Per una politica in tempo reale.

Finalmente Obama ha pubblicato quello che in Italia veniva chiamato “bilancio preventivo” , cioe’ una stima (per eccesso) degli investimenti che verranno messi in atto allo scopo di “rialzare” l’economia americana. Il piano, in astratto, “potrebbe” funzionare, a patto che arrivi in tempo. E qui vengo subito al dunque: in termini di contenuto, le reazioni alla crisi non sono state “sbagliate”. Sono “solo” state immensamente lente rispetto ad una finanza che lavora quasi in tempo reale.

Mi capito’ anni fa di parlare con un ex collega finito a Londra, a fare l’architetto in un grosso gruppo finanziario. Mi spiegava che lo SLA massimo era di 30 secondi di failure: poiche’ fornivano informazioni in tempo reale a riguardo di operazioni altrettanto veloci, un denial di durata superiore veniva sanzionato con pesantissime multe.

Questo e’ rilevante per una ragione specifica.

Prendiamo i numeri del provvedimento di Obama: quasi un triliardo di dollari. Anche calcolando la pressione fiscale, parliamo di un reddito annuo di 50 mila dollari (un reddito minimo) per 16 milioni di persone. Anche se ovviamente viene erogato per ripianare debiti (quindi evitera’ altri licenziamenti ma non causera’ assunzioni) dal punto di vista del governo si tratta di un provvedimento proporzionato.

La speranza e’ che tenendo invita o resuscitando la vecchia finanza, si possa dare un “kickstart” ad un nuovo periodo di vacche grasse. In tutta onesta’, visto che le condizioni di contorno sono molto diverse da prima, e’ difficile pensare che ci sia proporzionalita’ diretta. Si sarebbe potuto discutere di questo piano se fosse stato un piano piu’ strutturale:  personalmente credo che produrra’ piu’ posti di lavoro la riforma della sanita’ , che pure assorbira’ solo la meta’ scarsa della cifra “contro la crisi”.

Cinquecento miliardi di dollari , tutti in farmaceutico e sanita’, sono una cifra enorme: con ogni probabilita’ alimenteranno ancora di piu’ la ricerca medica americana, con tutti gli effetti collaterali sulla ricerca biologica in generale. Non lo dico per fare apologia, dico solo che e’ piu’ probabile che gli USA si rialzino convertendo la sanita’ che non convertendo l’automobile. Di certo non lo faranno riempiendo di soldi dei buchi enormi: questo potrebbe frenare il meltdown.

Dico “potrebbe” perche’ arriva in ritardo di sei mesi. I debiti dei quali parliamo hanno gia’ presentato i conti a tutti i fondi e i “contenitori” correlati, ed occorreranno altri sei mesi perche’ (ipoteticamente) si possa invertire la tendenza: su 14 triliardi di perdite complessive, il triliardo e rotti stanziati sono solo un 10%. Anche ammettendo che a questo 10% ammontino le perdite contabilizzate , e tutto il resto sia un side effect, bloccare le cause di un fenomeno sei mesi dopo non serve ad un granche’. Spesso, il fiammifero che ha iniziato un incendio e’ il primo a bruciare: spegnerlo quando l’incendio e’ globale non serve a molto.

Sebbene si stia gridando contro il protezionismo, ormai il fenomeno e’ in atto: gli asset all’estero, per via di problemi di trasparenza, sono gia’ stati svalutati in tutte le nazioni, considerati meno sicuri degli asset in patria. Risultato: la sofferenza arriva da Intesa e Unicredit, che hanno investimenti lontani, e colpisce meno Montepaschi.(1)

Il fatto che ogni nazione stabilisca criteri diversi, obiettivi diversi e modalita’ diverse per gli aiuti, costringendo le aziende a dei compromessi (in Francia, l’auto viene aiutata con l’accordo esplicito che non ci saranno licenziamenti )  non fara’ altro che trasformare in un mercato privilegiato ognuno dei mercati di casa: per le aziende sotto l’ombrello del governo francese sara’ piu’ conveniente dare visibilita’ alle attivita’ in patria, eccetera, non fosse altro che per soddisfare i politici.

Voglio dire che se Sarkosy stanzia soldi per salvare una grossa banca, e a costo di polemiche manda a dirigerla un membro del suo gabinetto, si aspetta un ritorno di interesse politico. A Sarkosy gli elettori spagnoli non interessano affatto: venire aiutati dal governo significa che il governo fa un’azione necessariamente politica, ed essendo politica e’ rivolta alla popolazione che osserva e vota.

Inevitabilmente, quindi, sul lungo e medio termine gli aiuti governativi SONO un protezionismo o risultano in un protezionismo. SONO un protezionismo nella misura in cui evitare disoccupazione pagando le aziende per non licenziare tiene vivo un mercato di consumi, ma solo localmente. Diventano un protezionismo nella misura in cui il governo fara’ pressioni (anche come azionista) perche’ le aziende agiscano in modo da mostrare l’efficacia dell’azione governativa in patria , producendo un tornaconto politico.

Il motivo per il quale elenco tutte queste cose risaputissime e’ che voglio rendere evidente quanto sia cambiato il mondo mentre il governo USA decideva il presidente, decideva la strategia, stanziava i fondi, e ancora c’e’ da decidere l’assegnazione reale.

