Propagande finanziarie e palle stataliste.

Avevo voglia di scrivere un post sugli speculatori, poco fa. Ma mi e’ passata. Perche’ alla fine mi troverei nel paradosso della montagna di merda, cioe’ a spalare tutte le minchiate che ognuno si racconta di fronte allo specchio per convincersi di essere diversi dagli altri anche se si comporta come gli altri. Certo, gli altri hanno le ricchezze, noi i risparmi. Gli altri speculano, noi investiamo. Gli altri rubano, noi cogliamo le occasioni.
Cercavo di spiegarlo poco prima del crack argentino: state speculando. Trasformate, cioe’, il rischio in soldi.E perche’ l’avete pagata voi? Perche’ riassumendo molto il rischio si potrebbe calcolare anche cosi’:

R = P x D x S
R e’ il rieschio. P e’ la probabilita’ che avvenga il disastro che temete. D e’ l’ammontare del danno. S e’ la sensitivita’ del sistema all’evento catastrofico.

Adesso prendiamo Goldman Sachs, che compra bond argentini. Ha investito diciamo, che so io, un miliardo di dollari. C’e’ un rischio del 30% che l’argentina vada in default. Anche se avvenisse, si tratta di una cifra che Goldman Sachs riprende in tre mesi, 0,25 anni.
Allora diciamo cosi’:

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R = 0.3 x 10^9 x 0.25 
cioe’ qualcosa come 75.000.000. Se Goldman Sachs riesce a farsi dare 75.000.000 dollari indietro, in questo modello MOLTO semplificato, ha compensato il rischio, o almeno la roba che abbiamo chiamato R. E’ circa, concettualmente (la formula reale e’ piu’ complessa, e spesso e’ semplicemente l’equilibrio tra domanda e offerta) quello che si fa coi CDS.
Adesso prendiamo lo stesso miliardo e spalmiamolo sulla gente comune. Per la massa di persone che comprano questo bond, qual’e’ il rischio? Il rischio di crack argentino e’ il medesimo. LA quantita’ di soldi in gioco e’ la medesima. Cosa cambia? Che il parco buoi per rifare quei soldi ha bisogno di risparmiare per 30 anni.
Vediamo quanto rischia il parco buoi, inteso come singola entita’:
R = 0.3 x 10^9 x 30
La risposta e’ abbastanza semplice: il parco buoi dovrebbe giocare solo  a patto che il capitale renda dieci volte tanto.
Si tratta di una formula molto “asintotica”, diciamo che dovremmo scrivere qualcosa di questo genere :
R = O(P x D x S)
 
Cosi’ sarete contenti e io avro’ spiegato meglio il concetto: il rischio per l’uomo comune e’ MOLTO maggiore, a parita’ di investimento, a parita’ di pericolo,  rispetto a quello del dealer.
Ed e’ qui il punto: l’accesso indiscriminato agli strumenti finanziari e’ sbagliato. Voi direte: ma io non speculo, investo. Nono, tu speculi. Ma non devo convincerti io. Cioe’, se tu vai troppo veloce in auto , e io te lo dico, mi dirai “io sono un viaggiatore esperto, e poi sono bravo alla guida, e so quello che faccio”. Quando incontrerete il platano della vostra vita, queste parole non conteranno. Cosi’, il mio unico problema e’ di non essere in auto con voi quando incontrerete il platano.
Cosi’, guardiamo il portogallo. Perche’ e’ a rischio pur avendo un debito attorno al 70% del PIL, 40 punti meno di noi? Perche’ le famiglie si sono indebitate, cioe’ hanno avuto un accesso indiscriminato ad alcuni strumenti finanziari di debito.L’indebitamento privato , e specialmente quello familiare, ha raggiunto il 236% del PIL; ed e’ questo il fattore principale che rende il portogallo cosi’ a rischio, piu’ del debito pubblico.
Ci sono enormi quantita’ di persone che stanno scervellandosi per capire in anticipo quali nazioni saranno le piu’ colpite dalle crisi finanziarie. LA risposta e’ semplice: quelle ove i cittadini hanno avuto piu’ accesso a strumenti finanziari  basati sul rischio ponderato. Siano essi dei prestiti, dei mutui, degli “investimenti” (come chiamate voi le ostre speculazioni), se si basano sul principio che “piu’ rischio, piu’ resa”, la massa di questi investimenti e’ proprio quella che cola a picco i paesi.
(Sia chiaro, la Grecia ce ‘ha proprio messa tutta a fallire solo col debito pubblico, truffando sui bilanci, arrivando al 125% del PIL, eccetera. MA sono casi rari, l’argentina e’ fallita con un debito “paradisiaco” rispetto al PIL, meno del 50% se non ricordo male).
Quando sento dire che in Italia crolla il credito al consumo, personalmente io sono felice. Significa che ci allontaniamo dall’epicentro delle crisi finanziarie. Quando sento dire che sono stati erogati meno mutui casa, idem: ci stiamo allontanando dall’epicentro dei disastri finanziari. E quando sento dire che le famiglie italiane, con sforzi immensi, iniziano a risparmiare ma sono piu’ caute negli investimenti, e investono meno, sono ancora piu’ felice. Perche’ questo ci allontana ancora.
Che tutti avessero questo accesso al credito non era, di fatto, una cosa cosi’ bella. Che tutti giocassero in borsa, che tutti trafficassero in pacchetti di azioni (bilanciati o meno) non era una cosa bella.
La mappa del rischio internazionale, di fatto, segue piu’ la mappa degli indebitamenti dei privati che quello degli indebitamenti pubblici.
Inoltre, segue dei trend che rispecchiano anche dei razzismi: il Belgio e’ messo come il porco a Natale sul piano economico, finanziario e adesso anche politico. IL suo debito pubblico e’ altissimo e l’indebitamento anche. Non si vede per quale motivo dovrebbe essere in condizioni migliori di un’ Irlanda o di un Portogallo, se non per il fatto che sono piu’ ariani e piu’ vicini al centro dell’ UE. Di fatto, il razzismo di fondo sollevato dalla crisi dei PIIGS e’ quello di paesi mediterranei o culturalmente in opposizione al mondo protestante (ovvero paesi mediterranei o cattolici): la geografia del rischio e’ molto diversa: il CDS sull’Austria sono cresciuti enormemente per via dei rischi legati all’indebitamento con l’ Est Europeo; nessuno si azzarda a infilarli nella lista dei paesi a rischio; cosa buffa visto il comportamento dei riassicuratori.
In generale, il modo di uscire dalla crisi , o di “vaccinarsi” contro questa crisi e’ semplicemente di irrigidire le leggi sul credito al consumo e sull’accesso del privato cittadino e della piccola realta’ agli strumenti finanziari.
Il concetto e’ che se un operatore delle dimensioni di  Goldman Sachs compra dei titoli e poi , per vie traverse, ve li rivende attraverso N mediatori, il dealer  rischia poco. Quando voi comprate 10.000 euro di titoli, il dealer rischia 75 euro. Voi ne rischiate 90.000.
Allora dite: ma io 90.000 euro non li ho, come posso rischiare? Non importa: in qualche modo ti verranno tolti; non fosse altro che il fatto che la crisi conseguente alla speculazione ti togliera’ quei 10.000 euro per tutti gli anni a venire, E per il fatto che il tuo reddito si ridurra’ molto.
Questo e’ il danno che fa il singolo cittadino quando inizia a lavorare con strumenti finanziari ponderati sul rischio: alla fine dei conti, rischia enormemente piu’ di quanto rischi il dealer, ma il suo rendimento e’ calibrato sul rischio dei dealer, il che significa che e’ un centinaio di volte piu’ basso.
In ogni caso, la grande mistificazione e’ molto semplicemente questa: si fa passare come ragione principale del rischio default l’indebitamento pubblico, che e’ indubbiamente un fattore pesante, ma a scatenare le crisi reali, quelle che mandano tutto a puttane, e’ sempre l’indebitamento dei privati.
Ovviamente nessuno vuole dire questa cosa. Quando si dice che la UE dovrebbe essere piu’ severa coi governi e controllare la loro spesa, tutti si dicono d’accordo, perche’ sognano di politici che vanno al lavoro poveri come francescani.
Ma se qualcuno sollevasse il problema dell’indebitamento dei privati come fattore di rischio per le economie nazionali, la raccomandazione non potrebbe essere niente di meno che incaricare la UE di frenare l’indebitamento dei privati cittadini: impedirvi di comprare l’auto a rate, di fare il mutuo casa, di farvi dare piu’ fido per le aziende.
Questo sarebbe il punto del post.
  • E’ stupido e inutile sostenere che il fattore di rischio maggiore per il default delle nazioni sia il debito pubblico. Una nazione con una popolazione ricca e risparmiatrice potrebbe dare fiducia al debito fino al 500% del PIL, se necessario, per la semplice ragione che si riterrebbe l’economia capace di restituire il credito. Se l’ Italia tornasse ai livelli di risparmio familiare degli ultimi anni ’80, il 120% del rapporto debito/pil ci farebbe ridere piu’ che preoccuparci.
Osserviamo ora la situazione del risparmio in Italia negli ultimi decenni. Il tasso di risparmio nazionale lordo, partito da una media del 22,4% nel decennio 1981-1990, è sceso al 20,7% nel decennio successivo. Il graduale declino è continuato nei primi anni del nuovo millennio con un 20,2% nel 2001, un 19,9% nel 2002 ed un 18,7% nel 2003. Se si disaggregano le componenti del risparmio nazionale possiamo notare come in passato il risparmio pubblico abbia assunto per molti anni valori negativi (-6,4% del reddito lordo disponibile nel decennio 1981-1990; – 3,3% nel decennio 1991-2000) e solo a partire dal 2001 abbia invertito la tendenza.
In sostanza nell’ultima parte del secolo XX il settore in parola, in Italia, non solo non ha risparmiato, ma ha distrutto risparmio privato. Il risparmio delle imprese assume normalmente valori positivi, ma sino alla metà degli anni ’90 ha rappresentato mediamente una componente minore del risparmio privato e perdipiù una componente soggetta ad oscillazioni cicliche (Mazzocchi 1957). Si tratta inoltre di un flusso di risparmio che, da solo, non è, sufficiente ad alimentare in toto gli investimenti del settore nel cui ambito si forma. Risulta quindi evidente il ruolo cruciale tuttora svolto dal risparmio che si forma nelle famiglie italiane. Negli ultimi decenni, tuttavia, si è evidenziata una tendenza ad un lento declino del contributo relativo offerto dal risparmio familiare. Il tasso di risparmio familiare nel decennio 1981-1990 corrispondeva mediamente al 22,4 % del reddito lordo disponibile, con una punta annuale del 30%, un valore fra i più elevati nel contesto internazionale. Paradossalmente, il suo ammontare complessivo perveniva a superare quello dell’intero risparmio nazionale.
Nel decennio successivo (1991-2000) il tasso medio di risparmio familiare scendeva al 14% per attestarsi poi attorno all’8% nei due anni successivi ed avvicinarsi al 9% nel 2003. La consistenza della ricchezza lorda delle famiglie corrisponde a circa sei volte il PIL e tale ricchezza è composta per circa un terzo da attività finanziarie. Alla fine del 1995 le famiglie italiane possedevano 1.712 miliardi di euro di attività finanziarie. Di queste attività finanziarie facevano parte 446 miliardi di euro in titoli pubblici, 182 miliardi di euro in titoli privati, azionari ed obbligazionari, emessi da imprese, 68 miliardi di euro in quote di fondi comuni e 558 miliardi di euro in depositi ed altre forme di raccolta bancaria (Fazio 2004). Alla fine del 2002 il quadro era mutato: le attività finanziarie delle famiglie corrispondevano a 2.494 miliardi di euro, di cui i titoli pubblici solo 218 miliardi di euro.
Capite ora il meccanismo: con famiglie molto risparmiatrici si mette in modo un meccanismo virtuoso di assorbimento del debito pubblico, che ha il risultato di rendere stabile il debito nazionale.
Questo spiega per quale motivo l’indebitamento privato e il risparmio privato “pesino” molto piu’ del debito pubblico nella stima di rischio.
Sarebbe ora, quindi, di smascherare la prima menzogna: per stabilizzare le nazioni non occorre disciplinare di piu’ il debito pubblico, ma quello privato. Ed e’ piu’ conveniente spingere i privati a risparmiare piuttosto che praticare cure draconiane ai bilanci pubblici.
 
  • 2 Il problema dei debiti pubblici e’ quindi sopravvalutato, cosi’ come e’ sopravvalutata la questione della disciplina finanziaria pubblica. Una nazione priva di un vero ceto medio e’ destinata ad andare in default anche con un 10% di rapporto tra debito pubblico e PIL. 
Sono stupide e sopavvalutate, dunque, le “cure dimagranti” proposte agli stati. Anche se la Grecia potesse ridurre il proprio debito pubblico come ha fatto il Belgio, e scendere attorno al 90% , con il microscopico risparmio privato di cui dispone e l’alto indebitamento dei privati, fallirebbe comunque. Come sta succedendo al Portogallo, che rischia il default non per il 77% di rapporto PIL/Debito pubblico, ma per il rapporto del 236% tra debito privato e PIL.

Le nazioni dell’euro sono destinate a fallire non solo nel caso in cui non rimettano a posto i conti pubblici, ma anche quando, accettando cure durissime (le stesse che NON hanno funzionato con l’ Argentina) , rescano a ristrutturarli.

Perche’ non si puo’ dire? Perche’ e’ impopolare.

Si puo’ sicuramente dire sui giornali che per legge vadano disciplinati i bilanci pubblici: i seguaci di “piove, governo ladro” gemeranno di piacere. Ma non appena si iniziasse a dire che occorrono leggi per disciplinare meglio l’indebitamento dei privati, allora sono cazzi acidi.
Significa niente piu’ mutui casa, niente piu’ macchine a rate, niente piu’ carte di credito con lo scoperto, significa niente piu’ fidi facili alle aziende con 500 euro di capitale sociale.
Cosi’, questa menzogna che vuole il deficit pubblico (e il governo ladro) al centro del problema continuera’ a venire propagata.
Si dira’ che  i governi hanno le ricchezze, noi i risparmi. Gli altri speculano, noi investiamo. Gli altri rubano, noi cogliamo le occasioni.Perche’ il popolo e’ buono, il governo e’ cattivo.
E cosi’ si curano i governi, lasciando il popolo ad indebitarsi e far collassare le economie.
Per questo non ho bisogno di scagliarmi sugli speculatori: saranno quelli che pagano. Anche quando appartengono al popolo. E no, anche se darete la colpa al governo, il conto lo pagherete voi.
Come ho sempre detto, alla fine il responsabile paga sempre.
Uriel

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