Ma loro sono pronti?

Ho dovuto  – per ragioni di lavoro – assistere all’ennesima convention idiota che cerca di introdurre il TTIP. Hanno provato a proporlo in un comizio in piazza a Düsseldorf, e il tipo che raccontava delle meraviglie del TTIP e’ stato costretto a smettere a furia di fischi. Cosi’ la nuova strategia per convincere la gente che il liberismo e’ giusto consiste nel fare convention “aziendali” , in cui si parla di prodotti, strategie e consulenza, e venderlo – embedded – li’ dentro. Una specie di messaggio subliminale mentre parli di lavoro.

E’ una strategia ancora piu’ fallimentare, dal momento che il lavoratore e’ quello che piu’ teme il TTIP, ma non e’ questo il punto. Quello che mi chiedo e’ se coloro che parlano di “il lavoro come commodity” , che si chiedono se il resto del mondo sia pronto, siano a loro volta pronti.

La mia sensazione riguardo all’argomento e’ che i grandi brand e le grandi aziende stiano li’ a sponsorizzare questo mondo fatto di solo mercato, ove “il lavoro e’ una commodity” , senza percepire di preciso il significato esatto di quel che vogliono.

Ne vendono, cioe’, solo la parte che gli conviene, fingendo di non conoscere la parte che NON conviene loro.

Faccio un esempio: ho aiutato un mio amico italiano (col quale avevo lavorato) a trovare un lavoro qui. Ora, di per se’ non e’ nulla di speciale, ma quando ha lasciato l’azienda per venire qui si e’ sentito dire cose incredibili.

La prima era che il progetto stava per finire e lasciare poco prima della fine sarebbe stato sleale verso l’azienda.

Molto bello, ma per quale ragione si chiede ad una commodity di essere leale? Avete mai accusato il cemento della vostra casa di essere leale? Avete mai pensato alla lealta’ di un sacco di patate che avete comprato? Alla dedizione di un litro di latte?

La verita’ e’ che le commodity, essendo beni indifferenziati legati a domanda ed offerta, vanno ad essere comprate da chi paga meglio. Se io sono una commodity, posso lasciare tra mezz’ora, se qualcuno mi offre di piu’. Il tuo progetto va a puttane? Your problem. Precario io, precario tu.

Ed e’ la parte “precario tu” che questi personaggi non riescono a capire.

Una delle cose che faccio sempre capire al cliente quando inizio una nuova consulenza e’ che , appunto, io come consulente sono una commodity. Essendo una commodity, lui non mi puo’ dire “tu sei parte del mio team”.

Sarebbe come se io aprissi il frigo, guardassi il formaggio e dicessi “da oggi sei un membro della mia famiglia”. In realta’ no, il formaggio e’ una cosa che ho comprato , e’ uguale ad ogni altro formaggio, e poteva comprarlo chiunque altro allo stesso modo. Ovvero, e’ un bene indifferenziato.

Stranamente, quando continuo a tenere nella firma della mia email il nome della MIA azienda , e non di quella del cliente, quando continuo e  il mio badge ha ancora la corda della MIA azienda, quando io continuo a chiamare “il cliente” quello che gli interni chiamano “il manager”, il disagio inizia si, ma da parte LORO. Eppure, io HO dimenticato la vecchia economia, e mi sto comportando come una commodity.

La stessa cosa succede come “home office”. Se tu distingui i “membri del tuo team” tra “interni” ed “externals”, poi non ti devi lamentare se gli “externals” lavorano in Home Office. Sono esterni, giusto? “Esterno” e’, a quanto ricordo, un tizio che non e’ interno, ovvero non si suppone essere, topologicamente parlando, nello stesso insieme degli “interni”.

Invece, stranamente, loro passano il tempo ad “esternalizzare”, ma NON quando gli esterni vogliono stare fuori dall’ufficio. Molto interessante, ma questo mi lascia pensare ad una cosa: che questa merda funzionera’ solo fino a quando gli “esterni” continuerano ad essere dei finti interni.