Quando i fondi USA arriveranno, troveranno un mondo lontanissimo da quello ove e’ iniziata la crisi, e la distanza ormai compiuta sara’ irreversibile nella stragrande maggioranza dei casi.

Questo rende davvero opinabile il fatto che sia davvero necessario dare quei soldi a chi ormai e’ morto: comunque, si tratta di enti che avevano la maggior parte del business in un settore che e’ sfumato, che non hanno ancora sviluppato strutture e know how per lavorare in campi diversi, e non stanno pianificando di acquisire aziende che abbiano queste cose.(2)

Invece di innaffiare fiori morti, sarebbe meglio seminarne dei nuovi: a parte gli interventi nella sanita’, non si vede nulla di realmente strutturale nel piano del governo USA, e l’aumento delle spese militari non e’ significativo perche’ Obama ha prolungato sino al 2010 la missione in Iraq: tenendo conto del fatto che un handover sia costoso, e accelerare un handover sia ancora piu’ costoso, probabilmente quei fondi verranno assorbiti per addestrare altre inutili forze irachene, o per far entrare l’ Albania nella NATO.

Ma tant’e’: nei sei mesi che sono passati tra l’inizio della crisi e le risposte politiche (USA o UE o cinesi) il mondo e’ cambiato, gli equilibri sono cambiati, i flussi finanziari sono cambiati cosi’ tanto che probabilmente nessuno degli obiettivi sara’ centrato.

E qui viene il problema: che senso ha ipotizzare l’intervento dello stato, venerare i governi che salvano le banche , se la finanza muove effetti immateriali (dunque, semplici informazioni) in tempo reale, mentre i tempi della  politica sono cosi’ lunghi?

Rendiamoci conto che un tempo di sei mesi e’ considerato “medio termine” in moltissime istituzioni finanziarie, nel venture capital sei mesi sono “lungo termine” o quasi. Se consideriamo che i titoli tossici hanno prodotto nuove stime, nuovi forecast e nuovi dividendi (o perdite) nell’arco di pochi secondi, si puo’ capire che oggi l’economia e la finanza siano in una differente era geologica rispetto al governo. Il governo si sforza di combattere una crisi che si e’ consumata in pochi secondi: si tratta di un pompiere che non distingue l’incendio dai resti dell’incendio, arriva dopo che l’incendio ha divorato un bosco e spruzza acqua sulle ceneri.

La cosa che non si capisce e’ che non stiamo piu’ vivendo una crisi, ma le sue conseguenze a catena. Poiche’ la crisi e’ finita circa cinque mesi fa, non c’e’ alcun modo di fermarla: adesso bisogna fare i conti coi suoi costi, che sono i costi che ci impattano.

Il problema e’: come e’ possibile tenere i costi di questa crisi fuori dalla porta? La risposta e’ che occorre un qualche tipo di protezione su qualche confine, cioe’ un qualche tipo di protezionismo. I membri UE potranno trovare qualche conforto pensando che i confini protetti dalla famosa “commissione di controllo dei due” proposta questa settimana per sorvegliare la finanza europea non siano i propri, ma quelli della UE.

Ma in definitiva, ogni macroarea del mondo si proteggera’ contro gli effetti di una crisi ormai finita, i cui effetti dureranno anni. Il protezionismo e’ inevitabile, adesso il problema e’ capire QUALE protezionismo.

Ma questo non toglie che abbiamo un problema, e grosso: la finanza lavora in tempo reale, i governi lavorano in tempi medioevali. O si trova il modo di far lavorare velocemente i governi (o le loro istituzioni che trattano finanza) , oppure arriveranno inevitabilmente in ritardo.

Come e’ successo ad Obama, che sta innaffiando di dollari le ceneri di un incendio finanziario,sperando di spegnere qualcosa che non brucia piu’, perche’ quello che vediamo non e’ piu’ il disastro, ma il suo conto.

E pagare questo conto NON riportera’ indietro le lancette dell’orologio: la disoccupazone USA non calera’ perche’ si ripianano debiti, e sta mettendo in crisi sia le carte di credito che i fondi pensione. I dati sull’immobiliare del mese scorso sono ancora peggiori di quelli di dicembre 2008 , e presto il valore delle case non sara’ sufficiente a garantire neanche le carte di credito di chi un lavoro fisso ce l’ha, ne’  i mutui “buoni”. (3)

Queste sono le conseguenze della lentezza, ma sembra che i politici (Obama compreso) non si rendano conto di quanto sono lenti.

Uriel Fanelli, 27 febbraio 2009

(1) Non ho un’ossesione verso Montepaschi, e’ solo il caso limite di provincialita’ di un gruppo bancario: se si vuole vedere quanto convenga la provincialita’, si guardi l’andamento di MPS, se si vuole valutare quanto convenga internazionalizzarsi, un buon parametro sono Intesa e Unicredit (anche se quest’ultima va “decontestualizzata” un minimo dai problemi interni e dalle scelte pre-crisi di Profumo).

(2) Se il governo USA fornisse fondi ad un’azienda che poi ci fa un’ OPA ostile, sarebbe un bel vespaio.

(3) Curioso come stiano saltando banche ma poche Real Estate. Anzi, curioso per nulla: le RE erano il braccio della speculazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *