, che chiedono le stesse cose degli altri), e l’ambizione di tagliare un traguardo. Il povero che si arricchisce e’ normalmente un esibizionista, proprio per questo: sta cercando di cancellare uno stigma, sta cercando di dire “anche io ce l’ho fatta, non ho fallito”.

Nessun povero si vergogna di essere arricchito, ne’ si vergogna di essere ricco, e se questa e’ vista come ostentazione e’ solo perche’ chi produce la cultura di riferimento (su come i ricchi dovrebbero comportarsi) soffre di un senso di colpa.

E cosi’ i ricchi col senso di colpa producono una cultura che richiede ai ricchi di non ostentare di essere ricchi, cosa che e’ vissuta come una colpa. Nella transizione, la colpa e’ passata da una colpa strutturalmente cristiana ad una colpa strutturalmente politica , normalmente populista (destra o sinistra non importa), perche’ la finalita’ piu’ importante di chi va in piazza gridando “noi siamo il popolo” e’ , appunto, di sembrare il popolo.

Su internet tutti fingono una classe sociale diversa dalla propria. I poveri fingono di essere ricchi, i ricchi fingono di essere poveri, o quantomeno come i poveri.

E questo li sgama subito.

  • Il tipo di educazione.

Quando sei povero, e hai la cultura della poverta’, la scuola esiste solo come ascensore sociale. Devi studiare per trovare lavoro e guadagnare soldi. A dirla tutta, quando hai la cultura della poverta’, tutto deve essere un ascensore sociale, oppure lo status symbol di una classe sociale superiore.

Quando iniziai coi computer, mio padre era preoccupato perche’ (si era messo in proprio e adesso i soldi giravano, eccome) non mi stavo mescolando agli altri borghesi che invece elaboravano il proprio motorino. E quindi non mi stavo inserendo nella nuova classe sociale.

Inizio’ a calmarsi quando (come idraulico entrava nelle case dei ricchi) inizio’ a vedere che anche i figli dei ricchi avevano i computer. Che anche gli ingegneri e i geometri e gli architetti ne facevano uso. Fu quello il momento in cui smise di farmi storie per il tempo che passavo per BBS: stavo facendo cose da ricchi. Non sapeva come, non capiva come, ma la mia scrivania era uguale a quella dei figli dei ricchi. Adesso andava meglio.

Allo stesso modo, i ricchi optano per una scuola umanistica , perche’ poi andranno all’universita’. I poveri non hanno questa defragilita’ che serve a fare piani per dieci anni. Hanno paura che le vacche grasse finiscano. Quindi spingono da subito per scuole tecniche, “per il mondo del lavoro”. Solo i fatalisti dicono “se serve faremo sacrifici”.

Cosi’ tra i poveri esiste una prevalenza per scuole tecniche o scientifiche. Una prevalenza forte. La quale si riflette sulla qualita’ dello scritto, ma non soltanto nel senso grammaticale. Il problema e’ che le scuole tecniche o scientifiche instillano una mentalita’ quantitativa. Se hai un’educazione di tipo tecnico o scientifico, non ti basta sapere che “esistono anche famiglie di poveri che hanno internet”, o di “operai che hanno una barca”. Vuoi sapere QUANTI sono.

Del resto, nella cultura dei poveri il problema quantitativo e’ una vera e propria ossessione, e la qualita’ viene normalmente letta come durabilita’ (cioe’ quantita’ per tempo) oppure come produttivita’ (che e’ ancora quantita’ per tempo): “spendere di piu’ per spendere meglio” , come i poveri pronunciano la qualita’, e’ visto proprio in questo modo: o l’oggetto piu’ costoso vale perche’ dura di piu’ (quantita’ per tempo), o perche’ svolge meglio il suo compito (produttivita’).

La qualita’ in termini astratti dalla quantita’ arriva SOLO dalla cultura dei ricchi, ma per comprenderla occorre un tipo di educazione che evita la questione quantitativa per tutto il percorso. In questo modo, e solo ignorando le questioni quantitative per tutto il percorso educativo, si ottiene la mentalita’ dell’umanista/ricco, che puo’ parlare ore di qualcosa senza mai metterci una quantita’: e anche quando si parla di quantita’, normalmente si fermano a statistiche percentuali prive di deviazione standard o di percentili. Il che indica una (quasi)completa mancanza di padronanza del concetto.