Sospetto che vi chiederanno di “dimenticare il posto fisso” soltanto sino a quando non lo avrete dimenticato SUL SERIO. Perche’ quando avrete dimenticato che bisogna essere per forza DENTRO l’azienda, questa cosa degli “esterni” non gli andra’ piu’ tanto bene. Dovete dimenticare di essere interni, si, ma dovete anche ricordare di lavorare dentro.

Voglio dire, questi passano tutto il tempo a enunciare grandi formule, tipo “voi non dovete piu’ pensare ad un lavoro per tutta la vita”, “non esiste piu’ il posto di lavoro, perche’ tu non avrai piu’ il tuo ufficio sino alla pensione”, “deve finire questa mentalita’ della fabbrica come seconda casa”, ma quando poi la gente FA DAVVERO quel che si dice, allora iniziano a dare di matto.

Dicono che non esistera’ piu’ la fabbrica dove timbri il cartellino, e va benone, ma poi quando la gente mette un OoO e se ne va a portare il cane dal veterinario si incazzano: avevamo detto che non si timbrava piu’ il cartellino, giusto?

Onestamente, la mia politica e’ stata sempre quella di rendere continuamente presente e chiaro che sono un consulente esterno e non un “membro del team”, che io non sono un dipendente ma un consulente, una commodity, per cui se ne vuoi di piu’ paghi di piu’: quando mi chiedono se posso fare degli straordinari dico sempre “per me e’ OK, senti il mio commerciale”, ben sapendo che quello stacchera’ fattura inesorabile, infallibile, totale.

Ma questa cosa, a memoria d’uomo, non ha mai infastidito particolarmente ME, ha sempre infastidito il cliente. Quando ero in Italia, e feci il discorso “loro sono membri del team, io sono un consulente esterno”, uno dei clienti mi disse che stavo destabilizzando il team. Cosi’ gli chiesi per quale motivo stava mettendo la parola “Consulente” nell’indirizo di email che mi aveva assegnato, e si zitti’.  Tuttavia so benissimo che la cosa non gli andasse a genio.

La pura e semplice verita’ e’ che tanti cocainomani vanno in giro a dire che bisogna abbandonare la vecchia idea di “posto fisso”, ma quando poi prendono la persona “as a commodity”, pretendono che imiti il vecchio “posto fisso”, diventando leale, avendo spirito di squadra, orari prefissati, quando nessuna commodity fa questo. Quello che viene da chiedersi e’ se IL PREDICATORE sia pronto alla venuta del suo stesso Dio, insomma.

Quando dici questo ti citano sempre la Silicon Valley, dove a sentire loro “se si cazzeggia hai la stanza per il pingpong erotico, ma quando si lavora non c’e’ orologio”. Quasi vero. Quasi.

Ho conosciuto un certo Paul B. Se avete usato dei tool per la gestione di manifesti java, o qualche tool per la gestione di database (sempre scritti in Java), era proprio quel bestione americano li’. Dico bestione perche’ ha l’aria di un tipo non facile da buttar giu’ in un campo da football.

Ora, il Bem ha lavorato per un certo periodo in Europa, tra scandinavia , Germania e Inghilterra, ma ha dovuto smettere. C’era una ragione precisa per questo: lui d’estate non lavora. E’ un freelance, giusto? E’ uno che e’ “imprenditore di se’ stesso”, giusto?

E’ insomma il simbolo di tutto quello che il “CEO of yourself” dovrebbe essere: professionalmente bravissimo, assertivo, preattivo, manda in calore le finte manager inglesi con le sue spalle grosse , e tutto quanto. Pero’ lui non lavora d’estate.

D’estate prende il suo pickup, una tenda, e se ne va in qualche deserto a fare non so cosa. Non e’ il burning man, e’ qualche altra cosa – che non conosco – ma si fa meglio in una tenda nel deserto. So che un anno eha invece piantato la tenda in una spiaggia e ha scoperto il surf, ma l’anno dopo e’ tornato al deserto.

