Sullo science sounding.

Sullo science sounding.

Saprete tutti cosa significhi italian sounding. E’ quell’abitudine di alcune marche, specialmente di cibo e di moda, di dare nomi che sembrano italiani alle cose, usando la credibilita’ dell’italia per dare credibilita’ a loro stessi. E allora via, Fingerfussimo, il finger food con lo stile italiano. Lieferando, la consegna a domicilio di cibo col suono italiano. E Giovannoso Caterpilli, stilista di moda. Frisoriana, la catena di parrucchiere con lo stile italiano. E cosi’ via.

Questa cosa e’ ovviamente una truffa, perche’ si tratta di aumentare il valore di qualcosa che ne ha poco, rubando credibilita’ a chi se la e’ costruita lavorando seriamente per molto tempo.

Ma succede solo ad alcuni settori italiani. Sta succedendo anche alla tecnologia e alla scienza. 

Succede cioe’ , e succede sempre di piu’, che quando una persona si appresta a dire una cosa completamente aprioristica, non deve fare altro che infilarci delle parole prese in campo dalla tecnologia o dalla scienza per vincere la discussione.

  • Arancine e’ piu’ carrier grade di arancini. 
  • Le tette sono meno scalabili del culo.
  • Il guanciale ha piu’ failover della pancetta nel caso di carbonara-high-demand.
  • E’ scientificamente dimostrato che nei tortellini ci vuole il brodo e non la panna. 
  • Alba Parietti non e’ portabile.
  • Il governo Meloni non e’ stocasticamente indipendente.

Questo science sounding sta prendendo piede perche’ negli scorsi decenni scienza e tecnica hanno fatto passi da gigante. Nel farlo, hanno acquisito credibilita’ al punto che tanti, a corto di credibilita’, stanno pensando bene di rubarne un pochino al mondo STEM, approfittando del suono.

E’ nato cosi’ il mondo fraudolento del STEM-sounding.


Come l’italian sounding, chi si beve la cosa normalmente non ha problemi di sorta. Cioe’, se voi andate in Koenigsallee e pagate una fortuna un vestito da Caponardo Spinterogeni, normalmente siete anche abbastanza fessi da essere felici di vestire “italiano”.

Il problema semmai e’ quando siete italiani, passate per Koenigsallee, e vedete la boutique con scritto “CAPONARDO SPINTEROGENI”, e vi fermate a fare un selfie per gli amici, per immortalare quel nome del cazzo.

Allo stesso modo, vi capita di vivere in un settore tecnico. E quando qualcuno, di solito un fornitore, vi menziona l’efficienza di qualcosa, ve la calcola, e di solito vi spiega anche come. E’ quindi normale dire “come l’hai calcolata?” o “in quali condizioni?”.

Esistono molti campi STEM ove l’efficienza e’ utilizzata come concetto quantificato, o quantificabile. Se fuori da questi campi l’uso di queste parole in maniera forfettaria e’ del tutto opinabile, il problema e’ che si dovrebbe evitare di irrompere in una discussione tecnica e farne un uso forfettario: nel mondo della tecnica le parole hanno un significato preciso. Oppure siamo nel mondo della fuffa.


Un esempio e’ il concetto di “biodegradabile”. Sebbene sia chiara una definizione di massima (cosi’ come trovate “efficiente” sul dizionario, prima di discutere – materia per materia – come si calcoli una data efficienza ) , si e’ portati a pensare che “biodegradabile” indichi una carratteristica univoca e misurabile di un materiale.

Al contrario, la biodegradabilita’ ha una definizione piuttosto lasca:

https://it.wikipedia.org/wiki/Biodegradazione

Il problema di questa definizione, e’ che lascia aperte diverse opzioni:

  1. Esiste un enzima che biodegrada una data plastica, e il risultato e’ un sottoprodotto biologico capace di sterminare ogni forma di vita nel raggio di chilometri: e’ ancora biodegradabile.
  2. Esiste un meccanismo biologico capace di biodegradare il materiale, ma oltre una certa quantita’ compaiono danni secondari: la merda di maiale e’ biodegradabile, ma quando se ne versarono milioni di metri cubi nel Po, in adriatico comparvero le mucillagini.
  3. Il materiale e’ biodegradabile e scompare venendo mineralizzato, ma l’ecosistema circostante viene modificato pesantemente.

In pratica, cioe’, le plastiche possono diventare tutte biodegradabili, finire in mare e venire digerite, ma se il piccolo effetto collaterale e’ che il mare sa di Albano e Romina, magari anche meglio di no.

Il concetto di biodegradabile, cioe’, e’ incentrato sul fatto che un determinato materiale scompaia in un certo lasso di tempo, dimenticando completamente le conseguenze che questo processo ha sull’ambiente.

Ma suona scientifico: “esiste almeno un enzima che lo consuma”. WOW. EWWIWA gli enzimi? 

In realta’ un materiale biodegradabile pio’ devastare l’ambiente sia nell’atto di biodegradarsi, sia per via dei  prodotti della biodegradazione, a seconda delle quantita’, senza che il criterio “scientifico” sia toccato. 

Ma “biodegradabile” suona quel tanto scientifico da far credere che significhi, con assoluta precisione, che il materiale in questione sia neutro sul piano ambientale. 


Un altro trucco che di recente sta diventando sempre piu’ comune e’ il ricorso alla terminologia e alle tecniche tipiche del big data analytics.

Un esempio e’ la rubrica della Gabanelli. In passato leggevo questo “data room”, per una ragione: non era ancora entrata nel campo dell’ IT. E finche’ un programma di approfondimento non entra nel TUO settore, non riesci davvero a capire se stia dicendo il vero o se stia cucinando insieme cazzate, tanto gli esperti sono pochi.

Poi, ad un certo punto, e’ entrata diverse volte nel mio campo. E li’ ho visto infilare delle pile di cazzate e di dati con il cherry-picking professionale, che mi ha perso ogni credibilita’. Perche’ io non posso sapere quanto sia seria la Gabanelli quando parla di giraffe, tutto quello che posso sapere e’ nel mio campo. Ma una volta stabilito che mette in fila cazzate in un campo, viene difficile credere che dica il vero negli altri campi.

Tuttavia, i suoi articoli sono un capolavoro di “science-sounding”, che il Frapuccino Venti Latte di Starbucks je spiccia casa.

Innanzitutto nel nome “dataroom” ci ha messo dentro “data”, e non che so io “dati”: garanzia di obiettivita’, se usi i “data”. Potrei raccontarvi fatti di quando feci il data engineer, ma lasciamo perdere. 

Poi non manca mai l’abuso di infografiche: niente dice scienza quanto un grafico in time series:

A Parigi avranno pure il burro anale, ma nel Maine fa male la margarina. 100% scienza, Gabanelli-style.

Sopra tutto, voglio far notare la parte COMICA  di un articolo oggi online, nella quale si fa notare che gli italiani che continuano a lavorare dopo la pensione siano tutti in buona salute. Del resto, morire di infarto e lavorare non si addicono tanto, ma la differenza tra condizioni necessarie e sufficienti non sfiora la mente acuta della Gabanelli, che non capisce che il suo dato si puo’ leggere in due modi:

  1. chi lavora dopo la pensione e’ sano, dunque lavorare aiuta ad essere sani.
  2. solo chi e’ sano lavora dopo la pensione, dunque essere sani aiuta a lavorare.
https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/chi-va-pensione-piu-tardi-vive-meglio-piu-lungo/141aff60-f1a4-11ed-b4c6-855122afe828-va.shtml

Ovviamente, la Gabanelli sceglie la lettura sbagliata. 

Ma con le infografiche, sembra scienza.


In generale, consiglio di reagire allo science-sounding come facciamo noi expat quando un ristorante “Italiano” propone Lasagne al Pesto.

Si va al giapponese a mangiare Ramen.

Che e’ una ricetta cinese.

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