Stampanti 3D

Deve esserci un grande buzz in giro per la rete a riguardo, dal momento che negli ultimi due mesi ho ricevuto diverse richieste circa la tecnologia di “Printing 3D”. A quanto pare, si direbbe che qualcuno stia promettendo un mondo nuovo perche’ adesso ci sono le stampanti 3D e se vuoi una nuova Mercedes ti scarichi il file e te la fai stampare in 3D. Fa molto Star Trek, ma le cose (per ora?) non stanno decisamente cosi’.

Per prima cosa, la terribile aspettativa che riguarda il printing 3D viene dall’incompetenza di un giornale anglosassone (il mondo anglosassone ha il giornalismo peggiore del mondo, ma il piu’ autocelebrativo dell’universo) , e precisamente dai soliti ciarlatani di The Economist, che nel febbraio 2011 scrivono questo:

Three-dimensional printing makes it as cheap to create single items as it is to produce thousands and thus undermines economies of scale. It may have as profound an impact on the world as the coming of the factory did….Just as nobody could have predicted the impact of the steam engine in 1750—or the printing press in 1450, or the transistor in 1950—it is impossible to foresee the long-term impact of 3D printing. But the technology is coming, and it is likely to disrupt every field it touches.

Riesco ad immaginare che cosa sia successo nella redazione dell’ Economist. Un cialtrone di giornalista uscito da una facolta’ umanistica chiede ad un indiano che si e’ fatto assumere falsificando il CV:

  • Hei, Pundara, che diavolo e’ questo 3D Printing?
  • E’ una specie di stampante che ti puo’ creare degli oggetti solidi.
  • E come funziona?
  • Tu inserisci il modello, tipo un dischetto, e ti esce fuori da una specie di fornetto quello che hai disegnato.
  • Ehi! E’ come Star Trek! Il replicatore!
  • Esatto.

A quel punto, il cretino capisce che se vuoi una pizza vai in una stampante 3D con il depliant della pizza, e decide che questa cosa distruggera’ l’industria della pizza. E ci scrive un articolo cretino nel quale pretende che la stampa 3D permette di stampare singoli prodotti avendo esattamente gli stessi costi se ne produci un centinaio o se ne produci un milione.

Essendo un fan di star trek, questo signore pensa che il tempo non sia un problema. In effetti, negli ultimi tempi gli equipaggi descritti vanno a zonzo per il tempo quasi come fosse una cosa normale. In realta’, se impiego un mese a stampare 1000 oggetti o un anno a stamparne 12000, i miei costi sono stati un pochino diversi. In generale, quando l’industria cambia tecnologia per fare produzione di scala, produrre PIU’ pezzi costa MENO. Il che significa che (se anche fosse vero che il costo e’ identico) ,  le stampanti 3D sarebbero un peggioramento della performance economica.

Il giornalista dell’ Economist, quindi, e’ cialtrone ed incompetente, come sono usi all’ Economist: e’ vero che le stampanti 3d producono pezzi a prezzo costante. Ma l’idea che questo sia un miglioramento rispetto alle economie di scala significa semplicemente che all’Economist NON sanno cosa sia un’economia di scala. Nelle economie di scala il prezzo SCENDE al crescere del numero di pezzi.

Che cosa si puo’ produrre attualmente con le stampanti 3D?

Facciamo un esempio improbabile ma semplice.

Di base, esse rendono piu’ semplice la prototipazione e lo studio dell’ergonomia. Diciamo che volete fare un cellulare e volete capire se sia comodo da tenere in tasca. Normalmente chiami un ufficio prototipi che ha una specie di bottega artigianale che si mette a trafficare con il tuo disegno e ti fornisce una scatolina. A quel punto tu hai la tua scatolina e la metti in tasca, la soppesi (puoi chiedere un cellulare di quel peso finale) e capisci.

Certamente, a quell’ufficio dovrai chiedere cose sempre diverse, quindi di fatto sara’ una specie di PMI con tutti i macchinari possibili: frese, torni, presse per lo stampaggio di termoplastici, eccetera. E’ chiaro invece che se hai un solo macchinario che, dato il disegno, ti produce un prototipo, allora risparmierai un sacco.Concetti simili a quelli dei solidi tridimensionali sono applicati anche per tessili (le macchine da taglio delle pezze) ed altri campi, ma il problema e’ che le stampanti 3D che avete in mente sono stampanti che lavorano per aggiunta.

