Ma io scherzavo!

Il dibattito sulla morte di Sandri mi fa tornare alla mente delle scene che , nelle palestre che ho frequentato, erano molto comuni. Mi riferisco al ragazzino gasato, meglio noto come “cintura gialla di secondo dan”. Si tratta di un elemento che si sente fortissimo perche’ impara due o tre tecniche (nel Judo sa appena cadere e conosce una sola proiezione che richiede la collaborazione dell’avversario, nel Muay Thay e’ appena riuscito a condizionarsi le tibie) e inizia ad allenarsi usando tutta la forza che ha contro lo sparring partner.

In genere (il Judo e’ molto adatto ai bambini per questo e la mia palestra era piena di vocianti nanerottoli ) succede che il bambino realizza per la prima volta la propria capacita’ di determinare il combattimento, e ovviamente la prova usando piu’ forza possibile. Questo succede quasi immediatamente, e finisce quasi immediatamente, perche’ prima o poi (1) incontra un bambino (o una bambina, che quelle che fanno Judo sono ferocissime) che fa la stessa cosa, e allora inizia a scendere a compromessi. Poiche’ il Judo e’ lo sport con MENO infortuni in assoluto , questo lo rende ideale perche’ i bambini imparino che il tipo di gioco e il risultato della partita non sempre coincidono.

Credo che lo Judoka sia, psicologicamente, molto diverso dagli altri italiani. Il fatto di praticare un gioco che dipende da come lo imposti (se stai alto rischi MOLTO male, ma anche di fare molto male, se vai subito al suolo e giochi piu’ basso il gioco e’ molto diverso) rende presente a tutti che le conseguenze di quello che fai arrivano a seconda della TUA scelta.

Questo e’ , essenzialmente, il principio che l’italiano fatica ad accettare.

Nel momento T0, quando faccio la mia scelta, ho automaticamente determinato il rischio di rubire dei danni. Se la domenica esco di casa, e decido, diciamo sullo stipite della porta, di andare ad un derby di calcio oppure al cinema, in quel momento ho scelto tra due classi di pericolo.

Sicuramente potremo decidere se sia giusto o meno, se sia una best practice o meno, che un poliziotto perda le staffe e ci spari. Ma in ogni caso, rimane un rischio che qualcuno ci spari. Qualsiasi percentuale di persone rimanga uccisa da uno sparo dentro uno stadio, o durante un’attivita’ collegata, questo e’ il rischio che abbiamo SCELTO sullo stipite della porta.

Ora, questo discorso e’ un discorso su DUE fattori, e non su uno solo:

  • La nostra scelta.
  • I meccanismi di rischio.

E’ ovvio che possiamo lavorare a piacere per ridurre i rischi, ma questo non cambia le cose al momento della scelta: se nel momento della scelta il rischio che possiamo calcolare e’ X, abbiamo scelto di correre il rischio X. Questo significa che , implicitamente, abbiamo accettato il rischio X.

Quando prendo la mia sega a motore e mi metto a segare legna, sono consapevole del fatto che esiste un certo numero di incidenti dovuti all’uso piu’ o meno esperto della sega a motore. So che alcune precauzioni (come chiamare una persona a fare il lavoro  ) possono ridurre tale rischio: per questa ragione, anche se posso discutere lo svolgimento di un eventuale incidente, il rischio che avvenisse e’ dovuto sul piano incidentale alla MIA decisione di fare legna.

Esiste cioe’ una responsabilita’ MIA nel successivo incidente, e la mia responsabilita’ consiste nel fatto che ho accettato i rischi insiti nella mia condotta quando ho scelto la mia condotta. Ovviamente, tutto questo dipende anche da quanto fosse obbligata la mia condotta.

Se dovessi quindi modellizzare la scelta di fare legna con la sega a motore o di farlo fare ad un altra persona, dovrei quantificare (usando tabelle assicurative, per esempio) i rischi di infortunio. A quel punto, dovrei dire che

  • Scelgo di fare IO la legna. Il costo e’ il rischio di farmi male per il danno subito. Il guadagno e’ il valore del taglio piu’ il risparmio di manodopera.
  • Scelgo di chiamare un taglialegna. Il costo e’ la paga del taglialegna. Il guadagno e’ il rischio di farmi male per il danno subito piu’ il valore della legna tagliata.

Possiamo opinare il costo del taglialegna ed il valore assicurativo attribuito alle infermita’, tuttavia una cosa e’ certa: una volta che ho operato una LIBERA scelta, la responsabilita’ di un eventuale incidente ricade su di ME. Il concetto da capire e’ che il rischio non e’ un costo SOLO quando si concretizza, ma lo e’ SEMPRE: io pago una INAIL perche’ se mi faccio male con la sega e rimango invalido dovrebbe arrivarmi una pensione. Di conseguenza, il costo e’ CONTINUO, anche se non mi faccio male. Il costo del rischio automobilistico e’ continuo ed e’ il costo dell’assicurazione.

Questo per dire che tutti siamo SEMPRE a contatto coi costi del rischio, in maniera diretta o meno, violenta o meno.

Questo e’ molto chiaro nel momento in cui nel mio modello sono da solo, e quindi siccome soltanto una persona puo’ essere moralmente responsabile di qualcosa appare chiaro che sia la MIA scelta di tagliare legna a darmi la responsabilita’ morale di un incidente sul lavoro.

L’ambiguita’ nasce quando, come nell’esempio del Judo di cui sopra, nel gioco siamo in due. Se io scelgo di giocare con tutta la forza che ho anziche’ limitarmi come si fa in palestra, ed  il mio avversario scala e poi vince , sono io il responsabile del dolore alla schiena o e’ lui?

Possiamo semplificare il problema e tornare indietro con un approccio alla Kirkhoff: visto ai morsetti, l’universo ha una certa percentuale di rischio. Io sto misurando la pericolosita’ statistica di un generico universo visto dal MIO punto di vista nell’esatto momento in cui ho fatto la scelta. Nel fatto che il mio avversario possa scegliere un principio di dominanza e scalare per inseguire il mio uso della forza, o un principio di prudenza non inseguendomi, ho semplicemente scritto i costi di un mio gioco.

Ma il dato rimane che se posso scegliere liberamente tra due mosse, una con un rischio R1 e una con un rischio R2, la differenza tra R1 e R2 e’ da attribuire interamente alla mia scelta.

E torniamo al punto di Sandri: se fare l’ultra’ di calcio ogni domenica comporta un rischio di morire R1 mentre passare la domenica giocando a golf comporta un rischio R2  , la responsabilita’ per  R1 – R2 e’ tutta mia.

Questa idea secondo la quale ogni scelta implichi una rinuncia (scegliamo R1 oppure R2) e che ogni scelta ci porti delle responsabilita’ e’ un’idea che era molto chiara una o due generazioni fa, e che sta diventando sempre meno chiara mano a mano che una certa cultura anglosassone ci insegna che se io incendio la macchina e con dentro me stesso, se brucio vivo e’ perche’ nessuno ha scritto sull’automobile che “incendiare l’auto puo’ produrre danni termici all’organismo”.

Si tratta di una mentalita’ che definirei la “mentalita’ del diritto al paracadute”: io mi lancio dall’aereo, qualcun altro (e non io) e’ incaricato di far si’ che io stesso non mi faccia male. La comunita’, la societa’, la polizia, la legge, Dio, la mamma, una pletora di entita’ e’ incaricata di procurare un paracadute il cui scopo e’ semplicemente di compensare la mancata cognizione delle possibili conseguenze del proprio agire.

Mi piacerebbe tantissimo che in Italia negli stadi ci fosse la stessa atmosfera da gigantesco picnic, con tanto di barbecue sugli spalti, che c’e’ nelle partite di Baseball negli USA. Se vivessi negli USA probabilmente andrei a vedere questa brutta imitazione del gioco ferrarese della Lippa solo per poter stare sugli spalti a spassarmela mentre qualcuno fa delle cose di cui non me ne potrebbe fregare di meno, come al 95% del pubblico americano.(2)

Da bambino mi capitava, vivendo nelle case di una fabbrica, di farmi male o “visitando abusivamente” delle case che non venivano date agli operai perche’ inagibili (3) oppure salendo su alberi di varia foggia. Quello che mi capitava se mi facevo male era di venire rimproverato per aver fatto qualcosa di rischioso: mia madre sapeva di non potermi materialmente impedire di praticare qualche attivita’ rischiosa, e sceglieva di spiegarmi che valutare il rischio a priori fosse un MIO problema, e non del’albero.

Oggi, gli alberi sono considerati “pericolosi per i bambini” ed abbattuti se un bambino ci si fa male. E le case pericolanti rase al suolo. Certo, potrebbe essere un approccio ragionevole se potessimo trasformare il mondo intero in un kindergarden privo di rischi, con le pareti imbottite e gli angoli smussati come nello spazio bambini dell’ IKEA.

Il problema sta nel fatto che l’adulto cosi’ cresciuto non si limita a salire sugli alberi, ma prende le spranghe e fa l’ultra’ lanciando un motorino dagli spalti. Oppure va a scalare il monte bianco scegliendo un giorno segnalato come pericoloso.

Quando ero in marina diverse volte siamo dovuti andare in soccorso di stronzi cittadini che erano usciti in mare nonostante la capitaneria avesse dato un bollettino metereologico: non si trattava quasi mai di pescatori o di persone scafate, ma ri adulti nei quali leggevo i danni di una mentalita’ del cazzo: se era cosi’ pericoloso,  qualcuno doveva fermarmi.

No.

Il fatto che qualcuno ti abbia fermato quando avevi 5 anni e’ semplicemente il frutto di una serie di scelte (discutibili) in ambito educativo: dal momento in cui sei adulto, nessuno e’ tenuto a limitare i danni dovuti ad una tua scelta.

Ho molto apprezzato il fatto che il soccorso alpino regionale abbia iniziato a far PAGARE le uscite degli elicotteri che vanno a prelevare fessi che fanno sci fuori pista, o che fanno alpinismo senza curarsi dei rischi, eccetera: e’ un modo per mappare in maniera chiarissima che io ritengo TE responsabile di esserti cacciato in una situazione pericolosa, dalla quale IO ho sentito il bisogno di salvarti , ma rimane il fatto che siccome e’ COLPA TUA, allora paghi tu. E non solo: se non riesco a salvarti , non accetto che sia colpa mia.

Oggi si pretende di affermare un DIRITTO a non porsi il problema delle conseguenze delle proprie azioni. Allora arriva un tizio, si mette a fare l’ultra’, scegliendo cosi’ uno stile di vita piu’ rischioso della media, e poi ci si aspetta che quando il rischio si materializza qualcuno abbia il dovere di salvarti.

No.

Nessuno ha questo dovere.

Ritengo che il poliziotto abbia sbagliato nello sparare perche’ le sue azioni hanno rischiato di fare del male a gente che NON aveva scelto una condotta rischiosa, come i NON-ultra’ che passavano per caso dalla strada. Ma l’ultra’ di calcio, che in quanto tale frequenta luoghi pericolosissimi come gli stadi la domenica(4), ha SCELTO di correre dei rischi.

E allora torniamo al momento in cui sei sullo stipite della porta: se decidi di andare ad una partita di calcio come ultra’, ti esponi al rischio R1. Se scegli di andare al cinema , corri il rischio R2.

Quando R1-R2 si materializza, non si tratta ne’ del destino cinico e baro, ne’  ha senso investigare sulle modalita’ col quale si e’ realizzato: mia madre non doveva analizzare ogni tipo di albero ed ogni possibile situazione di pericolo per capire se una singola caduta fosse colpa mia o se il ramo era ingannevolmente fragile, semplicemente mi redarguiva perche’ arrampicarsi era “pericoloso in genere”.

Quando ebbi un cane, mi capito’ di stuzzicarlo fino a provocare la sua reazione ostile, e mi beccai un morso. A questo punto, possiamo discutere se il problema sia stata la scarsa pazienza del cane o il suo carattere, e suppongo che oggi il cane verrebbe abbattuto: ai miei tempi IO mi presi anche il cazziatone, perche’ stuzzicare il cane e’ pericoloso anche coi cani piu’ docili.

Questo non significa che i cani debbano o possano mordere impunemente: significa che la responsabilita’ della partita e del suo esito va sempre distribuita tra tutti coloro che hanno SCELTO di giocarvi.

Ho sempre detto che la differenza tra uomini ed animali consiste nella capacita’ di inserire un momento di raziocinio tra lo stimolo a fare e l’atto di fare. Sicuramente questo momento di raziocinio vale per l’gente che punta la pistola, ma vale ANCHE per chi decide di iscriversi nei “fedayin assassini bestie curva sud Roma fascista drughi arancia meccanica”(5), che poteva , con una certa capacita’ raziocinante, chiedersi se per caso questa cosa non potesse nuocere alla salute.

Uriel

(1) Il Judo e’ diviso in categorie di peso, checche’ ne dicano i filosofi del “usare la forza altrui contro di loro”, la massa fisica conta eccome. Si, se vi fanno un Ippon* e pesate molto e’ piu’ facile che le vostre vertebre ne risentano, ma se un gigante vi solleva da terra e vi proietta con un minimo di kime’ addominale, vi spiaccicate cadendo da un’altezza ALTA, ALTA piu’ di voi, e la sua forza produce piu’ accelerazione, il che vi spiaccica sul pavimento come delle merdacce.

(2) La mia personale opinione e’ che gli americani vadano a vedere il baseball per cazzeggiare un pomeriggio in un luogo ove puoi dire le parolacce , mangiare come una scrofa tibetana, bere come un ludro, ruttare come un ippopotamo, commentare ad alta voce le tette della vicina, e tutto questo non comporta alcuna disapprovazione sociale. La partita IMHO la seguiranno si e no in 4, e sono tutti in campo.

(3) In qualsiasi casa inagibile delle campagne  italiane ci sono le cose piu’ pazzescamente interessanti che un bambino possa trovare, dagli scheletri di topi morti ai resti di mobilio decomposto. Nonche’ tutto quello che nasce nella fantasia bambinesca nel vedere tutto cio’.

(4) Negli 8 mesi in cui ho vissuto dalle parti dello stadio di Bologna, mi sono trovato diverse volte sequestrato a casa. Due volte sono arrivato sulla porta e la celere mi ha pregato di rientrare e di abbassare le persiane per evitare lanci di oggetti. Diverse volte ho dovuto spostare lontano l’automobile per paura di devastazioni. La meta’ dei residenti del quartiere LASCIAVA il quartiere durante quelle domeniche. I negozi avevano tutti la saracinesca “piena” anziche’ la solita griglia che mostra la vetrina. Non mi raccontate che sono “pochi casi isolati”, perche’ al Moster of Rock di Modena eravamo 30.000 e non ho visto un decimo di quella celere, qui con 3000 esagitati si rischia la guerriglia urbana.

(5) Nessuno dei nomi di queste formazioni puo’ far sospettare che si tratti di associazioni violente. Il partito di Gandhi, notoriamente, era il “Partito indiano per la frattura nasale scomposta degli strangolatori furenti Genocidio del Punjab”.  Per non parlare di San Francesco, fondatore dei noti “Fratelli bastardi spaccafemori della divina sodomia schiumosa – Impalazione Proletaria Roteante”.

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