Perche’ , percome la corazzata Потёмкин e’ una cagata pazzesca.

Nonostante uno dei topos della sinistra voglia che i piu’ influenti registi italiani del periodo moderno siano dei noiosi stiliti come Moretti & co, il regista che maggiormente ha rappresentato un punto di svolta nella societa’ italiana moderna e’ stato Paolo Villaggio. La prima ragione per la quale questa frase viene rifiutata e’ che Villaggio ha sempre fatto un cinema troppo “facile”, addirittura comico, ovvero troppo leggero per poter essere anche “profond

In generale questa affermazione non e’ vera, nella misura in cui un Charlie Chaplin puo’ fare un film come Tempi Moderni, che e’ e rimane un film comico. Un modo caricaturale di intendere la cultura ha eliminato la gioia (e quindi il divertimento) da qualsiasi cosa sia considerato colto, che deve avere comunque un suo momento di riflessione serio e bacchettone.(1)

In ogni caso, Villaggio e’ stato uno dei pochi autori italiani capaci di intuire il malessere di modelli estranei ad una societa’  ancora segnata dalla visione contadina e provinciale del mondo; da quello della grande impresa keynesiana a quello di una classe dirigente che sentiva il dovere di “elevare” le classi considerate inferiori.

Il momento piu’ rivoluzionario dell’opera di Villaggio e’ quello di far gridare a Fantozzi “la corazzata Потёмкин e’ una cagata pazzesca”. Si e’ trattato con ogni probabilita’ di uno dei momenti piu’ significativi del cinema di quel periodo: l’intera societa’ italiana era in preda ad un colossale paradosso di Abilene, per il quale tutti si univano ad una coda di persone, la dimensione della quale  coda era motivo per accodarsi.

Il paradosso di Abilene e’ un paradosso concepito per mettere contro il concetto di “gioco cooperativo” e quello di “informazione incompleta”, e consiste nell’immaginare una famiglia ove:

  1. Tutti sono convinti che gli altri vogliano vedere Abilene.
  2. Nessuno vuole vedere Abilene.

Quello che succedera’ e’ che  , allo scopo di fare un gioco il piu’ cooperativo possibile, il singolo che disapprova la scelta mentira’, acconsentendo ad andare ad Abilene nella gita domenicale, dicendo che gli va bene la scelta, pur di non contraddire gli altri.(2)

Si tratta di un paradosso che descrive benissimo il conformismo che regnava in quegli anni: una societa’ che veniva da un passato agricolo, quella italiana, improvvisamente si urbanizza e cerca di adottare quelli che crede essere i modelli delle classi superiori. Il risultato sono due tipi di “cafonal”, cioe’ da un lato il cafonal di destra che si sforza di imitare i ricchi per l’ostentazione di ricchezza e potere, dall’altro il cafonal di sinistra che si sforza di imitare i ricchi per l’altro attributo delle classi superiori, la cultura.

La societa’ italiana e’ uscita dagli anni ‘70 mediante l’adozione di questi due tipi opposti di cafonal. Se il cafonal di destra e’ diventato dominante solo dopo, per via di una maggiore penetrazione di format televisivi di produzione anglosassone (il grande fratello &co) , il cafonal di sinistra, cioe’ la pseudocultura per uso di ostentazione , era dominante ai tempi di Villaggio.

Poiche’ le classi “alte” erano ancora irraggiungibili per i piu’, quello che l’italiano medio vedeva era il proprio “megadirettore”, che era si’ di classe sociale “alta” perche’ aveva un ottimo reddito, ma veniva dalle stesse classi sociali dei propri dipendenti, solo che aveva avuto piu’ fortuna ed era riuscito ad emergere in fretta.

Cosi’, la pseudoclasse dirigente degli anni ‘70 si trova ad imitare le classi colte, essendo convinta di essere a sua volta una classe “alta”. La classe operaia ed impiegatizia mitizza questi personaggi, credendo di avere di fronte una vera classe “alta”, e il risultato e’ che il cerchio si chiude: i nuovi ricchi del boom degli anni ‘60 devono fingere di essere colti per darsi un tono, chi sta sotto li scambia per una vera classe “alta” e pensa che la loro finzione sia una vera cultura.

Ora, che cosa pensa l’ignorante della cultura? Pensa che sia quella cosa che si fa a scuola, e la identifica col professore. Cosi’, per forza di cose, per l’ignorante la cultura non puo’ che avere un fine esplicitamente e continuamente pedagogico: non e’ quella cosa che si fa a scuola?

Cosi’, tutta una societa’ si divide in due grandi classi: i finti signori che devono fingere di essere colti, e i finti emancipandi che devono fingere di evolversi.

Dall’altro lato, il dopoguerra vede un atlantismo sfegatato, che porta all’arrivo in Italia di una serie di modelli completamente estranei alla societa’ italiana, che pero’ venivano proposti dalla TV generalista come modelli di comportamento.