Se prendiamo come esempio un tornio, o una fresa, normalmente avete un iniziale blocco di metallo che viene “scavato” sottraendo metallo, sino ad ottenere la parte che cercate. Questo fatto produce dei limiti precisi, dal momento che se volessi produrre una sfera cava intesa come monoblocco , sarebbe un’impresa molto difficile lavorare la cavita’ interna. Se la mia richiesta fosse un monoblocco sferico con dentro uno scavo a forma di cubo,  qualche officina finirebbe con l’offrirmi qualcosa che non e’ davvero un monoblocco, perche’ dovrebbero almeno riempire il cubo di materiale e poi toglierlo in qualche modo, ovvero con un buco nella sfera, che andrebbe poi tolto.

Il fatto di poter lavorare per aggiunta, invece, divide il processo in due parti. Avuto il solido si procede al meshing, o alla grigliatura se preferite il termine italiano, e si divide il volume in fettine. Dopodiche’ la vostra stampante andra’ ad aggiungere , uno sopra l’altro, tanti straterelli di materiale sino a finire l’oggetto. Questo elimina il problema , per quanto la forma di una sfera cava con dentro un cubo rimarrebbe problematica arrivati al lato in alto del cubo stesso: sarete costretti a ruotare la sfera in modo che il cubo non abbia lati rivolti in alto , in maniera orizzontale, durante la fabbricazione.

Qui arriva il secondo problema: ma di che cosa costruiamo gli oggetti? Possiamo fare questa cosa col ferro, col bronzo, con lo zaffiro sintetico? La risposta e’ che c’e’ una gamma ristretta di materiali disponibili, e qui casca l’asino : e’ verissimo che potreste disegnare un servizio di piatti e farvelo stampare al momento, con tanto di disegni e rilievi. Ma i piatti hanno bisogno di materiali che resistano alla lavastoviglie, ai detersivi, e che non vi avvelenino.

Cosi’, il semplice fatto di poter stampare un oggetto tridimensionale solo avendo il disegno (compreso della serie di movimenti della macchina che lo costruisce) non significa assolutamente essere pronti per la sua produzione.

Per esempio, Z-corporation riesce a stampare anche delle scarpe:  Ma attenzione, perche’ questo non mi dice nulla sui materiali. Chiunque lavori da professionista nel settore mi sapra’ dire che non puoi mettere il piede in qualsiasi cosa somigli ad una scarpa, e che le stoffe sono fondamentali. Anni fa lavorai (per una consulenza sul taglio di pezze con resti minimi) con una ditta che faceva roba per intimo. E’ vero che con una stampante 3D potete fare questo: 3D-printed-fabric-N12-694E forse avra’ successo a qualche fiera. Vorrei pero’ sapere come reagisce quella stoffa al sudore, a pesi maggiori, quanti batteri alleva e come sara’ dopo il lavaggio, e quanti allergeni libera.

Fin qui i contro. I pro ovviamente sono molteplici.

Laddove permesso, queste tecnologie rappresentano un passo in avanti notevole. Se andate in una fonderia chiedendogli di stamparvi una cosa simile:  borromean_frontvi chiederanno probabilmente cifre inapprocciabili. E’ chiaro che se davvero sentite il bisogno di produrre un oggetto del genere, un approccio come il printing 3D potrebbe aiutarvi.

C’e’ da da dire che il termine “Printing 3D” e’ fuorviante: le stampanti che lavorano per aggiunta di materiale sono una parte della tecnologia, ed altre sono dei veri e propri robot capaci di azioni complesse.

Perche’ tanta eccitazione?

Perche’ come tutte le tecnologie, occorre un tecnologo per ideare il concetto, svilupparlo e comprenderne pregi e difetti. D’altro canto, gli umanisti possono sognare con molta piu’ facilita’, aggiungendo un poco di minchiate al tutto.

Il concetto di una stampante 3D e’ che puo’ arrivare a produrre un oggetto -limitatamente agli oggetti monoblocco- usando un disegno e facendo “click” su un tasto. Questo fa sognare i farlocchi perche’ immaginano un mondo ove loro hanno l’idea, la disegnano sul loro mac , e a questo punto la stampante fa tutto. Non devono avere a che fare con questi noiosi tecnici.