Morale della storia: esiste uno specifico modo di scrivere di chi viene da una famiglia di ricchi ed e’ cresciuto immerso nella cultura dei ricchi. Esso si declina con una cultura prevalentemente umanistica, e si mostra in un modo di scrivere che sfiora appena il problema quantitativo.

Il problema qualitativo sconnesso da quello quantitativo (normalmente rivolto all’estetica) e’ il marchio dei ricchi.

  • beneficenza economica e beneficenza politica.

La vita dei poveri e’ un continuo bilancio. Un do ut des imprescindibile. Al contrario, il ricco sperimenta l’eccedenza. Qualcosa che puo’ dare senza ricevere nulla in cambio.

In realta’, dire che il ricco non riceve nulla in cambio dalla beneficenza e’ assolutamente sbagliato. Essendo oppresso da un senso di colpa, il ricco riceve dalla beneficenza un sollievo enorme. Nel senso religioso riceve una promessa di paradiso, nel senso piu’ politico riceve in cambio il permesso di dire “noi siamo il popolo”, insieme agli altri.

Una massa di proletari in piazza e’ una massa di proletari. Nessun ricco e’ ammesso, tranne i benefattori. I benefattori sono normalmente i finanziatori del movimento, oppure che fanno politica dalla loro parte. In generale, quindi abbiamo DUE modi di fare beneficenza.

  • Quello spiccatamente economico, che consiste nel donare ai poveri le eccedenze senza chiedere nulla in cambio se non il placarsi di un senso di colpa, o la promessa di un paradiso futuro (quando la coscienza viene personalizzata e diventa “dio”).
  • Quello spiccatamente politico, che consiste nel militare coi poveri nelle loro istanze rivendicative. In tal caso si spendono tempo e soldi in eccesso, ma si ottiene la carriera politica oppure la possibilita’ di gridare “noi siamo il popolo” insieme ai poveri, che a sua volta calma il proprio senso di colpa.

Per questa ragione ci sono tre tipi di istituzione che fanno beneficenza ai poveri: le istituzioni religiose, i partiti di sinistra e i partiti di destra sociale. Tutti e tre attingono ai sensi di colpa dei ricchi. E tutti e tre soffrono quando arriva una classe di poveri arricchiti, che NON hanno il senso di colpa.

Non sto parlando, sia chiaro, di radical-chic. Questo e’ un problema americano. In Europa il benefattore di estrema sinistra fa della militanza una scelta di vita, (nella speranza di camuffarsi meglio) quindi non e’ per nulla chic. A tradirlo e’ un fatto diverso, che e’ la prospettiva: anche lui vive come gli altri, ma a differenza degli altri puo’ smettere quando vuole. E smettera’, perche’ prima o poi la morte avra’ gli occhi dei loro genitori, ed erediteranno.

MA tutti questi modelli sono entrati in crisi con gli anni ’80. Quando masse di persone si sono arricchite improvvisamente nel boom economico, e in italia c’e’ stata (ed esiste ancora) una generazione di ricchi (arricchiti di recente) che NON soffre del senso di colpa. Quindi ostenta. Questa generazione NON si sente nel dovere di fare beneficenza.

Ma la mancanza di sensi di colpa per la ricchezza e’ tipica della cultura dei poveri. Paradossalmente, le istanze sociali sono sottorappresentate proprio perche’ non esistono piu’ benefattori, sia in senso politico che finanziario. Il Berlinguer (che era un nobile ereditario su linea maschile) che fa politica oggi non c’e’, perche’ il ricco o il borghese o il ceto medio guardano a Berlusconi, il ricco arricchito che non ha vergogna di essere ricco, proprio come loro.

E qui viene il mio messaggio ai “compagni”:

I pochi benefattori politici che ancora ci sono suscitano diffidenza, e per un motivo preciso:

sfiducia

Nell’immagine sopra c’e’ un solo coniglio di cui nessun altro coniglio si fidera’ mai.

Indovinate quale. E’ facile, basta uno specchio.

Commenti

  1. Gioacchinodafiore

    Ma noi soffriamo tutti di cataratta quindi “videmus nunc per speculum et in aenigmate”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *