QUATTRO domande a Confindustria.

Dopo il relativo successo per via del post sulle tre domande all’opposizione, mi e’ stato chiesto un parere su tanti altri enti, da “tre domande al Papa” a “tre domande a Cicciolina”. Deve essere la moda di far domande che ha preso piede. Cosi’, ho deciso di accontentare qualcuno, ma le tre domande le farei alla signora Marcegaglia.

 

Immaginiamo, per un qualche motivo, che per una sorta di punizione divina qualcuno mi metta a fare il governante. Sono cazzi, perche’ passerei alla storia come il governante col peggior carattere in assoluto, dopo la suocera sclerotica di Attila.

 

Comunque, immaginiamo pure che per punizione mi si metta a fare questa cosa. Cosi’, ad un certo punto prima o poi mi troverei a dare un’occhiatina all’ industria, e quindi dovrei convocare il vertice di confindustria.(1)

 

A quel punto, ci sarebbe qualche domandina che dovrei fare per capire la situazione.

 

Allora: Confindustria lamenta che in Italia manchi eccellenza e che ci sia una fuga di cervelli perche’ si investe poco in ricerca. La lamentela puo’ essere sensata, ma c’e’ un problema. Che nelle nazioni “che funzionano”, la stragrande maggioranza di coloro che fanno “ricerca”, cioe’ R&D, lavora per un’industria privata.

 

Quindi, da un lato e’ vero che lo stato, mediante gli enti di ricerca, deve fornire il “trampolino”, cioe’ il punto dal quale il nostro cervellone si fa scoprire e ha una gran genialata in mente. Pero’, poi arrivano le aziende che devono fornire il resto della piscina. Cosi’ io posso finanziare un pezzo del CERN, ma poi la gente che costruisce un superacceleratore nucleare, con strumenti di misura nuovi e piu’ sofisticati -producendo migliaia di brevetti- deve “ricadere” sull’industria.

 

Quindi il concetto e’ semplice: non posso ridurre un giovane talento ad un impiegato statale. Posso fornirgli un laboratorio -coi soldi del contribuente- potra’ esprimere e mostrare al mondo le sue potenzialita’. Ma poi, perche’ la ricerca funzioni, sia le idee che la persona DEVONO passare all’industria.

 

Cosi’, la domanda che farei alla signora Marcegaglia sarebbe:

 

Domanda 1: Investendo tot, il governo italiano puo’ dare diciamo, 1000 posti da ricercatore in Italia ad altrettanti giovani talenti. QUANTE DECINE DI MIGLIAIA NE ASSUMERANNO , POI, GLI INDUSTRIALI? Posso investire in ricerca sino a produrre, diciamo, 20.000 brevetti in piu’ nei laboratori degli enti di ricerca. QUANTI DI QUESTI BREVETTI VERRANNO COMPRATI DALLE INDUSTRIE ITALIANE? QUALI VI INTERESSANO? QUANTO SIETE DISPOSTI A SPENDERE?
Se questa domanda NON trova risposta, la fuga dei cervelli E’ UN BENE. Non ha senso prendere un ricercatore e trasformarlo -a vita- in un dipendente statale. Non ha senso prendere uno che puo’ costruire un vaccino e trasformarlo in un impiegato di qualche ente universitario: potro’ farlo esordire , ma poi qualcuno deve “comprarlo” e mettere in produzione le sue idee. Altrimenti avremo la “solita” nuova terapia che combatte il cancro ma nessuno vede in commercio: avremo solo la scienza degli annunci. Lo stato puo’ farti scoprire il vaccino, ma poi mi serve una pharma che lo compri. E sia chiaro: compri=paghi.

 

Se un cervello italiano ha come UNICA scelta quella di essere mantenuto a vita dallo stato, E’ MEGLIO che vada in un altro paese ove gli industriali lo cercano e lo finanziano. Lo stato NON puo’ prendere il posto degli industriali nella ricerca. Puo’ solo formare i ricercatori e farli “debuttare”.

 

Andiamo alla seconda domanda. Confindustria lamenta un eccessivo costo del lavoro. Mi dice che senza una politica del costo del lavoro, cioe’ senza riforme, non possono fare affari. Se non assumono, dice confindustria, e’ perche’ il lavoro costa troppo. Il che e’ vero. Ma non e’ TUTTO. Cosi’, la seconda domanda che farei a confindustria e’ semplice:

 

Domanda 2: investendo tot, il governo italiano puo’ abbassare, diciamo, il costo del lavoro del 5-10%. La domanda e’: IN TAL CASO, QUANTI NUOVI POSTI DI LAVORO MI GARANTISCE, CONFINDUSTRIA?  Lo stato non abbassa il costo del lavoro per far piacere agli industriali o perche’ cosi’ comprano una nuova barca. Abbassa il costo del lavoro per ottenere piu’ posti di lavoro.
Il problema e’ che se la pressione fiscale non si puo’ -per ora- abbassare, si puo’ spostare dal lavoro alla rendita. Questo richiede uno sforzo di riorganizzazione del fisco -che costa- e la richiesta di tassare chi non viene oggi tassato, o chi viene tassato meno. Cosi’, il governo deve presentarsi di fronte ad alcuni cittadini e spiegare loro che li si tassa, ma poi ci sara’ piu’ lavoro. Ok. Ma allora, se il governo si impegna a buttare una precisa cifra, (10,20,30 MLD) , che cosa ho in cambio? Gli applausi? Una dichiarazione ? Un comunicato stampa della Mercegaglia? Spiacente, ma neanche se cantasse il comunicato meglio di Pavarotti potrebbe avere una cifra simile.
Se il governo promette, sin dalla campagna elettorale, di dedicare 10,20,30 MLD alle industrie, loro mi devono dire QUANTI nuovo posti di lavoro saltano fuori. Cosi’ il governo puo’ dire “noi ci mettiamo 10,20,30MLD e loro ci mettono 100/200/300mila nuovi posti di lavoro”. Altrimenti, servono industriali diversi e la politica industriale puo’ solo consistere nel distruggere industriali italiani e dare il loro mercato a stranieri, in cambio di posti di lavoro. Io chiudo il mercato a FIAT, e in cambio del 27% del mercato italiano qualcun altro viene a produrre in Italia.

 

Andiamo oltre, e siamo alle riforme. Confindustria lamenta che aprire una nuova azienda in italia, o una nuova attivita’, costi molta burocrazia. Confindustria chiede piu’ liberta’ di mercato, chiede che le aziende siano piu’ libere di muoversi.

 

Allora,
Domanda 3: investendo tot in una riforma della pubblica amministrazione, e della burocrazia, posso fare in modo che le aziende siano libere di nascere e crescere. Tuttavia, per farsi finanziare devono passare per la borsa. Oggi le aziende quotate nella borsa di Milano sono POCHE. La domanda e’: SE IL GOVERNO INVESTE TOT IN UNA RIFORMA DELLA NASCITA DI IMPRESE, QUANTI INDUSTRIALI ITALIANI SONO DISPOSTI A DIVENTARE PUBLIC COMPANIES E QUOTARSI FINALMENTE IN BORSA ?
Il significato della domanda e’ semplice. Se io rendo facile creare imprese ma il meccanismo di finanziamento e’ “i soldi che ho in tasca”, il risultato sara’ che tutte le nuove industrie saranno fatte da “figli di”, “sorelle di”, “amici di”, “membri del tale clan”, “soci di”.

 

Se voglio che ad una liberalizzazione corrisponda una reale “liberta’ di impresa” devo fare in modo che una nuova impresa possa finanziarsi per diventare -se necessario- grande quanto le imprese Marcegaglia. E anche, se vogliamo, concorrenti della Marcegaglia. Per fare questo ho bisogno che il gioco avvenga in borsa. In questo modo saranno gli investitori a decidere se mettere soldi nella Marcegaglia SpA o nel suo neonato concorrente. Per ottenere questo, le aziende devono quotarsi in borsa e diventare delle public companies: bilanci standard e certificati, requisiti di trasparenza nelle comunicazioni sociali, eccetera.

 

Se gli industriali NON sono disposti a fare questo, tutto cio’ che posso fare e’ aprire la borsa a chiunque, dall’estero, voglia quotarsi. Anziche’ spendere soldi nel riformare la burocrazia posso creare un fondo sovrano che giochi in borsa finanziando nuove aziende -straniere-  che aprano in Italia e si quotino in borsa. In pratica, se la risposta e’ negativa allo stato conviene finanziare i concorrenti stranieri della Marcegaglia perche’ aprano in Italia, e lasciare che la Marcegaglia fallisca.

 

Se si rende “facile” aprire ed iniziare un’impresa ma NON si liberalizza ANCHE il meccanismo di finanziamento delle imprese, il risultato sara’ che piccole imprese apriranno per venire soffocate dai grandi, e poi comprate. Al contrario, con piu’ liberta’ l’industriale creera’ una nuova impresa “collaterale” dandola in mano ad un parente, il che produrra’ l’effetto FIAT: un universo chiuso ove tutto e’ deciso, indotto compreso, da una singola famiglia. Oppure, semplicemente le nuove aziende non apriranno per mancanza di finanziamenti e i grandi costituiranno un cartello. In tal caso, conviene allo stato tenere bassa la cresta ai grandi, perche’ non occupino quel poco spazio che i “nuovi arrivati” hanno. Non possiamo permetterci un’altra FIAT con il suo indotto di mediocrita’ , malcostume economico, pagamenti a 360 giorni &co.

 

Ultima domanda: Confindustria lamenta i costi della politica. Secondo Confindustria, un governo piu’ leggero potrebbe spostare gli investimenti piu’ lontani dai vertici e piu’ vicini alle funzioni operative dello stato, beneficiando cosi’ chi ha a che fare con il “terminale” dello stato verso il cittadino. Il che e’ corretto.

 

D’altro canto, le aziende italiane soffrono esattamente dello stesso problema: la classe dirigente concentra, sotto forma di reddito personale e/o di indebitamento scaricato sul giro di cassa, le risorse dell’impresa. In moltissime imprese italiane, se volete trovare macchine moderne e costose dovete andare nel parcheggio dei dirigenti. Spesso le aziende sono gestite come mere proprieta’, non si capisce quale sia il debito della famiglia e quale sia quello dell’impresa, calcolare il fabbisogno e’ impossibile perche’ vi rientrano le spese personali dei soci, e la lista dei benefit dei dirigenti e’ un enigma che i contabili faticano a districare.

 

Cosi’,

 

Domanda 4: riorganizzandosi -cosa che costa- il governo puo’ togliere risorse ai vertici diminuendo le spese, per destinarli alle aree produttive ed anticicliche (rispetto ad una crisi) dell’amministrazione. Dall’altra parte, QUANTO DEL LORO ATTUALE REDDITO PERSONALE GLI INDUSTRIALI SONO DESTINATI A DISTOGLIERE DALLE PROPRIE SPESE PERSONALI PER FINANZIARE L’AZIENDA?

 

Tutte e quattro le domande sono improntate alla stessa logica: confindustria sembra alludere in continuazione ad un qualche contratto -che si suppone spezzato- tra governo e industriali. Sembra dire che se il governo non fa la sua parte per lo sviluppo, certo non puo’ aspettarsi che gli industriali facciano la propria.

 

Tuttavia, se confindustria chiede al governo di dire CHIARAMENTE e contrattualmente quale sara’ la sua parte, non mi sembra che confindustria dica MAI -altrettanto chiaramente e contrattualmente- quale -E QUANTA-  sara’ la parte degli industriali.

 

In pratica dicono “il governo faccia tot numeri, gli industriali faranno in cambio -qualcosa che non quantifichiamo-: non promettiamo niente”

 

Allora:  se confindustria non risponde alla domanda 1, con questi industriali NON avremo mai alcuna “eccellenza”, e conviene importarla dall’estero. Semmai anche si finanziasse la ricerca, si finanzierebbero ricerche internazionali e quindi i concorrenti dei nostri industriali. In quel caso, e’ bene esportare ricercatori per importare aziende straniere.

 

Se confindustria NON risponde alla domanda 2, conviene abbassare il costo del lavoro SOLO ad aziende straniere che entrino nel paese assumendo nuovi dipendenti, e lasciare che quelle italiane vengano schiacciate e sostituite.

 

Se confindustria NON risponde alla domanda 3, conviene creare un fondo sovrano e fagli finanziare qualsiasi azienda straniera decida di entrare nella borsa italiana aprendo sedi e strutture in Italia, o qualsiasi azienda straniera ne compri una italiana -se si quota in borsa a MIlano-. E lasciare che gli industriali italiani soccombano.

 

Se confindustria NON risponde alla domanda 4, conviene al governo ristrutturarsi rinazionalizzando imprese e comprando imprese gia’ sul mercato, integrandole nell’infrastruttura pubblica: si eliminano i costi burocratici -essendo le aziende gia’ parte della pubblica amministrazione che concede i permessi- e si evita lo scandaloso giro di cassa che oggi caratterizza le aziende italiane.

 

Se confindustria NON risponde ad almeno DUE domande, non ha senso averla come controparte del governo, e quindi riconoscerla come parte sociale. La si sciolga con la forza.

 

Se confindustria non risponde a NESSUNA delle domande, non ci servono questi industriali. Si nazionalizzi a piene mani e se protestano si possono sempre suicidare.(2)

 

Uriel

 

(1) Nella mia idea di governo, se io ti convoco tu vieni, e pure in orario. Non e’ che prendo un appuntamento con la tua segretaria. Ti dico quando devi esserci e dove devi essere.  Non ho alcuna inibizione ne’ verso il concetto di “comando” ne’ verso quello di “obbedienza”, che trovo naturali e privi di implicazioni sulla dignita’ delle persone. Il comando, peraltro, e’ prima di tutto servizio.

 

(2) Chiunque muoia per mano di un malvagio governo autoritario puo’ diventare un martire od un eroe, tranne in un caso. Il suicidio -intendo l’intenzione di darsi la morte come unica via di fuga-. Non e’ politicamente possibile, neanche con tutta la propaganda del mondo, trasformare un suicida in un martire. (il kamikaze non e’ un vero suicida, perche’ la sua azione ha valore militare, e quindi sfugge alla regola. Ma se uno si suicida senza per questo danneggiare il nemico, non e’ un kamikaze). L’eliminazione di un nemico politico DEVE essere un suicidio. C’e’ una ragione se tutte le religioni -cioe’ la politica ante litteram- vietano il suicidio. Il paradiso non e’ altro che una metafora del ricordo dei defunti, della memoria. Dire che il defunto finisca all’inferno e’ come dire che la societa’ se ne dimentichera’. Cioe’: niente martiri od eroi tra coloro che si chiudono in camera da letto e si suicidano. Canonizzare o usare un suicida come esempio per le generazioni future e’ impossibile. Se volete uccidere, basta un omicidio. Per l’omidicio politico -perfetto- occorre il suicidio.

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