Sono tutto un grafene

E’ successo ancora. Per la quarantesima volta negli ultimi due anni, e’ appena stata scoperta la batteria che si ricarica in due secondi e rimpiazzera’ le batterie del cellulare di oggi. Per la precisione, a Stanford. Ormai la scoperta di batterie efficientissime che rivoluzionano il mondo dei device portatili – e chissa’ quali automobili elettriche ci faremo!- ha superato la nuova cura contro la cellulite e la scoperta del gene della calvizie. Scoperte che, ovviamente, aprono la strada a nuove cure, insieme alla “molecola che fa propagare il cancro”, la cui scoperta e’ ormai bisettimanale, e avviene piu’ o meno in contemporanea in tutti i paesi del mondo, a dimostrare quanto e’ fica la ricerca locale.

La vera domanda che dobbiamo porci e’ “ma perche’ ogni due settimane viene scoperta la molecola che inibisce il cancro ma la gente muore “, oppure “ma come mai esiste ancora la calvizie, visto che sappiamo come bloccare il gene con una terapia genica”, e ancora di piu’ “perche’ stiamo ancora a caricare i cellulari, visto che abbiamo scoperto l’alga che vive di bestemmie e ricarica il cellulare da sei anni fa?”

Ci sono diverse ragioni di questa cialtroneria. La prima e’ che le tecnologie nuove vengono inventate dalle aziende, e non dalle universita’. End of story. Dalla ricerca universitaria possono venire dei principi di base o delle consulenze per la soluzione di alcuni problemi difficili, ma la nuova batteria NON sara’ inventata a stanford. Sara’ inventata da qualche grande azienda produttrice di batterie, che sia Basf o altre.

Dire “scoperta nuova batteria per cellulari a Stanford” e’ come dire “Il CERN produrra’ il nuovo iPhone”. No, non succede cosi’. MAgari i cellulari utilizzeranno brevetti depositati dal CERN, come quelli per i sensori o per alcuni materiali supermagnetici, ma NON succedera’ che al CERN disegnino il nuovo iPhone. E nemmeno che a Stanford progettino batterie. L’ iPhone continuera’ a disegnarlo Apple. Le batterie saranno inventate dai soliti Baeck, AEG, Axcomm, e via dicendo.

Il primo errore, quindi, e’ credere che dai laboratori universitari escano i prodotti.

Il secondo errore e’ credere che dai laboratori universitari escano prodotti.(senza la i).

Quando un chimico o un fisico-chimico hanno finito di produrre una nuova rivoluzionaria scoperta, diciamo pure una batteria di nuova concezione, la cosa procede in questo modo:

  • Abbiamo prodotto questa batteria che si ricarica in un secondo e dura 38 anni.
  • E’ vero, ma quei due materiali hanno come sottoprootto l’uranio satanico malefico pedofilo, che a smaltirlo ci vogliono gazzilioni e se lo versi nell’ambiente diventa topless di Alda d’Eusanio.
  • Questi sono problemi degli ingegneri e dell’industria.
  • I vostri materiali sono economici, ma per averli tutti insieme nello stesso luogol’efficienza energetica scende a zero.
  • Questi sono problemi degli ingegneri e dell’industria.
  • Professore, produrre questa batteria richiede una manodopera di PhD.La batteria e’ economica, solo perche’ a voi i PhD non costano nulla.
  • Questi sono problemi degli ingegneri e dell’industria.

il punto e’ che di invenzioni geniali in fase di prototipazione e’ pieno il mondo. Qualsiasi coglione puo’ produrre un prototipo funzionante di automobile a condensatori ceramici. Si prende la solita Panda 4×4, degli studenti che amano la meccanica e zac, ecco che abbiamo fatto l’auto elettrica economica con i condensatori ceramici come batteria.

Poi pero’ arrivano i certificatori della sicurezza e scoprono che no, mettere i motori nelle ruote e usare cavi per portare energia produce il rischio di inchiodamento della ruota stessa. Quindi occorre rimettere l’albero di trasmissione e un motore centrale, cioe’ ri-mettere quei 100kg di ferro che avevamo tolto. E gia’ l’autonomia scende.

Poi arrivano quelli che controllano la tenuta di strada e dicono che no, comunque la coppia di un motore elettrico va gestita diversamente, che non dobbiamo girare dentro il cortile dell’universita’, ma per le strade e per le autostrade. Quindi metti pure dei limitatori e non attaccare il pedale dell’acceleratore ad un reostato.

Poi arrivano i certificatori del crash test, e hanno dei pregiudizi verso condensatori capaci di fulminare qualsiasi soccorritore si avvicini dopo un incidente.

