Sulle teorie economiche di De Simone

Dietro l’insistenza di alcuni amici, sono stato praticamente “costretto” (bonaramente, si intende) a leggere le opere di Domenico De Simone. Per chi non lo sapesse, De Simone e’ un filosofo del’economia molto gradito agli ambienti no-global per via di alcune teorie economiche mediante le quali si potrebbe a suo dire creare un’economia alternativa, semplicemente creando una moneta alternativa e soggetta ad altre regole.

Ho letto con attenzione la sua opera, che mi ricorda molto quella del medico anatomo-patologo( quello che fa le autopsie, per intenderci): egli sa con esattezza quale sia la malattia, ma e’ di limitata bravura nel proporre la cura. Anche perche’, arriva inesorabilmente troppo tardi.

LA cosa che colpisce di piu’ di De Simone e’ il legame con il moralismo cattolico. Quando egli parla di creare una nuova societa’, sembra individuare con inesorabile certezza (kant avrebbe parlato di Imperativo Categorico) una spece di “fluido” al quale De Simone assegna il compito e la facolta’ di portare le cose a compimento.

Egli propone che un gruppo di persone, animato da una volonta’ , una creativita’ ed una intelligenza finalizzate, crei un’economia parallela la quale soddisfera’ le esigenze dei ceti deboli, portando il mondo ad un nuovo equilibrio.

n questo, si notano due paradigmi del tutto falsi. Il primo e’ che il sistema attuale abbia qualche BISOGNO dei poveri a tal punto che il loro sottrarsi al meccanismo attuale sia di tale devastante distruttivita’ da far crollare il sistema.

La realta’ ci mostra invece come questo sistema riesca tranquillamente a resistere anche in paesi dove la poverta’ e’ “localmente” limitata. Se la poverta’ fosse davvero quel fluido di cui necessita la societa’ capitalistica attuale, noi vedremmo tali societa’ ricche aprirsi a dismisura per accogliere poveri: perche’ sfruttare i poveri lontano dalla svizzera, se facendoli entrare in svizzera i capitalisti svizzeri li avrebbero a portata di mano?

Del resto, e’ evidente come la societa’ attuale tenti di nascondere, se non di minimizzare, il semplice dato dell’esistenza stessa dei poveri. La mia impressione e’ che vi sia effettivamente una finanza completamente speculativa come dice De Simone, ma inoltre che negli ultimi tempi essa sia “autosufficente”. Non ha piu’ bisogno dei poveri.

E proprio per questo, ha cessato qualsiasi tentativo di appropriarsene cercandone la vicinanza. Perche’ andare a cercare i poveri all’estero spostando la produzione, e pagare spese di trasporto delle MERCI, quando i poveri stessi sono dispostissimi a venire qui? De Simone rispondera’ che in questo modo si sfruttano al meglio le differenze di costo della vita. Molto bene: allora, come mai le imprese del nord italia non si sono spostate al sud, per sfruttare la differenza di costo della vita, anziche’ imporre a milioni di disperati la migrazione al nord?

Sembra che il paradigma di De Simone, che i poveri sarebbero oggi ancora necessari, sia del tutto errato. Anzi, la differenza principale tra i paradigmi del secolo scorso e quelli di oggi e’ proprio questa: la societa’ “capitalista” di oggi non ha alcuna necessita’ dei poveri.

E proprio per questo il loro astenersi dal lavoro non fa piu’ effetto: poiche’ non c’e’ bisogno dei poveri, i loro scioperi e le loro astensioni da qualsiasi cosa diventano prive di valore deterrente.

Dunque, cade il primo paradigma del pensiero di De Simone: non vi e’ alcuna necessita’ dei poveri, e se anzi venissero sterminati oggi da una malattia se ne trarrebbe immenso giovamento.

Se in aggiunta vi mettiamo che alcuni paesi poveri hanno deciso di rompere con i diritti d’autore e sottrarsi al profitto delle multinazionali della farmaceutica, adesso per queste multinazionali i poveri hanno perso anche quel po’ di profitto che avevano da malati. Per quanto povero, un’essere umano vuole vivere, e dunque se si ammala potremo lucrarci, dicevano. Ma se nemmeno sfruttando la malattia e’ possibile spennare il povero, cosa rimane loro?

Rimane la creazione di un circuito finanziario -autonomo- il quale da solo e’ capace di finanziarsi senza l’ausilio e la necessita’ dei poveri.

Da qui, se anche De Simone riuscisse a creare una moneta che affrancasse i poveri dalle banche , esse non ne trarrebbero alcun dispiacere. Gia’ oggi e’ difficile che conoscano l’esistenza, dei “poveri”. Essi non interessano alle banche e non ne sono la principale fonte di guadagno, che invece e’ costituita dalle fasce piu’ alte di reddito, le quali hanno maggiore surplus di denaro da “investire” nel circuito speculativo di cui le banche stesse vivono.

La seconda convinzione moralista di De Simone e’ che le persone che partecipassero a questo circuito finanziario alternativo siano tutte in buona fede E tutte determinate al raggiungimento del bene comune.

Questo e’ il paradigma tipico dell’utopista:

“questa nazione funzionerebbe molto meglio SE tutti la pensassero come me”.

