Perche’ non credo nel microcredito.

I sostenitori di economie “alternative” mi scrivono abbastanza spesso chiedendomi che cosa io creda del famigerato microcredito. In tutta onesta’, ne penso molto male, e spero che non si diffonda su larga scala per via degli effetti che avrebbe sull’economia se esso impegnasse quantita’ serie di capitale.

Sul microcredito girano diverse leggende. Si dice che si tratti di prestare dei soldi per attivita’ “nobili” a persone che normalmente non avrebbero alcuna chance di averli dalle banche, e che grazie  a questi prestiti “equi” tantissime persone disperate sarebbero state capaci di soddisfare i bisogni della loro vita.

Le cose non stanno esattamente cosi’. La prima critica che si fa al microcredito e’ quella di usare il cosiddetto “flat rate” per calcolare il tasso di interesse. Ora, non voglio fare il pignolo, ma qui da noi il “flat rate” come calcolo del montante degli interessi e’ vietato, in quanto pratica usuraria.

Il motivo di questo divieto consiste nel fatto che e’ molto semplice annegare interessi altissimi in un tasso apparentemente basso, come spiega bene questo articolo. Sebbene il flat rate sia comodo per gli agricoltori e tutti coloro che vivono di una grossa entrata annuale, e sia di semplice amministrazione, vorrei far notare che n*(1 +1/x)^x non tende a n*x , come invece succede usando il flat rate, e lo vedete specialmente se x > e.

A quel punto viene risposto che l’altissimo interesse sia dovuto all’altissimo rischio che il prestito non venga restituito, e quindi in fondo i conti stiano quadrando. Il che potrebbe essere credibile, se non ci fossero alcuni “problemini”.

Innanzitutto, le banche ordinarie prestano soldi. Diciamo che li prestano ad un 5%. Adesso arrivo io che sono un “finanziere etico” e li ri-presto al 25%, come si fa nel mondo del microcredito. Solo che io li presto con un flat rate, mentre la banca mi calcola gli interessi con un sistema normale.

Quindi, c’e’ il primo problema: agendo in questo modo, si crea semplicemente un intermediario che chiede soldi alle banche con un tasso di mercato e li ripresta con un tasso ururario. La stragrande maggioranza di questi enti “etici” non fanno altro che fare questo: non agiscono con soldi personali del fondatore, ma li chiedono in prestito ad un tasso inferiore. (1)

Tutto questo e’ noto, e qualcuno se ne e’ gia’ accorto protestando. Di conseguenza, non e’ vero che la diffusione del microcredito di per se’ faccia concorrenza o porti al tramonto “il vecchio sistema bancario”. Anzi.

Secondo problema: come si colloca il microcredito nel mondo della finanza? Non ci vuole molto a capirlo: esso fa investimenti a rischio (anche se molto parcellizzati) richiedendo rese altissime. Siamo, cioe’, nel campo del venture capital bello e buono.

Si’, proprio come gli hedge fund. E questo per una ragione molto semplice: state facendo la stessa cosa che fanno gli hedge funds. Dove la fate, e perche’ funziona laddove si fa? Beh, semplice: se prendiamo un paese che ha un PIL in crescita’ del 10% annuo, se io distribuisco soldi ad un numero abbastanza alto di persone posso anche aspettarmi che sotto il 10% tutti siano capaci di restituire il prestito.

Ma voi direte: eh, certo, ma il’interesse e’ piu’ alto. Ovvio, perche’ tiene conto del sigma. Ma prestando soldi a molta gente in un paese che cresce del 10% annuo, per giustificare un 23% annuo di interesse di sigma ce ne vuole, eccome! Morale della storia: non si tratta di un’attivita’ di beneficenza, bensi’ di un’attivita’ estremamente redditizia. I requisiti che occorrono sono:

  1. Agire in un paese in via di sviluppo, con una certa crescita del PIL.
  2. Avere dei prestiti ad un tasso discreto (o anche normale) da una banca qualsiasi.
  3. Polverizzare l’attivita’ su una grande quantita’ di persone, parcellizzando il rischio.
  4. Usare il flat rate per avere un’amministrazione semplice e una resa alta.
  5. Usate il flat rate e i prestiti hanno durata breve, annegando interessi quasi del 40% sotto un apparente 15% nominale.
  6. Ha una struttura minimale.(2)

Ed il gioco e’ fatto.

Cosa succederebbe se una cosa simile si diffondesse?

Allora, innanzitutto manca il tasso di crescita medio perche’ si diffonda in paesi occidentali. Anche disponendo di una grande quantita’ di clienti, se applichiamo un tasso del 10% ad un popolo il cui PIL cresce mediamente del 3%, al crescere dei clienti il rischio diventera’ sempre piu’ grande. Lo stesso discorso dicasi di determinate aree del paese, o di determinate fascie sociali.

Ma il problema non e’ questo: il problema e’ insito in due fatti essenziali:

  1. Si tratta di intermediari tra banche “normali” ed utenti finali.
  2. Si tratta di interessi altissimi.

Ansiamo al punto 1.Cosa succede se qualcuna di queste entita’, per dire, fallisce? Succede che la banca arriva a chiedere la restituzione del prestato. Poiche’ il prestato e’ stato prestato, appunto, il risultato e’ che la banca che ha prestato la somma iniziale all’agenzia di “microcredito” si rivolge ai suoi clienti.