Alla fine, quando abbiamo finito di trasformare il prototipo in un’auto, scopriamo che della nostra Panda a condensatori ceramici rimane una cosa che ha autonomia di 3 metri e velocita’ massima di 1 km all’ora.

E’ facile inventare cose tipo “automobili del futuro” quando elimini la parte di design industriale, la parte normativa e la parte legata alla sicurezza degli impianti.

Stessa cosa per le batterie. Abbiamo inventato la nuova batteria. Poi la mettiamo nel telefonino e scopriamo che se si rompe e cola uccide chi l’ha in tasca. Oppure che ha un comportamento variabile con la temperatura. O che ogni tanto produce degli spike che bruciano il cellulare. O che non e’ a norma con le regole di riciclaggio, di sicurezza o con le aspettative legate al comportamento nelle vicinanze di sorgenti elettromagnetiche. Perche’ la batteria del cellulare la dobbiamo usare sul cellulare, che emette a 2.4Ghz , che sono la frequenza di dipolo del legame Idrogeno-Ossigeno, e magari chissa’ cos’altro fanno le armoniche, per cui magari questa batteria non sta bene vicina ad un’antenna.

Quando escludiamo la parte normativa e la parte di design industriale, inventare una batteria e’ semplice: forse girare con un sacco di patate addosso per alimentare il cellulare non e’ il massimo, pero’.E la scelta dei limoni non migliora le cose.

Morale della storia: inventare e’ facile, produrre e’ il vero problema.

L’ultimo anello di questa catena di annunci farlocchi e’ “Nature”

“Nature” era una rivista abbastanza credibile negli intenti, ma come tanti altri posti che sono autorevoli, e’ diventata una rivista che deve garantire la posizione di rendita a qualcuno, e il pompino accademico a qualcun altro.

Cosi’ esistono gli spazi riservati: tot articoli a Stanford, Tot articoli al MIT, e via cantando. Se soffre un pochino meno (ma non troppo) di articolite farlocca legata a peer review opinabili, come anche “Science” non e’ immune alla pompinite accademica. Esimio di qui, chiarissimo di la’, magnifico di sopra, e compagnia cantando, le pagine si dividono secondo un rigido criterio di megalorcheomachia cattedratica.Del resto parliamo del giornale che nel 1988 ha dato notorieta’ agli studi di Benveniste sull’omeopatia, grazie ai quali so cosa sia successo quando ho pisciato nel Mediterraneo.

Si tratta di giornali che hanno un grande “impact factor”, e quindi una pubblicazione su Nature e’ la meta, di per se’, di moltissimi ricercatori. Siccome Nature ha bisogno di impatto, e l’impatto mediatico e’ piu’ alto se dei giornali mainstream ripetono la notizia. Quindi, si prendono i problemi di tutti i giorni dell’uomo comune (cellulite, tette, batterie del cellulare, il conto del dentista, la calvizie, la pancetta) e di tanto in tanto via, che hai scoperto il gene responsabile della pancetta , delle tette che cadono, o hai scoperto la nuova otturazione che non fa male, o le batterie che non devi rimetterle in carica.

Direte voi: ma allora quando possiamo fidarci della “ricerca”? Come uomo comune, come posso fare io a sapere se hanno davvero scoperto qualcosa, o se hanno osservato un fenomeno interessante per gli addetti ai lavori, ma privo di applicazioni pratiche?

Semplice: potete crederci quando potete comprarla.

Non esiste la medicina che ci guarira’. Non esiste l’auto che funzionera’. Non esiste la molecola che potrebbe. Non esiste la tecnologia che arrivera’. Non esiste niente che sia futuro, condizionale o congiuntivo. Esiste qui, esiste ora. Non stiamo parlando di principi astratti come la relativita’ (che comunque fa funzionare il GPS nei nostri cellulari, btw) quando si parla di tecnologia. Esistono le cose potete comprare.

Ecco, allora seguiamo questo principio:

  • Non esiste la tecnologia che ci portera’ sulla luna. Esiste quella che ci ha portatisulla luna.
  • Non esiste la cura genica che ci fara’ guarire. Esiste la medicina che troviamo in farmacia.
  • Non esiste l’auto del futuro. Esiste quella che comprate al concessionario.

Ovvero, il puro e semplice atteggiamento di Galileo: non mi basta che funzioni a Stanford nelle mani degli scienziati. Deve funzionare a chiunque, sempre, e anche a casa mia. Spetta a me sapere come funzioni il mio GPS, e che funzioni per via della relativita’. Ma spetta a loro farlo arrivare in vendita, se vogliono essere creduti. Che la Peer Review ci riescono anche i preti a farsela tra loro. Ma non era esattamente l’idea di Galileo.

Altrimenti, della ricerca si fa soltanto la solita arca delle invenzioni che avrebbero cambiato il futuro, se solo fossero durate fino al presente.

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