Gia’ , ma non tutti la pensano come te.

Nel momento stesso in cui tale ipotetica moneta divenisse di qualche rilievo al fine di raggiungere il benessere materiale, chi oggi accumula la moneta attuale finira’ col cercare di accumularne anche di quella alternativa.

A meno che non si devasti l’aritmetica di tale moneta, dicendo che uno piu’ uno fa due, due piu’ due fa 3.5 , dieci piu’ dieci fa quindici, e applicando una riduzione del valore nominale mano a mano che aumenta la somma in possesso ad un singolo individuo.

Allora, due persone che possiedono “10” di fatto possiedono piu’ di quanto non possiada uno solo che possiede due biglietti da 10. I quali sarebbero immediatamente scambiati con uno da quindici.

Sicuramente un’operazione convenzionale come quella che sto nominando potrebbe garantire la polverizzazione della proprieta’ finanziaria, ma da matematico mi sento di avvisare de simone: essa produce effetti devastanti su grandi sistemi.

Inoltre, questo produrrebbe piu’ o meno lo stesso effetto di una tassa sul lusso: poiche’ per pagare una sola cosa costosa occorrono comunque molti soldi, noi stiamo facendo si’ che ne occorrano anche di piu’.

Mettiamo che una Fiat costi 10.000 , e un’alfa ne costi 20.000.

Comprando due fiat, spendo 20.000 crediti, ma siccome 10+10=15 (per convenzione), non ce la faccio a comprare un’alfa. Morale: e’ come se l’alfa costasse di piu’. In pratica abbiamo messo una tassa sui beni di lusso.

E sappiamo bene come questo di fatto NON risolva i problemi. Eppure sarebbe la soluzione teorica al problema di De Simone.

Per cui, mi dispiace, ma con sua buona pace non lo trovo realmente applicabile. Pero’, ritengo che abbia avuto l’interessante intuizione di porre l’attenzione su un problema interessante. Nessuno garantisce il valore della moneta. Se non lo stato.

Ma a De Simone sfugge un’asimmetria evidente.

Ho invece una proposta alternativa: la garanzia sul credito E sul debito da parte del proprietario della moneta.

Come De Simone sapra’, per ottenere un prestito occorre presentare delle garanzie. Se possiedi TOT, allora la banca di offre un credito un po’ inferiore a tot. Se invece io POSSIEDO quei soldi, diciamo che il mio conto e’ un segno positivo, si da’ per scontato che tale moneta abbia valore. Questo e’ interessante: la moneta va garantita se ha segno meno, mentre ha valore se ha segno piu’.

Facciamo un gioco nuovo: mettiamo in dubbio che abbia un valore anche il segno piu’.

In questo modo, se io voglio un prestito da una banca, essa mi chiede garanzie. Allora, anche quando io deposito soldi in banca, VOGLIO LE MEDESIME GARANZIE. Visto che presto soldi alla banca, essa mi deve dare garanzie IDENTICHE a quelle che pretenderebbe da me se IO le chiedessi a lei.

Questa e’ l’asimmetria che a mio avviso produce il paradosso di cui si occupa De Simone: la moneta e’ sicura se io la presto alla banca, mentre va garantita se la banca la presta a me.

Se io faccio un mutuo casa, la banca mi chiede l’ipoteca sulla casa.

Allora, se io deposito in banca il valore di una casa, la banca mi deve ipotecare a mio favore un’immobile di sua proprieta’.

Prendiamo il caso Cirio come esempio: gli investitori hanno dato alle banche tot soldi, SENZA CHIEDERE GARANZIE, e poi li hanno persi. Se le banche avessero dato gli stessi soldi agli investitori, si sarebbero accontentate degli stessi contratti FUMOSI? No, avrebbero voluto fior di garanzie.

Se gli inestitori cirio avessero avuto dalle banche le stesse garanzie che le banche avrebbero chiesto loro nel prestare soldi, sarebbero finiti sul lastrico? No, perche’ avrebbero pignorato gli immobili delle banche mediante ipoteca giudiziaria.

Allora, io approvo l’analisi di De Simone. Il problema sono le banche.

Ne disapprovo le conclusioni: il problema a mio avviso si risolve estendendo il trattato basilea II a CHIUNQUE presti soldi. Sia quando la banca li presta a ME , sia quando IO li PRESTO alla banca.

Cosi’ come la banca chiede immobili e redditi CERTI in garanzia a me, chi mette soldi in banca deve SEMPRE avere garanzie in immobili di proprieta’ della banca.

Proprieta’ PERFETTA e senza IPOTECHE.

In questo modo, caro De Simone, le banche non potrebbero piu’ creare QUALSIASI quantita’ di denaro, ma soltanto quella che riescono a produrre con il propro buon funzionamento.

Come vedi , la soluzione e’ semplice, si chiama “SIMMETRIA delle garanzie finanziarie”.

E c’e’ un solo principio da introdurre nel gioco:

“le garanzie per i prestiti ci vogliono SEMPRE, e devono essere LE STESSE, sia quando la banca presta soldi a noi, sia quando noi li prestiamo alla banca”.

Semplice, forse troppo semplice per essere applicabile.

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