Organismi Geneticamente Minchioni.

Quando parlo di OGM mostro un atteggiamento che, rispetto alla media, viene continuamente frainteso. Quello che non viene capito e´ che il mio atteggiamento deriva dalla stupidita’ con la quale si definisce un OGM. La definizione di OGM, infatti, e’ cosi’ contraddittoria e stupida che qualsiasi discorso fatto sugli OGM non puo’ avere alcun significato logico.

Ogni discorso mainstream sugli OGM (chi e`contro e chi e’ a favore) , infatti, si basa su due differenti paradigmi.

  • La valutazione sugli impatti biologici  dell’ OGM vengono fatte basandosi sul concetto di geneticamente modificato, ovvero sulla constatazione materiale che il genoma dell’organismo sia distante da quello che dovrebbe essere in natura. Tale idea si basa quindi su una distanza presunta tra lo stato “naturale” del genoma e quello “artificiale”. In linea di principio questa distinzione e’ accettabile, poiche’ moltissimi algoritmi usati in genomica ,  da BLAST fino a PCR e PCA, sono basati su pseudometriche atte a misurare la distanza tra pattern. Di conseguenza, chi parla di OGM sembra riferirsi (anche euristicamente) ad una di queste tecniche effettivamente in uso.
  • La definizione corrente di OGM, pero’ non tiene conto di tale metrica. Per OGM infatti non si intende un organismo che sia molto distante dalla sua versione “spontanea”, ma un organismo la cui differenza sia stata ottenuta con alcuni metodi considerati “artificiali”. Il problema sta nel fatto che non c’e’ alcun motivo per il quale una modifica fatta usando questi metodi debba essere diversa da modifiche fatte con altri metodi, come gli incroci.

negli ultimi 15.000 anni, le razze animali sono state modificate moltissimo dalla loro antropizzazione. La selezione operata dalla specie umana ha permesso di passare dai primi canidi al chihuahua, che in natura non esisteva. Cosi’ oggi abbiamo mucche che producono latte tutto l’anno (cosa del tutto innaturale, dal momento che la lattazione serve solo quando nascono cuccioli) e peraltro un latte che ha poco a che vedere con il latte che la mucca produce (1) dopo il parto.

Adesso torniamo al concetto di OGM: se definiamo l’ OGM come un animale che e’ lontano dalla sua naturale genetica, e misuriamo la differenza tra un canide “primigenio” e un dobermann, allora i dobermann  e’ un OGM. Anzi: pochissime tecniche per la modifica genetica diretta sono capaci di ottenere una differenza cosi’ enorme, e specialmente nessuna delle tecniche conosciute e’ capace di progettarla.

La stragrande maggioranza delle tecniche per la produzione di OGM produce differenze che sono di gran lunga inferiori rispetto alle differenze ottenute, nel corso dei secoli, dall’antropizzazione delle specie animali. Non e’ mai esistito in natura nulla come un cavallo da tiro, come un cocker spaniel, come un pollo ruspante della nonna, come una mucca da latte.

Di conseguenza, sebbene io concordi con la valutazione di rischio riguardante la modifica del genoma, non riesco a comprendere per quale motivo dovremmo essere scettici verso un mais modificato geneticamente con tecniche moderne, e dimenticare che lo stesso mais “naturale” o “biologico” e’ una specie selezionata e incrociata, che non ha mai avuto alcuna possibilita’ di esistere in natura.

Ma non solo: la sua distanza dall’originale e’ molto  alta , di gran lunga superiore rispetto ai singoli passettini compiuti dall’industria del cosiddetto “ogm”.

Di conseguenza, trovo che la definizione di OGM sia incoerente e contraddittoria: se essa avviene a posteriori, ovvero se si riferisce alla effettiva differenza genetica, allora gli OGM contro cui se la prendono gli ecologisti sono MENO modificati rispetto alla stragrande maggioranza degli incroci “impossibili” che abbiamo mangiato serenamente negli ultimi secoli.

L’obiezione piu’ comune a questo ragionamento e’ che le modifiche “naturali” del genoma sarebbero state ottenute usando un meccanismo “naturale”, come la selezione, e quindi le nuove specie ottenute sarebbero ancora all’interno dell’ordine “naturale” delle cose: abbiamo agito, secondo i sostenitori di questa tesi, all’interno di limiti comunque dettati dalla natura.

Anche questo, pero’, e’ palesemente falso. le tecniche moderne per l’incrocio di specie sono state basate tu forzature evidenti dei meccanismi naturali, che vanno dalla inibizione di proteine di specie , alla depressione immunitaria della madre ospite, e negli organismi vegetali (che hanno una sessualita’ veramente divertente) si sono forzati i meccanismi di riconoscimento della specie in ogni modo possibile.

Se provate a far accoppiare un dobermann con una chihuahua, con ogni probabilita’ arriverete alla gravidanza. Il guaio e’ che i cuccioli saranno troppo grandi per la gestazione, e un aborto (piu’ o meno devastante per la madre) terminera’ il vostro esperimento. E’ chiaro che se, come si fece per ottenere un pelo piu’ bello per il chihuahua, voi iniziate l’esperimento, fate avvenire la fecondazione in vitro e poi trapiantate il tutto dentro una dobermann, cosi’ da mantenere il codice mitocondriale del chihuahua che si trasmette per via materna, avete aggirato le vie naturali.

Ovviamente, una volta fatto questo, vedrete una femmina di dobermann incinta. Il problema e’ che in natura un incrocio tra dobermann e chichuaua e’ possibile solo se il padre e’ un chichuahua e la femmina e’ un dobermann: se accettano di accoppiarsi, la femmina di Dobermann puo’ portare alla gravidanza i cuccioli. Ma il dna mitocondriale sara’ quello della dobermann.

Se vogliamo un incrocio tra chichuaha e dobermann che mantenga il dna mitocondriale del chichuaua, la natura ci dice che non si puo: poiche’ il dna mitocondriale viene solo dalla madre, e la madre non puo’ ospitare cuccioli cosi’ grandi, la natura dice “niet”. Ma con la fecondazione in vitro possiamo unire lo sperma di dobermann con l’ovulo di chichuahua e ottenere un mostro genetico, cioe’ un essere che ha il dna nucleare di un accoppiamento tra dobermann e chichuahua, ma il dna mitocondriale del chichuahua. In natura, ammesso che si vogliano considerare “naturali” il chihuahua e il dobermann, non sarebbe stato possibile in alcun modo.

Tuttavia, non essendoci intervento diretto sul DNA nucleare, non si parlerebbe di OGM  ma solo di fecondazione artificiale.  Eppure, il mostro ottenuto non avrebbe nulla in comune con quanto possibile in natura.

Questo e’ un esempio per dire che sia stato possibile, in passato, ottenere dei mostri genetici letteralmente impossibili da ottenere in natura usando sistemi che non implicano l’intervento diretto sul genoma. Eppure nessuno li chiama OGM. Finche’ lo facciamo usando cani ed animali da carne, possiamo supporre di avere la situazione “sotto controllo”, nella misura in cui il nostro mostro non fugga e non inizi a riprodursi.

Ma quando si parla di piante, la varieta’ insita nella sessualita’ vegetale permette cose incredibili. Che sono state fatte usando i “tradizionali” strumenti della selezione e degli incroci. Cosi’, quello che si faceva era osservare che le  la robinia pseudoacacia, un albero che arriva sino a 30 metri di altezza, sia della stessa famiglia del fagiolo. Riuscire ad “importare” una caratteristica dell’acacia poteva consistere semplicemente nel passare di coppia in coppia tra leguminose “vicine” , fino a portare la caratteristica dovuta dall’albero alla piantina di fagiolo.

Il risultato era che “abbiamo portato un albero dentro il fagiolo”: impressionante. Ma la distanza iniziale tra robinia pseudoacacia e fagiolo e’ molto breve, piu’ di quanto si possa intuire osservandoli. Cosi’ , dire che abbiamo impiantato un gene del salmone in una mucca per fargli produrre omega3 puo’ essere impressionante, ma affermare con certezza che sarebbe stato impossibile altrimenti e’ difficile : tra tutti i bovini ce ne sara’ uno capace di produrre leggermente piu’ proteine di quel tipo rispetto agli altri.

Con un processo molto piu’ lungo , cercando un bovino che produca qualche omega tre in piu’   piano piano si potevano ottenere cellule capaci di fare lo stesso.

A quel punto la distinzione sarebbe venuta mediante il metodo, cioe’ intervento diretto o meno sul genoma: ma non e’ il metodo a rendere pericoloso l’organismo. E’ la sua qualita’ materiale.

Solo che investigando sulle sue qualita’ materiali otteniamo modifiche ben piu’ pregnanti ottenute senza OGM: il pollo “mostro” che produce 600 grammi di carne di petto con 1.3 kg di mangime NON e’ un ogm, per dire. E’ ottenuto per selezione. Eppure, potenzialmente, il suo tasso di crescita fa pensare ad una catastrofe nel caso dovesse venire liberato in natura: se riesce a diventare adulto con meno cibo, con ogni probabilita’ surclassera’ ogni altro pollo naturale in brevissimo tempo. Ma non e’ un ogm.

Cosi’, in definitiva, io non contesto la necessita’ di valutare gli effetti delle modifiche genetiche: quello che contesto e`uno spartiacque “culturale” tra OGM e non OGM: la massaia indiana che da generazioni seleziona sapientemente le sementi di riso con ogni probabilita’ ha ottenuto, senza saperlo, un genoma piu’ mutato di quanto la Monsanto possa fare, ed il vero OGM in giro per l´ India e’ proprio quel mostro li’.

Solo che immaginare la massaia indiana ci da’ una sensazione rassicurante, in fondo e’ pur sempre una placida mamma, mentre immaginare i tecnici in camice bianco della Monsanto con le mascherine e le provette ci da’ un senso di innaturale.

Non la penso cosi’: la mamma indiana in realta’ non sa che cosa stia facendo, e i criteri che usa per selezionare le sementi non sono minimamente scientifici. La possibilita’ che ha lei di partorire un ibrido micidiale per l’ambiente sono superiori a quelle della Monsanto, che perlomeno sa esattamente quale gene stia aggiungendo: e no, non mi sento rassicurato sapendo che l’ignoranza della casalinga indiana sia un’ignoranza antica, frutto di millenni di altra ignoranza ben coltivata, in generale non mi sento tutelato dall’ignoranza dell’operatore neanche quando essa e’ una tradizione.

In definitiva, nessuna delle definizioni di OGM e’ coerente: se si intendesse semplicemente che c’e’ molta distanza tra la specie primitiva e quella  ottenuta, allora numerorissime specie sono “manipolate” quanto e piu’ di quelle industriali, e la definizione cade.

Se invece si applica tale definizione solo sul metodo, otteniamo una definizione coerente ma nessuno dei discorsi fatti su questa definizione e’ accettabile, perche’ non si vede per quale motivo una modifica fatta con un metodo debba essere piu’ o meno soggetta a principi di precauzione rispetto a quelle ottenute con altri metodi. E’ ugualmente possibile, con i metodi tradizionali, ottenere una mucca che produca  omega3. Cosi’ come e’ possibile fare si che lo produca un pomodoro: la stragrande maggioranza delle proteine sono comuni tra le specie animali, e non c’e’ (sul piano molecolare) tutta questa differenza tra un merluzzo ed una mucca.

Cosi´, non accetto i discorsi sugli OGM perche’ essi si basano su una definizione illogica di OGM, e ogni discorso basato su definizioni illogiche e’ destinato, prima o poi, a presentare il conto.

Uriel

(1) Sebbene i vitelli siano cresciuti con latte artificiale, il latte prodotto dalle mucche subito dopo il parto non puo’ venire venduto perche’ la sua composizione e’ diversa da quella che il latte delle mucche ha “normalmente”. Sempre che sia normale per una mucca “da agricoltura biologica” produrre latte quando NON ha partorito, cosa che in natura non e’.

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