Numeri senza numeri.

Mi dicono che ho liquidato con troppa sintesi la situazione finanziaria attuale. Eppure, c’e’ poco da fare o da dire. Posso spiegare nel dettaglio quello che sta succedendo, ma il discorso non cambia molto. Il concetto e’ che qualcuno, nel tentativo di far su dei soldi in fretta, ha speculato sui “fondamentali”, cioe’ su quei titoli che vengono usati dagli osservatori per “vedere il futuro”. Il problema e’ che questo porta soldi ai finanzieri, ma porta miseria agli industriali, perche’ chi vuole investire nell’industria non ci capisce piu’ niente.

Posso spiegarlo piu’ nel dettaglio: voi siete un investitore e volete investire nell’industria. Diciamo che vi siete scottati con l’economia farlocca e oggi decidete di investire in cose piu’ “solide”, che magari crescono meno ma credono “davvero”. Il problema e: in quali settori dell’industria investite? Una buona strategia (in passato) era quella di osservare i futures. Se , per fare un esempio banale, erano saliti quelli , che so io, sul cemento e sull’acciaio, beh, potevate scegliere il settore edilizio o delle grandi costruzioni. Il ragionamento era:  se le industrie si affannano a procurarsi cemento e acciaio temendo che crescano di prezzo, avranno gli ordinativi (o almeno i forecast) e quindi trovano conveniente accaparrarsi del materiale.

Cosi’, osservato l’andamento di questi titoli, potevate dire “investiamo nell’industria edile /civile”, per fare un esempio. A rendere possibile questa decisione, ovviamente,e’ il fatto che quei futures siano effettivamente lo specchio di quanto le industrie pensano. Per esempio, l’accaparramento di merci e materie prime e’ uno dei fattori che si usano per calcolare la “fiducia delle imprese”: non e’ che si facciano delle telefonate chiedendo se il titolare sia ottimista, si osserva in che modo spendono soldi. Se spendono soldi per accaparrarsi materie prime, o per prenotarle usando i futures, allora sono confidenti di vendere, e quindi di produrre.

Ma non basta: perche’ questo meccanismo funzioni, occorre che sia limpido. Occorre cioe’ poter pensare che se un settore dell’economia investe di piu’ , diciamo un 3%, ci sia effettivamente un 3% in piu’ di forecast, ovvero che questa differenza del 3% rispetto a un altro settore voglia dire qualcosa. Cioe’: se l’industria alimentare si accaparra 10 in alimentari e quella edile si accaparra 10,3 in cemento, bisogna poter pensare che quella differenza rispecchi delle grandezze fisiche reali: ovviamente investiremo piu’ in un settore che in un altro (se diversiichiamo un portafoglio di investimenti) , e lo faremo usando proprio quei numeri.

Adesso pero’ arriva in campo la finanza, ed inizia a distorcere quei numeri. Innanzitutto: come si capisce che quei numeri siano distorti? Beh, supponiamo di osservare l’edilizia: quando i costruttori si accaparrano cemento, in genere si accaparrano anche acciaio e laterizi vari. Supponiamo di notare che ci sia accaparramento di cemento, ma non di acciaio, ne’ di laterizi (lo notiamo perche’ l’industria dei laterizi a sua volta NON accaparra). Che cosa ne deduciamo? Che il dato sul cemento sia distorto da una speculazione.

Cosi’, e’ davvero cosi’ facile pensare che il trasporto internazionale sia in crisi, l’industria dell’auto sia in crisi, i trasporti nazionali segnino il passo, e il petrolio cresca? E’ ovvio che anche il dato sul petrolio sia falsato.

Ora, il problema e’: come si comporta l’investitore in questa situazione? Beh, e’ semplice: tiene i soldi a casa. Se non puo’ fare delle vere analisi di mercato perche’ una speculazione folle sta drogando i dati, ovviamente qualsiasi operazione equivarra’ ad un investimento a casaccio, con un rischio molto alto.Certo, poiche’ l’industria ha bisogno di soldi, probabilmente li otterra’ comunque, ma essendo il rischio alto in assenza di indici credibili, il risultato sara’ che paghera’ questo credito con interessi molto alti.

In questo modo, cioe’ speculando sui fondamentali dell’industria, le cicale della finanza stanno rendendo impossibile il lavoro alle formiche dell’industria.

Questo ovviamente rende piu’ difficile fare industria, e se la grande industria riesce ad approvvigionarsi di soldi ugualmente (e , in italia, a pagare con ritardi enormei) , la stessa cosa non e’ facile per le PMI, che si trovano schiacciate. Non mi meraviglia di leggere sui giornali che ci sono PMI con commesse per centinaia di milioni che dovranno cassaintegrare e forse chiudere perche’ le banche non prestano loro soldi: in questa situazione il rischio connesso e’ troppo alto, e gli investitori non danno soldi.

Lo stesso dicasi per il mondo del rating e degli “indici macroeconomici”. Mai prima di questa crisi, o meglio prima di questo dopocrisi, c’era stata una simile confusione. Se le banche centrali europee sono socie della BCE, mi aspetto che le loro valutazioni e quelle della BCE siano uguali. E allo stesso modo, mi aspetto che tutte le analisi e i rating convergano su alcuni dati sostanziali. Invece, non solo si vedono stime che si discostano di 1, 2 punti percentuali tra le diverse banche centrali e la BCE, nonche’ tra le banche centrali stesse, ma si vedono dei criteri di rating completamente succubi di valutazioni forfettarie e illogiche.

Che ogni agenzia di rating avesse , in passato, delle leggere differenze nei “pesi ” che dava ad ogni singolo fattore era noto: il problema e’ che se tali fattori sono noti, a sua volta sara’ possibile drogarli.

Quello che succede in questi periodi e’ che la fiducia sia merce rara e preziosa. E quello che si sta facendo, quello che la finanza dei cowboy sta facendo, e’ accaparrarsi fiducia usando il proprio potere finanziario per drogare i fattori grazie ai quali vengono stilati i vari rating.

Cosi’, nonostante l’ 80% delle banche americane siano tecnicamente fallite, nonostante il fatto che la finanza britannica sia al lumicino, nonostante il fatto non si capisca in che modo i circuiti di carte di credito siano ancora in piedi, Obama puo’ presentarsi (senza un solo straccio di dato in mano) a dire che la finanza americana e’ stabile.

Chi paga?

Ovvio : il solito parco buoi. TUTTI, TUTTI , TUTTI i rating delle nazioni MENO colpite dal credit crunch, i titoli di aziende “buone”, stanno venendo abbassati in questo periodo. Questa strategia sembra gustificata dalla crisi, ma se valutazioni cosi’ severe fossero fatte anche nel mondo anglosassone, dovremmo semplicemente chiamare “Junk Street” la borsa di Wall Street. Game over.

Invece, non c’e’ proporzione alcuna tra i declassamenti delle industrie e delle banche dei paesi “parco buoi”, cioe’ dei paesi formica che magari non hanno perso molta liquidita’, e la mancanza di azioni decise contro le banche che hanno CAUSATO il disastro e hanno voragini spaventose nei bilanci.

Lo scopo e’ chiaro: abbassando immeritatamente e sproporzionatamente il rating di chi ha due soldini da parte, lo si costringe a pagare di piu’ il credito, succhiandogli il sangue per coprire i buchi. In pratica, statunitensi e inglesi stanno cannibalizzando il resto del mondo, sfruttando lo strumento del rating. Non potendo seminare fiducia verso i propri mercati finanziari , seminano sfiducia negli altri, godendo poi dei maggiori interessi pagati da questi ultimi.

Contemporaneamente, stanno creando fiducia artificiale, investendo proprio in quei settori ed in quei titoli che SANNO essere usati proprio per calcolare l’outlook, stanno cioe’ investendo in quei settori che vengono usati per produrre gli indici che ci dicono se siamo usciti dalla crisi o no.

In questo momento, e’ impossibile dire qualsiasi cosa: siamo usciti dalla crisi? Boh. Gli indici sono falsificati ed incoerenti. I fondamentali sono sani? E chi lo sa, dietro a quella nube di cavallette? Ci sono segni di ripresa? Eh, se gli Hedge lasciassero in pace i futures potremmo guardarci.

Non credo che qualcuno abbia cambiato cultura dalle parti di Wall Street, ne’ nella City: quando il gioco si fa duro giocano ancora piu’ sporco, ed oggi sono arrivati sino a drogare gli indici e a gonfiare i fondamentali, per generare finta fiducia.

Il futuro?

In queste condizioni, quello che succedera’ e’ semplice: regionalizzazione, se non nazionalizzazione della finanza.

Se non puoi credere a nessuna cifra, se nessuna delle tue valutazioni puo’ funzionare, l’unica cosa che puoi fare se vuoi investire  e’ di iscriverti a piu’ club di golf possibile, e chiedere direttamente agli amici e ai compagni di bevute. Perche’ quelle saranno le uniche informazioni davvero credibili. Quello che potrai fare e’ di andare a cena col ministro delle finanze, che riceve tutti come questuanti, e chiedere notizie . Tutto questo aumenta l’importanza dei network locali, delle amicizie personali, delle massonerie, delle cene a casa dei politici, di quel modo di fare (il mix tra amicizia, affari e politica) che e’ tipico di Silvio Berlusconi.

Sui mercati, ad ogni livello, dai macroindici economici (che vengono “destagionalizzati” secondo criteri sempre piu’ politici, perche’ un punto percentuale in piu’ e’ vittoria politica del governo in carica, e viceversa) fino alla misura dei fondamentali e degli indici di mercato, la vera vittima di questa crisi e’ la trasparenza.

Il risultato e’, molto semplicemente, che i soldi restano tutti a casa, dentro recinti ben protetti, dentro i “salotti bene” della finanza (dai quali le PMI sono escluse) dentro i circoli di amicizie politiche/affaristiche. In pratica proprio quei circoli che tuonavano contro la finanza italiana, contro la chiusura , l’ingessatura, la massoneria,il familismo ed  il nepotismo della finanza italiana, stanno facendo in modo che su tutto il pianeta si ripeta la stessa scena: ognuno forte in casa propria, e se resta qualcosa vediamo di giocare all’estero.

In pratica, hanno italianizzato il mondo intero. E la ragione e’ che hanno ripetuto, credendo di essere nuovi ed originali, tutte le piccole astuzie che in Italia si sono fatte dal 1500 a questa parte: i cowboys si credono dei draghi quando fanno cose che qui facevano i grandi elettori al tempo del signoraggio, pensano di aver inventato qualcosa di nuovo quando applicano le piccole strategie valutarie dell’italia comunale, chiunque conosca la storia dell’economia italiana sa che stiamo vedendo l’analogo della crisi finanziaria che distrusse molto dell’artigianato delle grandi corporazioni delle arti e mestieri, solo che oggi al posto dei prestasoldi ci sono i finanzieri e al posto degli artigiani ci sono le industrie.

Dal punto di vista storico, questa crisi e’ tutta roba gia’ vista. E portera’ dove sappiamo bene: alla situazione che in Italia abbiamo avuto dal 1600 al 1700. Niente di piu’: borghesia pantofoliaia e latifondista  , che oggi sarebbe una finanza improduttiva che lavora sui volumi con rese basse, manifattura polverizzata e stracciona, che oggi sarebbero PMI con l’acqua alla gola e un popolo di precari, poche grandi realta’ in mano a cio’ che resta delle famiglie nobili, che oggi sono le grandi famiglie di industriali.

Questo e’ il mondo che i cowboy ci stanno regalando.

Per noi italiani e’ la norma. Ci sappiamo vivere e ci siamo (quasi) abituati.

Vedremo come il resto del mondo reggera’ il nostro gioco.

Dal punto di vista italiano, tutto questo e’ un bene. Se si riesce a tenere la sinistra dei farlocchi fuori dal governo, ovvero ad evitare che questi pur di avere un articolo positivo sull’ Economist svendano anche le loro nostre madri agli ariani , probabilmente tra 1-2 anni ci troveremo in un mondo completamente “italiano”, con una finanza praticamente identica a quella italiana, coi salotti bene , coi furbetti del quartierino, con  le banche che vogliono dei soldi per prestarti dei soldi, con l’amico e il parente e tutto in famiglia  e nessuna trasparenza neanche a morire.

E allora vedremo chi sia l’italiano che sa fare meglio italiano. In fondo, se la stanno cercando.

Uriel

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