Profumo di nerchia II.

La saga del “di quale partito avverso al nostro e’ la colpa” , riguardo alla vicenda di Profumo, continua. E si arricchisce di una nuova, assurda farloccheide ipocrita, (della quale il protagonista principale non puo’ che essere Repubblica), secondo la quale il Satana malvagio che ha mandato via Profumo e’ stata la Lega Nord, attraverso la malvagie fondazioni del nord (alleate con Darth Vader, as usual). Vediamo perche’ scrivono altre cazzate.

 

Per prima cosa, sarebbe meglio che  nella redazione di Repubblica non si punti troppo sul localismo delle fondazioni. O meglio: chi oggi accusa il “localismo” delle fondazioni dovrebbe ricordare che le fondazioni sono un’invenzione di quel pregiato incompetente che fu Prodi, e che lo statuto fortemente locale delle fondazioni, con tutti gli obblighi di finanziare il territorio e di tutelare il territorio, fu voluto dai vertici dell’ allora PdS.

 

Tanto per ricapitolare, all’epoca della riforma esistevano le casse di risparmio. Poiche’ erano istituti del diritto pubblico, cozzavano contro le norme del quarto reich dell’unione europea, e quindi andavano riformate. Per scelta dell’allora PdS/DS quelchelera, si decise di mantenere una fortissima connotazione localistica. Per diversi motivi di breve termine: Montepaschi, Carisbo, ed altre banche “locali” avevano fondazioni capaci di finanziare il partito locale, nelle zone (Siena, Bologna,e tc) ove il partito era forte.

 

All’epoca “il territorio” era del partito piu’ radicato e capillare e organizzato del paese, e quindi legando le fondazioni al territorio nel PdS si penso’ di legare i soldi al partito. E cosi’, lo statuto delle fondazioni e’ quello di un ente rigorosamente locale, legato a doppia mandata al territorio, sin dallo statuto.

 

Chi oggi , a sinistra, si lamenta della dimensione locale e localista delle fondazioni dovrebbe avere il coraggio di ricordare che furono LORO a volere le fondazioni  cosi’ legate al territorio. E ne furono felicissimi perche’ all’epoca erano il partito piu’ radicato sul territorio. E ne sarebbero stati felicissimi tutt’ora (come lo sono a Siena), se la Lega non avesse sfilato loro di mano proprio “il territorio”.
Devono stare molto attenti, ad agitare lo spettro del “oddio, questi sono piccoli interessi locali”, per la semplice ragione che qualcuno dovrebbe chiedere loro conto dell’operato della Fondazione Montepaschi (della quale il PD nomina l’80% dei soci), come della provincialita’ della banca stessa, che quando ha voluto partecipare al gioco delle grandi aquisizioni non ha fatto altro che comprare sportelli.(scelta che si rivelo’ saggia, vista la successiva crisi dei subprime, ma non e’ stata sfruttata ).

 

Quindi, questa gente si lamenta per qualcosa che hanno costruito loro. E no, le fondazioni non sono diventate malvagie solo perche’ adesso le ha la Lega: lo statuto e’ quello, e rimane quello. Le fondazioni devono finanziare il territorio, per fini sociali e locali. Lo ha deciso un tizio che si chiama Prodi, e lo ha fatto su pressioni del PD(s).

 

Qui veniamo alla vexata quaestio: il potere delle fondazioni e’ “male” perche’ e’ locale, mentre unicredit avrebbe “il pregio” di essere internazionale. La domanda e’: si tratta di una legge scritta sulla pietra? E’ una verita’ assoluta?

 

La risposta e’ no, e che non solo possiamo non essere d’accordo, ma esistono moltissime ragioni per non essere d’accordo. Il primo punto e’ che l’italia e’una realta’ italiana, cioe’ locale. Sapere che qualcuno lavora per il locale , significa sapere che qualcuno lavora per ME.

 

Il punto principale che fa la differenza tra Lega e DS e’ che quando la lega parla del nord dice “noi”, mentre quando il PD indica il paese dice ” l’ Italia”, “gli italiani”, eccetera. Ed e’ in questo piccolo differenziale semantico il problema: se un imprenditore di Casalecchio ha bisogno di fido, va in una banca di casalecchio. Magari va in una banca di Bologna. Ma NON va in una banca polacca.

 

Qui e’ il punto: “locale” siamo noi. “Internazionale” e’ qualcun altro.

 

A questo punto non e’ ben chiaro che cosa intenda Repubblica , insieme a tutti quelli che si lamentano del “localismo” e della “poca internazionalizzazione”. Quando si parla di “internazionalizzazione” si intende semplicemente il contrario di localismo: il fatto che Unicredit debba diventare “internazionale” significa semplicemente che non deve piu’ dare peso alle fondazioni, che finanziano il territorio.

 

Ma questa logica non si chiama “internazionale”, si chiama ‘delocalizzazione”. Quando “diventare internazionali” implica o richiede che si diminuisca il radicamento nella realta’ locale, non si dice “internazionale”, ma semplicemente ‘delocalizzato”.
Quando alla Repubblica strillano dicendo che Unicredit deve essere meno “locale” , non stanno chiedendo altro se non di mettere alla fame gli imprenditori delle regioni leghiste, colpevoli di essere leghiste, per spostare all’estero l’attenzione, cioe’ inevitabilmente gli investimenti. Cioe’, la delocalizzazione del credito.

 

Che lo scopo sia quello di affamare le regioni che votano Lega e’ evidente, dal momento che nessuno ha ancora osato criticare questo concetto secondo cui:

 

  • Internazionale e’ meglio di locale. Sebbene tutti stiamo subendo danni devastanti dalle delocalizzazioni e dal social dumping, sebbene stipendi e condizioni di lavoro stiano calando perche’ le aziende diventano “internazionali”, si continua a dire che “internazionale” e’ bello mentre locale e’ male. Si dimentica sempre la stessa cosa, cioe’ che locale siamo noi, mentre internazionale e’ qualcun altro.
  • Internazionale e’ l’opposto di locale. Che si investa in “18 paesi” e’ bello, ma solo se ci si aliena dalle logiche locali, che sono per forza di cose malvagie. Come se i partiti che parlano cosi’ fossero mai riusciti ad internazionalizzarsi. Ovviamente, l’imprenditore che prima aveva credito a verona, dovra’ rivolgersi allo sportello di Unicredit di Varsavia. E sapete qual’e’ il bello? Che lo fara’. Quando delocalizzera’ la produzione in Polonia.
  • La politica non deve mettere le mani nell’economia. La politica, essendo locale e quindi sporca e quindi fatta di squallide manovre, non deve mettere le mani sulla finanza e sulle preziose regole di management. Chi dice questo fa il politico, e non si accorge della contraddizione. Se la politica deve stare fuori da Unicredit, perche’ dovrebbe entrare in casa mia? Perche’ dovrebbe entrare nella sanita’, quando non deve toccare una banca per non sporcarla? Perche’ dovrebbe occuparsi di nominare il CSM, visto che non puo’ nominare uno stupido CEO?
Queste tre culture sono i tre piu’ madornali errori ideologici della sinistra moderna, e sono alla base della vittoria di Silvio BErlusconi e della Lega. Berlusconi non ha bisogno di ideologi o di una cultura di destra, perche’ di fatto e’ la sinistra a creare la cultura che lo porta al potere.

 

L’idea che la politica non debba mettere bocca nell’economia o nella finanza e’ assurda. Si e’ diffusa la mentalita’ secondo la quale la politica sarebbe un fattore distorsivo di attivita’ che altrimenti procederebbero secondo precise tecniche consolidate e neutrali. A parte il fatto che la finanza non ha precise tecniche blablabla, il vero problema e’: cio’ che e’ vero per una banca non e’ vero anche per un ospedale? La politica non ne distorce forse i precisi ritmi, le tecniche scientifiche consolidate e neutrali? E allora, non e’ una forzatura anche quando la politica si occupa di polizia? Non ha forse la polizia le sue tecniche investigative, organizzative, scientifiche , consolidate e neutrali? E non ha allora nemmeno senso che si nomini un ministro dello sviluppo industriale: se non possiamo mettere bocca in una banca, visto che ne distorciamo inevitabilmente il prezioso meccanismo , come ci permettiamo di mettere bocca nell’intera economia del paese?

 

Su questo la penso come Marx: la storia e’ economia materiale, la societa’ e’ economia materiale. Se accettiamo questo affermare che la politica debba stare fuori da tutto cio’ che funziona secondo meccanismi “neutrali” (ammesso che ne esistano) , significa affermare che la politica deve stare fuori dalla storia intera. Non per nulla, questo ragionare ha posto le premesse dell’antipolitica di Bossi e Berlusconi.

 

Si rimprovera Berlusconi di essere aziendalista e non politico nel senso pieno, e contemporaneamente si grida che la politica non deve sporcare le aziende con i suoi squallidi giochi. Interessante: si e’ creata una gerarchia secondo la quale le aziende sarebbero degli orologi svizzeri la cui precisione garantisce crescita, e la politica sarebbe la sporcizia che inceppa il meccanismo.

 

A questo punto,  un uomo dell’azienda vince su quelli della politica. Mi sembra inevitabile, naturale conseguenza delle premesse.

 

“Internazionale e’ meglio di locale” e’ la seconda fesseria. Quando si dice che un’azienda delocalizza, noi pensiamo che si sposti. Problema: chi ti da’ i soldi per costruire la fabbrica, da qualche parte nel mondo? La risposta e’ che ti sposti in Polonia devi trovare una banca con cui lavorare in Polonia, anche perche’ i fornitori polacchi non useranno di certo banche italiane. E quindi, poche seghe: la delocalizzazione del lavoro segue per forza di cose la delocalizzazione del credito.

 

Quando si manda via la banca, l’azienda la segue. Internazionalizzare le banche significa favorire la delocalizzazione. Dare meno potere sul territorio alle fondazioni, o indebolirle perche’ “sono sul territorio”, significa mettere alla fame il territorio.  Locale siamo noi, internazionale e’ qualcun altro.

 

Nell’appoggiare un’ideologia internazionalista, di fatto il PD indica se’ stesso come il colpevole delle delocalizzazione e della crisi che colpisce il territorio e le PMI. L’imprenditore non puo’ sentirsi dire che Unicredit sia internazionale (cioe’ gestisca risorse all’estero) quando mancano le risorse in loco.

 

La cosa che il PD non ha capito, per semplice stupidita’ di vertici e base, e’ che il VOTO e’ un fenomeno locale. Non si puo’ internazionalizzare il voto, neanche spaccando i coglioni con Obama dalla mattina alla sera. Il voto e’ un fenomeno locale. Mettersi dalla parte di un’internazionalizzazione delle risorse si paga con un rigurgito di voti locali che si oppongono alla cosa.

 

Sia chiaro, che se mi si chiede, da italiano, se sia meglio dare potere a Varsavia o a Verona, scelgo Verona. Senza ombra di dubbio, e senza nemmeno entrare nel merito del problema: comunque, Verona contribuisce al successo della MIA nazione, Varsavia NO.

 

Locale siamo noi, internazionale e’ qualcun altro.

 

Quello che sta facendo Repubblica e’ di confermare ancora una volta l’ideologia farlocca di un partito farlocco, e che in quanto tale non andrebbe votato: spostare all’estero le risorse e mortificare qualsiasi cosa sia “locale”, dispregiativamente indicato con “italietta”. O se preferite le parole di Togliatti:

 

«È per me motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più. Come cittadino sovietico sento di valere dieci volte più del migliore italiano»
E’ esattamente la stessa cosa che fa Repubblica quando dice che per misteriose ragioni Unicredit deve sfuggire al controllo delle fondazioni, “troppo locali” quando parla di italietta e di piccoli giochi politici. Ovviamente, l’altrettanto locale (e altrettanto piccola) fondazione di Montepaschi non e’ compresa nel discorso.

 

Per il mondo di sinistra “locale” e’ soltanto lo slow food e il cibo biologico, tutto il resto deve essere internazionale. Cosi’, le industrie devono essere internazionali perche’ l’italietta puo’ fare da sola, e poi si piange per la delocalizzazione. E le banche devono essere internazionali, perche’ figuriamoci se l’italietta puo’ fare da sola, e poi si piange se in italia non c’e’ credito.

 

Ma specialmente, deve diventare internazionale tutto cio’ che altrimenti e’ dell’avversario politico: gli stessi che oggi tuonano contro l’influenza di Bossi dentro le fondazioni non avevano nulla da ridire quando si telefonava a Consorte chiedendo “abbiamo una banca?” , per cui il problema non e’ che la politica deve stare fuori dalle banche, ma che alcuni partiti devono stare fuori da alcune banche.

 

E lo stesso vale per il territorio: nulla di male se la fondazione Montepaschi distorce l’economia di Siena , niente di male se le varie fondazioni emiliane presidiano (ormai : presidiavano) il territorio, perche’ QUEL territorio e’ BUONO, e quindi e’ giusto. Il MALVAGIO territorio di Verona invece no, perche’ non vota per il partito giusto, e quindi va penalizzato: le fondazioni , li’, hanno TROPPO potere, davvero.

 

A Bologna c’e’ un detto, e dice che la merda piu’ la pesti e piu’ fuma. I contorcimenti della Repubblica per accusare l’avversario di una catastrofe dovuta ad anni di attrito con gli azionisti si fanno sempre piu’ penosi, e trasportano un messaggio che porta gli elettori distanti da loro.

 

Quello che l’elettore di Verona vede e’ che la sinistra vuole che Unicredit si sollevi e voli nei siderei cieli internazionali, dando meno importanza al territorio rappresentato dalle fondazioni. E siccome l’elettore di Verona ha l’azienda a Verona e il conto a Verona, il voto e’ locale, ed e’ la risposta di uno cui vuoi togliere risorse: fottiti.

 

Questo e’ il punto: locale siamo noi, internazionale e’ qualcun altro. La sinistra, dicendo che internazionale sia meglio di locale, e che la dimensione internazionale sia piu’ importante di quella locale, sta dicendo che qualcun altro e’ piu’ importante di noi.

 

E ovviamente, “noi” ce ne ricorderemo alle prossime elezioni.

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