Toh, chi si rivede. Il controllo sociale.

Gli intellettuali di sinistra parlano spesso di “riflusso” per indicare il fatto che i loro ideali siano stati soltanto una moda, e finita la moda vengano messi nell’armadio delle cose vecchie. Un esempio e’ quello del controllo sociale, contro il quale si e’ fatta una terribile lotta nel 1968. Si e’ fatta  perche’ siccome la facevano gli americani allora bisognava seguire la moda.

Prima di tutto definiamo cosa sia il controllo sociale. Chiunque viva in una societa’ ha in piedi un certo numero di rapporti umani. Il singolo rapporto umano di per se’ contiene i germi di un qualche controllo: ovviamente ci dispiace fare qualcosa contro le persone che crediamo di amare.
Dall’altro lato, spesso consideriamo importanti le opinioni delle persone cui teniamo, e preferiremmo dar loro un’immagine che gradiscano. Le due cose formano una rete, la cui forza e’ la forza del dispiacere di subire un giudizio negativo o di essere sgraditi a qualcuno cui teniamo.
Se questa rete e’ molto estesa su di noi ed e’ estesa a molte persone, possiamo pensare che tutte queste forze agenti su di noi, sommate, abbiano una media nulla: e’ assai difficile che tutti i nostri amici siano in disaccordo con noi su qualcosa. La mia vita privata passata scandalizzerebbe qualcuno dei miei attuali amici, altri rimarrebbero indifferenti, altri ancora mi inviterebbero a cena per questo. Idem per i colleghi.
Tutto va bene, sino a che non entra in gioco un’entita’ collettiva, un totem che si chiama “tutti”. Nel momento che un ente non meglio specificato, di nome “tutti”, assume i connotati di autorita’, e specialmente diventa l’ente cui vengono attribuiti i giudizi, allora tutte queste forze non hanno piu’ una media nulla, ma tendono ad andare tutte nella medesima direzione, ovvero ad approvare o a disapprovare tutte insieme. E cosi’, la somma di questi legami esercita una forza che complessivamente e’ una prigione: binari dai quali non si puo’ deragliare. Mai.
Se torniamo alla definizione di prima, infatti, succede che tutti i rapporti che abbiamo ci spingono a fare le stesse cose  non appena questo “tutti” inizia ad essere il maestro d’orchestra delle persone che avete attorno. Almeno nella vostra mente. Oppure , pensiamo,  ci giudicano “tutti” allo stesso modo, col risultato che non soltanto le loroforze si uniscono, ma al numero si aggiunge la forza del numero, ovvero il fatto di essere “tutti”: lo dicono tutti, lo pensano tutti, etc etc.
Ovviamente, c’e’ un limite a tutto questo: perche’ l’entita’ “tutti” si possa formare occorre un alto numero di connessioni sociali.Diciamo che nei paesini di montagna c’e’ un “tutti” molto forte, mentre nelle grandi citta’ c’e’ un “tutti” molto debole. Il motivo per il quale questo “tutti” e’ molto debole e’ che il numero di persone e’ cosi’ alto che al “tutti”, entita’ non molto definita, si possono contrapporre dei gruppi meglio definiti.
Cioe’, se io nel mio paese sono quello che ama i giochi di ruolo (cosa che non e’, ma e’ un esempio) , probabilmente sono quello “strano” che vuole “essere diverso a tutti i costi” e “perche’ non fai come tutti?”. Essendo solo, il “tutti” puo’ facilmente stritolarmi.
Se invece siamo in una citta’, con ogni probabilita’ trovero’ un club del gioco di ruolo. Ecco che il nostro “tutti” si trova di fronte un gruppo ben definito: e poiche’ “tutti” e’ un ente che conforta meno del gruppo (specialmente se il gruppo si sente perseguitato dal “tutti”), ecco che si crea un equilibrio.
Come se nonbastasse , nelle grandi citta’ succede che il numero di rapporti cala rispetto alle occasioni materiali di fare cio’ che si vuole. Cioe’:  se una ragazza vuole farsi 10 uomini a sera mettendo un annuncio su un giornale (1) perche’ vuole imitare Opearl, e poi tornare  l’indomani a vivere la propria vita, con ogni probabilita’ nessuno la vedra’ entrare nell’albergo ove si da’ appuntamento, e nessuno sapra’ mai che e’ entrata nell’albergo.
Se anche i compagni occasionali dovessero parlare di questa tizia, probabilmente le voci non arriverebbero mai ai colleghi.
In un paesino, le cose cambiano, e molto. Se anche la nostra ragazza ha questo hobby, deve stare molto attenta a come si muove, e con ogni probabilita’ verra’ scoperta. Cosi’, dovra’ rinunciare al proprio hobby.
Con questo voglio dire che il controllo sociale e’ costituito da una serie di legami (che esercitano forza su di noi) piu’ la probabilita’ che qualcuno veda quello che fate.
Tutto questo controllo sociale si era diluito negli anni passati, sia perche’ le citta’ hanno raggiunto dimensioni notevoli (anche geograficamente,il che aiuta) sia perche’ c’era stato un diluirsi dei rapporti sociali , la cosiddetta “indifferenza”.
Oggi il controllo sociale sta tornando: e non perche’ le condizioni fisiche stiano cambiando, ma semplicemente perche’ non ci si rende conto del fatto che Internet, coi suoi motori di ricerca, unitamente al social netwoking, permette a chiunque di saper emoltissimo su di voi con una semplice ricerca.
Vorrei chiarire subito una cosa: non sto parlando di anonimato in senso stretto. E’ chiaro che se qualcuno prende di mira un nick , puo’ risalire in qualche tempo al proprietario. Ma il controllo sociale NON parte investigando dal nick.
Se una persona che di giorno e’ una tranquilla maestra la notte fa la scambista, chi la scopre non parte indagando sulla scambista che vede su internet: la probabilita’ di trovarci dietro qualcuno che conosce e’ troppo bassa. Al contrario: il percorso di ricerca parte conoscendo l’identita’ reale, e andando a cercare quelle virtuali. Il che e’ diverso.
Se io andassi su Secondlife e mi intestardissi a risalire al proprietario si un nick probabilmente ce la farei: troverei magari un tizio di Catanzaro che si fa chiamare Barbara. Il problema e’ che io non sono mai stato a Catanzaro, non conosco nessuno, e quindi non posso esercitare alcuna forza su di lui.

Scoprire chi ci sia dietro un nick non e’ il problema: il problema e’ scoprire quale nick ci sia dietro una persona.

Supponiamo invece di sapere che uno si chiama Alberto Puppi(2) perche’ e’ un collega. Allora ci mettiamo a cercare in giro, e lo troviamo in un club di schiavi sadomaso. Cosi’ possiamo esercitare molto controllo, perche’ possiamo dirlo ai colleghi, ai superiori, e cosi’ via.
Il controllo sociale, cioe’, investiga il comportamento della persona, e non la persona dietro il comportamento. Esso parte da persone che vi conoscono bene e che hanno a che fare con voi, e si mettono a cercarvi. Le persone che invece vi conoscono tramite internet sono, nella stragrande maggioranza dei casi, troppo lontane da voi (socialmente e geograficamente) per esercitare qualsiasi controllo verso la persona reale.
Vorrei che questo punto fosse chiaro: non sto parlando della possibilita’ di risalire al proprietario partendo dal nickname, ma della possibilita’ di risalire al nickname partendo dal proprietario.
Perche’ e’ proprio questo il problema: il social network sta producendo la moda di mettere i propri dati ovunque. Il risultato e’ che con una semplice ricerca puo’ trovarvi. Il vostro “nickname” infatti coincide col vero nome. Chi vi cerca inizia a partire dalla vostra identita’ reale (perche’ se desidera esercitare controllo sociale  deve essere qualcuno che puo’farlo nella vita reale) cioe’ parliamo qualcuno  materialmente vicino a voi.
Cosi’, se la dimensione delle citta’ aveva creato una grande distanza tra voi e gli altri, allentando questi legami in modo da impedire il controllo sociale, ecco che arriva Internet e vi invita a dire tutto di voi, riabbreviando le distanze grazie ai motori di ricerca. Il vostro vicino di casa, che non vi controllava piu’ perche’ lo salutavate a malappena (dandovi la liberta’ di fare quello che volete in casa vostra o lontani da occhi indiscreti)  adesso puo’ scoprire cosa fate in casa con una ricerca su internet.
Cosi’, se una segretaria della mia azienda avesse l’abitudine di farsi un gangbang al mese in un albergo di provincia, si e’ liberata sicuramente dal controllo sociale perche’ nella zona di Milano ove vive nessuno sa come si chiami, al massimo la vedonouscire al mattino per andare al lavoro. Ma basta una ricerca su internet con alcune chiavi (facilmente indovinabili da chi la conosce) per trovarla.(3)
Ora, qui entra in gioco il “tutti”. Di per se’ la mia azienda non avrebbe alcun motivo per sanzionare una dipendente solo perche’ ogni tanto si rinchiude dentro un alberghetto discreto con una decina di uomini: quello che fa fuori dal lavoro non deve riguardare l’azienda. Ma qui entra in gioco il concetto di “tutti”: l’azienda si adegua all’idea che se “tutti” pensano che sia disdicevole, allora anche l’azienda deve pensare questo. Cosa diranno “tutti” di un’azienda che ha una dipendente ninfomane? In realta’, le singole persone non diranno proprio nulla: ma il “tutti” non ha nulla a che vedere con le persone reali, e’ un totem completamente immaginario che si aggira per la mente delle persone molto provinciali.
Chi cresce in un paese di provincia viene infatti educato a questa religione del “tutti”, perche’ gli viene inculcato in testa fin dall’infanzia che questo “tutti” potrebbe giudicarlo male, e se questo “tutti” (che quindi esiste) pensa male di lui, e’ la fine.
Cosi’, dentro la mente di queste persone si crea questo fantasma,(4) “tutti”, che ha la presunzione di elevare a giudizio assoluto le opinioni piu’ grette e vessatorie di ognuno. Perche’ questo “tutti” ha un’idea di “normalita” che coincide con l’annullamento di qualsiasi aspirazione personale, di ogni libido, di qualsiasi spirito creativo. Esso e’ l’immagine dell’invidia altrui : come tale, ha lo scopo ti togliervi ogni cosa che vi potrebbe far apparire piu’ vitale di altri.
Ho sofferto anche io di questo fantasma, perche’ ho avuto un’educazione provincialissima, sinche’ non ho imparato che il “tutti” si puo’ combattere semplicemente sviluppando un ego piu’ grande della presunta dimensione del “tutti”. Quando il tuo ego rischia di curvare il continuum, un misero “tutti” che fosse grande quanto tutta l’umanita’ sarebbe ancora piccola cosa. Di conseguenza, il giudizio che “tutti” hanno di me vale meno del giudizio che io ho su questo ente insignificante che e’ “tutti”. E chi cazzo e’ questo fantasma?
In realta’ un ego simile non basta: occorre anche riconoscere quei legami che potrebbero esercitare controllo sociale e tagliarli proprio perche’ si riconosce la pericolosita’ insita in un simile legame. Quando una persona:

    1. Ha un’opinione che voi considerate importante.
    1. Ha con voi un legame che non vorreste spezzare.

Essa e’ una probabile fonte di controllo sociale, ed i rapporti con questa persona devono basarsi su un minore coinvolgimento possibile e devono diminuire di intensita’ perche’ siete gia’ nell’area di pericolo. Nessuno deve poter esercitare forze su di voi.
Questo e’ stato , circa , il modo con cui mi sono liberato del controllo sociale: ho allontanato la famiglia, me ne sono andato dal paesello natio, nel posto ove vivo ho pochi amici, esco con pochi colleghi selezionatISSIMI, agli altri do’ pochissima confidenza, eccetera.

In una situazione di controllo sociale, cioe’, la solitudine e’ liberta’.

Ovviamente, l’entita’ malvagia che e’ il “tutti”, ovvero la psicopatia collettiva si vendichera’ della vostra solidutine dicendo che siete “persone strane. Sempre da sole”. Certo: quando non sanno, diffondono sospetto. Se “tutti” siamo onesti, lui che e’ diverso da “tutti” potrebbe non esserlo.
E’ chiaro che ad un certo punto deve entrare in gioco un ego tale da fottersene. Cosi’, il risultato e’ che lavoro per un’azienda che ha sede  a 400 km da casa mia, non ho mai chiesto di venire avvicinato, eccetera: difficilmente se io entrassi, che so, in una dark room di Bologna qualche mio collega milanese potrebbe vedermi o ivi incontrarmi.
Con questo voglio dire che la liberta’ dal controllo sociale si guadagna in due modi: distanza dagli altri e selezione dei legami. E’ altrettanto ovvio che questo abbia un costo, perche’ come ho detto ogni cosa si paga, liberta’ compresa. Tuttavia, mi e’ piu’ facile pagare il costo della solitudine che il costo della prigionia sociale.
Ed e’ qui che viene il punto: poiche’ sono “allergico” al controllo sociale, sto iniziando a percepire “un tremito nella scamorza”, per dirla alla Star Wars.Inizio cioe’ a sentire Internet come una nuova , invadente ragnatela che ti si chiude addosso  creando dei nuovi rapporti e ponendo delle nuove vicinanze laddove mi ero ritagliato uno spazio di liberta’ attraverso la solitudine e la distanza.
Questa roba sta cominciando (e io non sono neanche presente di persona come tanti altri) a permettere delle vicinanze  e dei rapporti vincolari che mi preoccupano. Il demone “tutti”, che finora ha perso la sua battaglia contro il mio ego, inizia a rafforzarsi basandosi su una nuova rete sociale.
E questo non mi piace per nulla.
Fortunatamente Internet ha un grande svantaggio: c’e’ da qualche parte un tasto “disconnetti”.
Di conseguenza, se dovessi sparire da Internet del tutto, sapete che la rete si era stretta troppo per i miei gusti, troppa gente ha iniziato a formare una cerchia di “amici” attorno a me, costruendo dei rapporti che diventano vincoli, e io preferisco la liberta’ a qualsiasi altra cosa, e sono disposto a pagarla sia col silenzio che con la solitudine.



Uriel
(1) Conosco  una tipa con questo hobby. Si veste molto morigerata tutto l’anno, ma non perche’sia pudica. E’ perche’ e’ una fan di Opearl e se si scopre diventa evidente. Se non sapete chi sia Opearl , beh… sorry.
(2) Il nome e’ inventato.
(3) Ogni riferimento a persone realmente esistenti e’ casuale.
(4) Freud (colui che elevo’ a scienza il pregiudizio morale) lo chiamava “super-io” nel tentativo di attribuirlo all’architettura del cervello umano anziche’ alla mignotta complessata che lo ha sgravato, e all’educazione bigotta che la medesima gli ha impartito. La psicologia freudiana nasce dal tentativo di Freud di affermare che le proprie paturnie sarebbero state inevitabili in quanto parte dell’architettura del cervello umano. In realta’ la psicologia freudiana descrive semplicemente il cervello di uno psicopatico di nome Sigmund Freud, e ha la pretesa di affermare che tutti soffrano degli stessi problemi in qualche misura percheì Freud si sentisse normale. La verita’ e’ che di tutte le paturnie freudiane  ne soffriva Freud, oltre  ai suoi pazienti immaginari ….ma sull’ esistenza reale della sua “casistica”  discuteranno meglio di me gli storici della scienza.

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