Cosi’, ad un certo punto il paese e’ in mano ad un gigantesco paradosso di Abilene: tutti pensano che tutti gli altri amino questa caricatura della cultura proposta dai Moretti , dai Fellini e dai Pasolini , e quindi dicono di amarla. E poiche’ tutti dicono di amare questa roba, questa roba non puo’ che essere fantastica. E se tutti pensano che gli altri la ritengano intelligente, allora diranno di trovarla intelligente. E se tutti pensano che gli altri capiscano il film, diranno di capirlo.

Il risultato e’ una massa di ignoranti che entra in una biblioteca e chiede “Devo farmi una cultura, mi dia il libro piu’ noioso che ha”.

Questo era la societa’ italiana dopo la “cura” del 1968 e del 1977: una massa di cafoni con un’idea grottesca e caricaturale della cultura, ove ognuno pensava di doversi accodare al fine pedagogico che attribuiva alla cultura stessa, dal momento che la identificava con la scuola. La scuola e’ pedagogica, la scuola e’ cultura, ergo la cultura e’ pedagogica.

Questo e’ il contesto che Villaggio rappresenta nel suo film. Una massa di impiegati, molti dei quali hanno ancora addosso i segni di un passato contadino, il passato (neanche tanto lontano nel tempo) di un’italia contadina, spesso parlano un dialetto, e si trovano con una classe dirigente in preda ad un intento pedagogico, intento che si supponeva  fosse dovere della classe colta avere.

In questo senso, il film di per se’ e’ del tutto irrilevante: avrebbe potuto essere uno qualsiasi dei film “pedagogici” del periodo, non cambia niente. Solo pochissimi, nel periodo , capivano effettivamente perche’ quel film andasse guardato. E quei pochi si guardavano bene dall’insegnarlo agli altri. (3)

Ma tutti, tutti, sostenevano di apprezzarlo, tutti lo andavano a vedere in replica, eccetera. Tutti lo facevano proprio in virtu’ di quella mentalita’ provinciale che obbliga il paese ad allinearsi come se fosse un magnete : il controllo sociale e’ cosi’ forte che se non sei con noi sei contro di noi.

Cosi’, la parabola della cultura di sinistra termina proprio nel momento nel quale , dentro questa processione uniforme di pecore, tutte allineate  a dire che capiscono quel film, qualcuno si tira fuori e dice quello che pensa.

Il problema non e’ che sia vero o meno. Perche’ la corazzata Потёмкин non e’ l’oggetto di quella frase. Il film in realta’ viene usato come nome a quella che potrei definire “la classe delle pose pseudointellettuali”. Villaggio non ha nulla, probabilmente, contro quel film: la frase si riferisce a tutta l’umanita’ che si e’ costruita attorno a queste pose.

Ed e’ qui il concetto: quello che Villaggio fa gridare a Fantozzi non e’ un’opinione contro un film, ma contro una precisa umanita’. Un’ umanita’ velleitaria spocchiosa, che ha un’idea di cultura che e’ incolta  e provinciale quanto coloro che vorrebbe “istruire”. E contro un’umanita’ che segue questa velleita’ come una massa di pecore, troppo stupide per capire dove vanno, ma abbastanza stupide per  decantare la loro meta.

Sia chiaro: l’italiano medio del periodo non aveva la cultura per capire un film del genere. Poteva piacergli, certo. Ma non poteva capirlo. E la pretesa che solo facendoglielo vedere nei cinema aziendali  si potesse ovviare ad una pessima scolarizzazione (in gran parte coatta) unita ad un ambiente familiare dialettale e provinciale , fa un pochino ridere. I figli di coloro che avevano bisogno di “Non e’ mai troppo tardi” in TV per imparare a leggere e scrivere pretendono di superare un gap  enorme, che altre nazioni hanno superato con 300 anni di mercantilismo ed industrializzazione, e relativa scolarizzazione.

Ovviamente questo tentativo non poteva che fallire: occorrono secoli di relativo benessere per creare una classe dirigente numericamente consistente e colta, ed occorrono secoli di benessere e di istruzione progressiva per creare una classe media altrettanto consistente ed altrettanto colta, e solo allora si potra’ iniziare coi ceti piu’ bassi.(5)

In italia si stava cercando di trasformare figli e nipoti di contadini , servi e piccoli bottegai in una classe colta, alla pari delle corrispondenti umanita’ che si trovavano nelle grandi citta’ europee. Ovviamente il tentativo falli’, e il risultato fu solo una pessima umanita’, prepotente e velleitaria, classista nella misura in cui riteneva di aver acquisito i segni distintivi delle classi superiori, proletarista nella misura in cui avvertiva con disagio la potenza delle proprie radici, prepotente nella misura in cui si sentiva “massa”, nella misura in cui pensava di essere “tutti”, meschina nella misura in cui ognuno di questi “tutti” pensava di essere un anticonformista idealista.

Tutto questo e’ “la corazzata Потёмкин”: un grido contro questa umanita’ prepotente e cafona, contro quello che oggi potremmo definire “il cafonal della sinistra”. Esso e’ rappresentato molto bene da una classe dirigente impiegatizia che si propone di “educare” in azienda i propri dipendenti, e da una classe operaia fatta da persone brutte, nelle quali si riconoscono ancora i segni fisici della discendenza contadina (6) , questi brachitipi che si sforzano di evolversi partecipando a rituali inutili che vorrebbero trasformarli in una classe media meno gutturale e meno post-contadina.

In questo paese post-contadino , in mezzo a questa umanita’ orribile e velleitaria (come dimenticare la “bellona” della situazione, una virago inacidita che rispecchia l’idea proletaria di donna “emancipata”, (7) ) , qualcuno ha il coraggio di dire la semplice verita’ : tutta questa messainscena e’ penosa e inutile.

Sarebbe meglio che questo autore non venisse sottovalutato: di fatto quel grido echeggia ancora nelle coscienze degli italiani, ed e’ il senso di fastidio che ancora si prova quando si vedono i soloni della cultura tuonare perche’ non abbiamo un documentario sulla vita degli lieviti ogni sera, anziche’ quegli “orribili” segni della decadenza dell’ occidente, che escono dai muri! Escono dai fottuti Muri! Moriremo TUTTI! sottintendono al “declino dell’occidente”, il quale non e’ altro che il declino di una certa idea di cultura.

Oggi, la classe che era mainstream ai tempi di villaggio non e’ altro che un patetico branco di carampane indignate  e sfigati che riscoprono la fede,  alcuni dei quali dispongono ancora di piccoli orticelli sufficienti ad attirare qualche giovane sprovveduto, per fondare qualche stupida televisione in tema spocchiomusicale fallimentare club di colti esteti del profondo. Questo residio di umanita’ orribile esteticamente ed umanamente ancora incrosta alcuni circoli con la sua velleita’ pedagogica, con la sua prepotenza gridata e, un’umanita’ che ancora si chiede “come sia stato possibile” un simile “riflusso”.

Beh, la risposta e’ molto semplice.

Ad un certo punto, qualcuno si e’ alzato, e da tutti i televisori del paese ha gridato: “la corazzata Потёмкин e’ una cagata pazzesca!”.

E con un solo grido, vi ha seppelliti tutti.

Tempo fa, quando facevo supercalcolo, mi trovai ad andare alla Normale di Pisa, ove il fratello di Paolo Villaggio  (credo gemello, vista la somiglianza) insegna(va?) . Un mio collega mi disse “non e’ come il fratello che fa i filmettini, quello e’ una testa”.

Sto ancora ridendo di quel collega. Perche’ uno di quei filmettini, da solo, e’ stato piu’ rivoluzionario di tutti i suoi farlocchi da salotto, ha cambiato la societa’ italiana piu’ di quanto non abbiano fatto tutti i centri sociali messi insieme, e ha trasformato in penose nullita’ dieci anni delle loro preziose “lotte”.

Con tutto il rispetto per l’ altro Villaggio che fa il matematico, si intende.

Uriel

(1) In questa stravagante e cafonissima visione (esiste anche il cafonal della sinistra, ed e’ questo pseudointellettualismo) , il momento di riflessione somiglia molto al contrito battersi il petto dell’ atto di dolore cattolico. Nel momento di riflessione, necessariamente doloroso e sgradevole, di fatto ci rendiamo conto di doverci accostare al lavoro dell’intellettuale capendo per prima cosa di non esserne degni. Poi, contriti e miserandi, dobbiamo percepire la dolorosa verita’, vera in quanto dolorosa e dolorosa in quanto vera, per la quale non dovremmo piu’ sorridere in vita nostra.

(2) Esiste un errore logico in questa esposizione: se la decisione e’ stata messa ai voti, e il singolo e’ convinto di essere in minoranza, di per se’ stesso il tentativo di praticare un gioco cooperativo non gli vieta di votare comunque, tanto rimarrebbe in minoranza. La cosa buffa di questo paradosso e’ che la sua stesura formale e’ sensata, la sua stesura euristica invece ha senso solo perche’ richiama fenomeni noti.

(3) No, neanche i mitici Agnelli facevano differenza. Erano arrivati a pagare per intero le tasse di ogni abitante del piccolo paesino piemontese da cui provenivano, quasi fosse un loro feudo nel quale decidevano loro la pressione fiscale, in barba al governo. Non credo abbiano MAI avuto intenti pedagogici.

(4) Per favore, smettete di chiamare “Lumiére” i cinema d’Essai. Non fa colto. Non fa un cazzo.

(5) Sempre che qualche coglione non inventi la “cultura pop” e trasformi la loro ignoranza in una forma di sapere socialmente accettato come “alto”.

(6) Il soma dei paesi sviluppati si modifica nel tempo, per via della dieta.

(7) Lara Cardella, nella sua visione altrettanto stupida e provinciale, ha ripreso questo stereotipo con la zia (udite! udite!) divorziata , che addirittura (coprite gli occhi alle figlie) lavora e guida la propria automobile!

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