Di fatto nei paesi occidentali queste pratiche sono un modo che le banche avrebbero di aggirare le normative che vietano di fare venture capital prestando soldi ad interesse alto ai singoli cittadini: la banca non puo’ prestarti soldi al 25% annuo, e quindi se sei un cliente a rischio non ti presta soldi. Ma puo’ sempre aprire una finanziaria, prestargli dei soldi , farne una banca “etica” e praticare questo genere di microcredito.

Problema: perche’ tale pratica e’ vietata? E’ vietata perche’ il mergine di contribuzione delle aziende e’ molto basso, specialmente i primi anni di attivita’.E se le carichiamo del 25% di interessi , magari riescono a  pagare gli interessi. Ma se non hanno altissimi margini di contribuzione, lavoreranno praticamente per pagare interessi, arrivando al termine del prestito completamente prive di liquidi, e senza aver mai attuato investimenti.

Certo, in un paese in via di sviluppo un negozio puo’ crescere del 50% annuo e tenere un margine del 40%. Questa e’ la ragione per la quale alla vedova indiana viene prestato il denaro che puntualmente restituisce. Ma se lo facciamo in paesi con un tasso normale, o prestiamo denaro solo a dentisti e orefici oppure diffondendosi il fenomeno spoglieremo il paese.

E qui vorrei essere chiaro: un paese povero e’ sempre meglio di un paese indebitato. Perche’ un paese povero puo’ crescere, un paese indebitato NO. Se la scelta e’ tra avere cittadini poveri o cittadini indebitati, sul piano sistemico e macroeconomico e’ meglio averli poveri. I paesi ricchi iniziano il proprio declino esattamente nel momento in cui cresce l’indebitamento.(3)

In definitiva, al di fuori di paese in via di sviluppo, gli effetti sistemici del microcredito non sono tutta quella figata che sembra. Ed e’ per questo che si tratta di pratiche vietate.

Direte voi: ma tutto questo vale solo nel caso in cui abbiamo a che fare con uno che fa da intermediario tra banca e poveri, guadagnando sulla differenza di interesse. E cosa succede a chi non fa questo?

Succede che dovra’ finanziarsi: trattandosi di alto rischio, se il volume di affari crescesse di molto per farlo dovra’ emettere titoli di qalche tipo. Trattandosi di venture capital, cioe’ di un investimento ad alto rischio ed ad alta resa, saranno titoli derivati a breve scadenza con interessi altissimi. Stiamo cioe’ immettendo subprime nel sistema, e producendo credito di bassa qualita’.

In definitiva, non credo che il microcredito sia una possibile soluzione. Sia perche’ i “beneficiari” non sono dei reali beneficiari se non per il fatto di vivere in paesi che crescono molto, sia per il fatto che se praticato su vasta scala spalma il rischio delle banche sui loro debitori, mediante un meccanismo indiretto. Infine, perche’ su scala sistemica un povero e’ solo un potenziale ricco, mentre un indebitato e’ un morto che cammina.

Il rischio vero e’ che qualche agenzia di microcredito fallisca. In tal caso, le banche alzeranno loro i tassi di rischio e peggioreranno il rating. Una volta alzato il tasso cui la banca presta al microistituto, per starci dentro dovra’ aumentare a sua volta i tassi, che sono gia’ pazzeschi (guardate le tabelle del flat rate: un interesse del 12% col sistema del microcredito , per 12 mesi, equivale al 38% con interesse normale. E molti di questi enti dichiarano di non avere fine di lucro!), con il risultato di un loop pazzesco.

Lo stesso dicasi nel caso in cui il PIL rallenti; se il numero di clienti e’ alto anche il loro reddito rallenta allo stesso modo, in quel caso la forbice di cattivi pagatori e’ tale da divorare rapidamente il capitale della nostra agenzia di microcredito: che se fallisce consegna alla banca i propri debitori, coi quali la banca NON puo’ continuare il rapporto.

Come ho gia’ detto, si tratta di una forma di venture capital che alcuni possono praticare nei paesi in via di sviluppo usando strutture artigianali  e polverizzando molto le somme.

Onestamente, pero’, sul piano puramente finanziario Goldman Sachs e’ molto piu’ onesta. E ho detto tutto.

Uriel

(1) Contrariamente a quanto si crede, realizzare un ente che fa microprestito non e’ cosi’ complesso. Si abbiano molte case da offrire in garanzia, sara’ allora possibile chiedere un prestito ad un tasso X, concesso a chi e’ molto abbiente in senso immobiliare. Dopodiche’, si vada a cercare gente che non trova credito e gli si offra il credito ad un tasso Y, molto maggiore. Il principio e’ banale, e parcellizzando molto si riduce anche il rischio in termini ragionevoli. Peccato sia considerato usura, ma questo e’ un discorso diverso.

(2) La ragione e’ semplice. Se io chiedo soldi al 5% e poi li presto al 15%, ho un margine di contribuzione medio appena decente. Se ci faccio sopra un’azienda “pesante”, mi restano solo le briciole.

(3) I debiti hanno spessissimo  immobili come garanzie. Gli immobili iniziano a crescere di valore, e attirano sempre piu’ investimenti. Aumentando di valore, le famiglie iniziano a svenarsi per le case, i cui prezzi crescono maggiorando il tasso di interesse dei prestiti cui gli immobili sono garanzia. Poiche’ le case sono un bene essenziale, questo piano piano erode il reddito delle famiglie. Nel 1980 un affitto era il 20% di UNO stipendio. Oggi e’ il 100%, o piu’.

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