A prescindere da come il Bem passa le estati (sono anni che non lo vedo ) , ha dovuto smettere di farlo in Europa. Perche’? Perche’ le aziende non si fermano in estate. Ma a Paul fegava zero: era lui il CEO di se’ stesso, e se aveva soldi da parte – in realta’ due mesi nel deserto costano quanto una settimana in citta’ , quindi risparmiava – potete chiudere la VOSTRA azienda e andare nel deserto in una tenda, a fare cose misteriose.(1)

E qui siamo ancora al punto di partenza: al lavoratore moderno viene si chiesto di “dimenticare” il posto fisso, ma poi viene chiesto di “ricordare” il posto fisso, quando deve comportarsi ALLO STESSO MODO.

la mia impressione, cioe’, e’ che tutti questi cazzologi assortiti vadano in giro a dire che “e’ finita l’era del posto fisso” , e “e’ finita l’era di un lavoro per tutta la vita”, ” si deve fare come in ammeriga, ammerigameriga, ammerigamerigameriga”, ma poi quando si trovano di fronte alle cose che essi stessi hanno predicato, scopriamo cosa intendevano:

che in termini di DIRITTI dovete dimenticare il posto fisso, ma in termini di DOVERI dovete ricordarvelo, eccome, perche’ dovete ancora comportarvi cosi’.

vorrei vedere cosa succederebbe se un giorno arrivasse qualcuno e convincesse tutti i precari della stessa azienda a lavorare per lui da domani, lasciando scoperta l’azienda. Basta offrire di piu’, giusto?

Allora sarebbe bello fare un bello scherzo a qualche imprenditore, tipo “candid camera”:

  1. Sapendo che gli impiegati precari di quell’aienda sono Y
  2. Sapendo che ogni mese guadagnano X
  3. Riempire il posto di manifestini ove qualcuno cerca Y+1 contrattisti a 1,2*X al mese.
  4. Il contratto inizia fra due giorni, quindi bisogna andarsene senza preavviso.

e poi filmare la reazione del capo quando legge il manifestino.

Chissa’ com’e’, non credo rimarrebbe un fanatico sostenitore del “lavoro come commodity”.

Quindi, ripeto: sono convinto che stia per nascere una nuova generazione di giovani che non “pensano piu’ al lavoro fisso”, quello che mi chiedo e’ se esista una generazione di IMPRENDITORI che non pensa piu’ al lavoro fisso.

Anche perche’ a casa mia le commodity si pagano per quantita’: se vuoi otto ore ne paghi 8, se ne vuoi 10 me ne paghi 10,  e cosi’ via.

E cosi’ il buon Paul, compagno di bevute e di stinchi di maiale, adesso e’ tornato in USA: “gli imprenditori europei non capiscono che non esiste piu’ il lavoro fisso”, diceva.

Sti liberisti.

Mi fa ancora piu’ pensare un’altra cosa: il mio ex collega – italianissimo – che oggi lavora in Thailandia. Ad un certo punto ha trovato altro li’, e se n’e’ andato. Oltre alla solita paturnia del “traditore” (ma il lavoro non era una commodity?) che lascia l’azienda a meta’ progetto (del resto, chiunque lasci l’azienda lascia un progetto: tutti lavorano su qualche progetto) e non ha spirito di squadra e non ha lealta’ all’azienda, ha scoperto una cosa interessante.

Quando si era spostato dall’ Italia all’ inghilterra, infatti, aveva venduto la casa. E aveva capito una cosa: nel “mondo globale” dove il “lavoro e’ una commodity”, possedere una casa non ha senso alcuno. Se non esiste piu’ il lavoro sino alla pensione, perche’ dovrebbe esistere la casa sino alla pensione, se nessuno ti fa un contratto per 20 anni, perche’ TU dovresti fare un mutuo per 20 anni?

Ma se aumentiamo la distanza, sino in Thailandia, scopriamo un’altra cosa: che anche possedere un’auto e’ tutta questa figata. Spostare un’automobile sino in Thailandia, da Londra, e’ una spesa inutile ed ingiustificabile.

Cosi’ ha venduto anche l’automobile. E adesso che ha capito la lezione (e cioe’ che siamo nel mondo globale dove lui potrebbe essere a Brasilia domani) , ha detto chiaramente che comprare un’auto non ha alcun senso, che piuttosto conviene rimanere liquidi, e al limite ne affitti una in loco se ti serve.

Ora, vorrei parlare di questo con un costruttore, o con un industriale: perche’ “adesso siamo in un mondo globale” e “non esiste piu’ il posto fisso per tutta la vita” significa proprio questo. Che non venderete piu’ ne’ case ne’ auto.