Quindi si sono messi a sognare – o forse a delirare- di  un mondo nel quale  tu hai solo bisogno del disegno. E siccome questi farlocchi sanno che di creativi ne esistono pochi -e loro non sono tra questi- stanno sognando un mondo in cui tu scarichi gratis il disegno , apri la tua bottega con la tua stampante, e inizi a vendere al dettaglio.

  • Salve, signora. Che cosa desidera?
  • Un servizio di piatti, uno di posate, due paia di slip della quinta e un biberon per il pupo.
  • Scelga il modello dal catalogo e glielo stampo subito.

Questo sogno ovviamente ha dei limiti. Il servizio di piatti sara’ stampato in qualche materiale plastico, e dobbiamo vedere come resiste all’acqua, al calore della lavastoviglie, e se tale materiale e’ tossico o meno. Le posate sara’ meglio averle in metallo, ma non e’ detto che si possa posare dell’argento a strati in quel modo. Gli slip della quinta forse in gomma li puoi fare, e ti abbonerai alla candidosi per mesi e mesi. Quanto al biberon, non e’ detto che potra’ contenere latte senza farlo cagliare, che possa stare nella bocca di un bimbo, e cosi’ via. Certo il nostro negoziante potrebbe avere molti materiali da mettere nella “cartuccia di inchiostro”, ma non e’ detto che tutti si lavorino con la stessa tecnica, e quindi con la stessa “stampante”. Il nostro negozietto inizia a dover contenere almeno sei-sette “stampanti” diverse.

Il secondo punto che i farlocchi non considerano e’ che se tu puoi avere una stampante 3D a casa, (costano circa 600 euro e ce ne sono anche di Open Source) oppure una stampante semiprofessionale da negozio, ci sara’ sempre l’industriale che ha 600 stampanti industriali  che fanno le stesse cose meglio e in modo piu’ economico, e specialmente usando tecnologie piu’ costose. Inoltre, avranno sempre il brevetto dei materiali che usate per la stampa, che dovrete comprare da qualche parte.

Il problema e’ che, anche escludendo i costi di ammortamento, le stampanti 3D stampano il pezzo a costo identico, che stampiate 100 o che stampiate 10000. Un processo industriale ben ingegnerizzato invece produce a costo decrescente col crescere del numero. Il che significa , di base, che queste stampanti possono eccitare la mente di chi sogna i replicatori di Star Trek , ma nei confronti dell’economia di scala NON rappresentano un modello finanziariamente superiore. Anche stampando a costo costante per pezzo, a prescindere dal numero di pezzi,  l’industria lavora meglio con costi decrescenti sulla quantita’.

E’ possibile il mondo che i farlocchi sognano? Cioe’ il mondo in cui voi aprite un negozietto di tutto e poi vi mettete a stampare per la gente?

Occorrono diverse assunzioni a riguardo:

  • Che il numero di copie sia cosi’ limitato da impedire all’industria di farvi concorrenza usando economia di scala.
  • Necessariamente, che non esista alcun limite al copyright: per vendere 100.000 cose in un anno, tutte diverse per evitare la concorrenza dell’industria, avete bisogno di diverse migliaia di disegni. Che, se hanno diritti d’autore, potrebbe essere una spesa non indifferente.
  • Non esista alcun limite di reperibilita’ sui materiali da stampa: ogni oggetto va costruito col materiale giusto, ed oggetti banali quali posate e vasellame sono il frutto di una evoluzione incredibile nel campo dei materiali.
  • Non esistano diritti da pagare sui materiali da stampa.
  • Non esistano limiti energetici: quelle tecniche consumano energia in proporzione al volume degli stampati.
  • Che tutti abbiano disegni differenti, per impedire all’industria di cercare il disegno piu’ scaricato del web, produrlo in serie con economia di scala, e buttarvi fuori mercato.

Si tratta di assunzioni fortissime, che difficilmente si potranno avverare tutte insieme.

Cosi’, quando sento dire che le tecnologie di stampa 3D cambieranno il mondo perche’ presto bastera’ la creativita’ per produrre, mi viene da rispondere cosi’:

“Se lo dice The Economist, sara’ una cazzata”.

in fondo, l’ Economist e’ come Hegel. Scrive troppo, scrive solo cazzate, e i suoi seguaci non si fermano mai a riflettere su quel che leggono.

Se sentite una cazzata, quindi, o l’ha detta Hegel o l’ha scritta l’ Economist.

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