Pensiero fragile.

Dopo il post “teoria dello stato” ho avuto diversi commenti sdegnati da parte di giuristi ed altri umanisti, commenti che riguardano la terminologia usata. Sulle prime ho semplicemente pensato “bullshit”, e li ho rimossi, dal momento che una volta definito qualcosa e’ matematico che il simbolo usato sia irrilevante. Altrimenti crediamo nella magia, dal momento che pensiamo che una parola sia migliore di un’altra per via di come appare. Quello magico e’ un pensiero interessante, ma non e’ molto utile per arrivare a conclusioni : puo’ essere utile quando si vogliono trovare punti di vista simbolici, ma non oltre.

 

Ora, andiamo al fatto. A quanto sembra, ho usato la parola “stato” dove qualcuno usa la parola “governo”, e viceversa. Di per se come obiezione mi fa ridere, perche’ ho dato una definizione all’inizio: lo stato e’ la fazione militarmente piu’ forte su un dato territorio. Se diciamo che due fazioni su un territorio, A e B, sono una piu’ forte dell’altra, abbiamo una relazione di stretto ordinamento. A > B . Cosi’, con un insieme ordinato di fazioni, ho semplicemente detto che lo stato e’ il massimo dell’insieme delle fazioni su un territorio, strettamente ordinate per forza militare.

 

Detto questo, il simbolo e’ irrilevante:

 

  • Lo stato e’  il massimo dell’insieme delle fazioni su un territorio, strettamente ordinate per forza militare.
  • Il  governo e’  il massimo dell’insieme delle fazioni su un territorio, strettamente ordinate per forza militare.
  • Il SGNAUS  e’  il massimo dell’insieme delle fazioni su un territorio, strettamente ordinate per forza militare.
In questo caso, stato, governo e SGNAUS sono tre cose esattamente identiche, dal momento che ho definito un simbolo nel medesimo modo. E una volta data la definizione, quale simbolo usare e’ del tutto irrilevante.  Nel mondo della matematica, ci si aspetta che i risultati siano i medesimi a prescindere dal simbolo, a patto che la definizione sia la stessa.

 

Al contrario, sembra che gli umanisti credano nella magia come logica deduttiva (mentre e’ un mero formalismo descrittivo)(1) , per cui ANCHE a parita’ di definizione, o in presenza di una definizione, un simbolo dara’ risultati diversi da un altro. Cosi’, se la stessa cosa la chiamo “stato” anziche’ “governo”, pur avendo una definizione , l’umanista pensera’ che si otterranno risultati diversi. (ammesso che gli umanisti giungano mai ad un risultato).

 

Quindi, ho semplicemente ignorato l’obiezione, finche’ non e’ divenuta troppo comune. Cosi’ mi sono chiesto: come mai cosi’ tanta gente pensa che , a parita’ di definizione, un simbolo diverso cambi la sostanza delle cose?

 

Sulle prime ho accusato il sistema scolastico. Troppo spesso i professori vogliono sentire -esattamente quelle parole che usano loro- , e se lo studente propone una versione equivalente non la accettano. Questo finisce con il convincere lo studente che i termini contino piu’ delle definizioni.(2)

 

Un altro motivo sta nel fatto che il docente medio e’ incompetente nelle materie che insegna. Incapace di giudicare la sostanza, il docente non fa altro che dare i voti badando ad insignificanti questioni formali. Se pensate al “compito in classe”, per dire, si tratta di un processo nel quale il docente si limita a correggere errori di forma.

 

Il risultato di questa educazione e’ semplicemente che l’umanista si concentra su questioni irrilevanti anziche’ guardare alle questioni trattate. Per esempio, ho fatto un post che si chiama “TEORIA dello stato”, per poi parlare della PRASSI dello stato.

 

Ora, si tratta di una differenza sostanziale ed ENORME, ma nessuno dei fini umanisti che hanno notato l’uso di “stato” anziche’ di “governo” si e’ accorto che “teoria” si riferiva invece ad una prassi. Questo perche’, ancora “teoria dello stato” e’ formalmente corretto: poiche’ l’umanista NON si preoccupa mai della sostanza delle cose, il risultato e’ che non si accorge se una teoria in realta’ e’ una prassi. Il titolo e’ OK, cosa importa se poi il contenuto dice esattamente il contrario?

 

Dopo aver descritto il punto, sarebbe opportuno capirne le implicazioni. Voglio dire, un simile pensiero ha futuro? E ha qualche utilita’ un pensiero che si ferma ai formalismi?

 

Per esempio, un simile pensiero resiste alla traduzione? Siamo in un mondo “globalizzato” e un pensiero deve resistere a molte tradizioni. Altrimenti si finisce con le assurde discussioni sul termine niciano “superuomo”, che non essendo mai stato propriamente definito resiste malissimo alle traduzioni.

 

In realta’, la traduzione e’ un lavoro impossibile. Prendiamo per esempio la parola “donna”. Se io definisco “donna” come “femmina matura della specie homo sapiens”, probabilmente riusciro’ ad identificare una donna in ogni parte del mondo. Ma se non la definiamo, e ci limitiamo a tradurre il termine, il risultato sara’ una lettura diversa per luogo. Anche se traducessi la parola “donna” in arabo e in norvegese, e sebbene si tratti sempre di femmine di homo sapiens, un lettore saudita ed un lettore norvegese leggerebbero cose diverse.

 

Per definire meglio la cosa, dovrei dire “femmina matura della specie homo sapiens di pari dignita’ con il maschio”, il che convincerebbe il norvegese e indicherebbe l’insieme vuoto per il saudita. Morale della storia? Tradurre la parola NON BASTA, per conservare il significato occorre la definizione formale, esatta e completa.

 

Ora , immaginiamo di avere gente che pratica la distinzione tra “stato” e “governo” e si sforzi di parlare con un americano. Non appena pronunciera’ la parola “government” si trovera’ in difficolta’ , per via del significato che gli americani danno al termine.

 

Cosi’, innanzitutto un pensiero che si basa sui formalismi descrittivi NON e’ attuale per la semplice ragione che non sopravvive alla traduzione in lingue diverse, se non aggiungendo tutta una serie di artifizi che compensino una trattazione descrittiva dei simboli.

 

Il secondo motivo per il quale questo pensiero non e’ adatto al mondo moderno sta nel fatto che esso ignora completamente i contenuti. Ho scritto un titolo “teoria dello stato” per poi descriverne la prassi. Un lettore attento al problema avrebbe notato l’uso improprio della parola “teoria”, piuttosto che l’uso di un termine “stato” peraltro definito completamente all’inizio.

 

Cosi’ , poiche’ il mondo moderno e’ un mondo principalmente economico, ovvero basato su quantita’ e qualita’, e’ assai difficile che un pensiero basato sulla mera descrizione possa avere futuro. Poiche’ lo scopo del pensiero moderno e’ di identificare attori materiali o beni , quantificarli e misurarne le qualita’, un pensiero che si basi su questioni descrittive e’ completamente inutile.

 

In passato si e’ parlato molto della differenza tra pensiero ‘debole” e pensiero “forte”, ma la mia domanda e’ se qualcuno si sia mai preoccupato di verificare la robustezza del pensiero.

 

Voglio dire: un pensiero che sopravvive con difficolta’ ad una traduzione e’ robusto o fragile? Un tempo sarebbe stato robusto, ma oggi un pensiero deve trovare applicazioni in tutto il mondo. In che modo un pensiero che sopravvive a fatica a cose come “government” o alle possibili accezioni -per il tedesco- tra “reich” (che indica la nazione come -terra di un popolo-, per esempio Frankreich=Francia) , “regierung”  che indica il governARE, “Staatsoberhaupt” , (a seconda che si indichi la funzione o meno)  ed altri.

 

E ancora: un pensiero che non sopravvive alla valutazione sostanziale e’ fragile o robusto? Un tempo sarebbe stato robusto perche’ le arti liberali godevano di grande rispetto, ma oggi quando si chiede una teoria ci si aspetta una teoria, e quando si chiede una prassi ci si aspetta una prassi. Proporre una teoria e fornire una prassi e’ considerato un raggiro, una truffa, o se escludiamo il dolo, e’ considerato perlomeno un errore di processo.

 

Eppure, chi si e’ accorto che ‘stato” doveva essere “governo” perche’ un sottogruppo di accademici lo considera tale, non si e’ accorto che “teoria” doveva essere semmai “prassi”. E’ come se parlando di un uragano la cosa piu’ importante fosse “inizia con la U”, anziche’ “e’ pericoloso”, “e’ dannoso”, eccetera.

 

In definitiva, quindi, i commenti “dotti” riguardo allo scorso post non fanno altro che convincermi di una cosa: prima si spazza via quel culturame, meglio e’. Non servono, non -possono- servire a nulla, e specialmente, non hanno futuro. E quindi, nessuna azione e’ richiesta: il culturame scomparira’ da solo.

 

Basta ignorarlo.

 

Uriel

 

(1) Un formalismo descrittivo NON puo’ essere usato per fare deduzioni. Se io lancio una lampadina ed un gatto nero dalla finestra, e dico che la lampadina rappresenta la luce mentre il gatto nero rappresenta la sfiga, quando arrivano al suolo insieme NON posso dedurne che la sfiga viaggi alla velocita’ della luce. Poiche’ “il gatto nero rappresenta la sfiga” non e’ una definizione, e “la lampadina rappresenta la luce” non lo e’ a sua volta, posso solo dedurre che i due gravi cadano nello stesso tempo. (non “alla stessa velocita’ “:  e’ una cosa che dovrei misurare istante per istante, BTW, a meno che non mi riferisca alla velocita’ MEDIA). Questo e’ dovuto al fatto che invece “la lampadina e’ un grave” e “il gatto nero e’ un grave” possono essere usati come definizione.

 

(2) All’universita’ ebbi uno sgradevole incidente con il Prof Mancini. Ebbi la malaugurata idea di studiare piu’ il libro che non i suoi appunti -dopotutto la matematica DEVE quagliare- e se lo scritto mi ando’ bene, all’orale usai dei simboli che avevo studiato sul libro. Mancini mi chiese dove avessi letto quella dimostrazione, e io gli risposi “Sul Matarasso”. (e’ un libro di analisi). Non sapevo che Matarasso fosse un suo collega, e che tra i due non doveva (credo) passare buon sangue. Mancini mi gelo’ con uno sguardo dicendomi “ah, Matarasso dice cosi’?”. Credo mi sia costato qualche punto all’esame. Mai sottovalutare il fatto che chi scrive un libro possa essere collega E RIVALE del vostro prof.

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