Nel mondo locale con il posto fisso per tutta la vita, le famiglie comprano una casa e un’automobile, quando non due. Nel mondo globale senza posto fisso per tutta la vita, le persone NON comprano casa e NON comprano automobili. Cosi’ la vera domanda e’: ma gli IMPRENDITORI sono PRONTI a questa cosa che pure ricordano agli altri con tanta enfasi?

Due giorni fa, lupus in fabula, la mia banca tedesca mi ha chiamato. Mi ha fatto notare che ho soldi sul conto e che dovrei farne qualcosa. La mia risposta e’ stata qualcosa come “penso che prima o poi li spendero’, infatti”. Che e’ appunto, quando “fai qualcosa” coi soldi.

Ma la banca voleva che io facessi altro, ovvero che li investissi, ovvero che in qualche modo li immobilizzassi. Se fossimo nel vecchio mondo locale col posto fisso sino alla pensione , probabilmente avrei detto di si’.

Ma oggi devo pensare come se fossi il CEO di me stesso, e solo un cretino immobilizza la cassa della propria azienda in un mondo fatto di rischi ed opportunita’. Se anche i miei rischi sono bassi, io devo “pensare come un imprenditore” e magari domani mi capitera’ un’opportunita’ , perche’ dovrei impegnarmi con la banca per un lungo periodo, quando in un tempo piu’ lungo aumenta la possibilita’ che io trovi delle opportunita’ ?  MAgari domani la mia azienda ha degli ottimi risultati, io lo sento dire nei corridoi, e compro un pochino di azioni poco prima dei risultati di Q3. Magari qualche azienda cliente, ove faccio il consulente, annuncera’ ottimi risultati, io lo sento dire alla macchinetta del caffe’ (o a qualche collega che fa il consulente per finance) e voglio approfittarne. Il mondo e’ pieno di opportunita’, no? Quindi, meglio rimanere liquidi.

Insomma, devo ragionare come un CEO, si o no? Siamo nel mondo globale della finanza o no? Perche’ volete che io ragioni come un padre di famiglia di 20 anni fa, quando voi stessi predicate che devo ragionare come un CEO del 2014?

Per comprare il vostro prezioso investimento a cedola fissa?

Cosi’ saro’ molto sincero: quando passo un sabato a base di catering finto-matrix servito da simpatici inservienti in vestito bianco (che mi ricordano tanto Fight Club . Non ho assaggiato nessuna zuppa, per sicurezza) , e sento il solito esaltato cocainomane ventiqualcosa-enne che mi parla del mondo che dovremo affrontare dopo il TTIP (che lui da’ per scontato) , e finisce le slide con una bella

Are you ready?

in rosso, al centro dello schermo, a me viene sempre da rispondere qualcosa come “beh, si”.

Ma poi guardo il mio capo, i miei clienti, le aziende ove faccio consulenza , e mi viene qualche dubbio.

No, loro non sono pronti. I CEO non ragionano come “ceo di se’ stessi”.

Forse perche’ fanno i CEO per qualcun altro, certo, ma il problema non e’ “il perche’”. Non mi interessa sapere che il “CEO di se’ stesso” e’ per forza di cose piu’ robusto del “CEO per qualcun altro”, mi interessa sapere che il “CEO per qualcun altro” non e’ preparato ad avere di fronte milioni di “CEO di se’ stessi”, i quali magari decideranno che d’estate non si lavora perche’ hanno deciso di andare in tenda nel deserto.

O, fatto realmente avvenuto, di trovarsi il 60% dei consulenti in meno durante l’ Oktoberfest.

E in azienda c’erano solo quelli che hanno il lavoro fisso fino alla pensione.

Are YOU ready?

Uriel Fanelli, domenica 26 ottobre 2014

(1) Oggettivamente , non gli ho mai chiesto se ci andasse da solo. Ma non riesco ad  immaginare un essere capace di stare due mesi nel deserto con il bem ingrifato tipo maglio industriale ed essere l’unica cosa scopabile a disposizione. O conosce partner molto robusti, quasi indistruttibili, o nel deserto ci va da solo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *