Liberismi di stampa.

Il post sull’ Unita’ e sui relativi guai giuridici ha innescato la solita manfrina (il post parla della vicenda dell’UNita’, non di Luttazzi o altro. I commenti che mi ricordano che Berlusconi nel 1953 ha fatto la tal cosa come prova di una tesi attuale sono stati censurati per scorrettezza intellettuale) sulla liberta’ di stampa, cui si attribuiscono poteri taumaturgici , simili a quelli che venivano attribuiti al “libero mercato”.

La prima leggenda che bisogna sfatare quando si parla di liberta’ di stampa e’ che laddove ci sia liberta’ di stampa le persone conoscano la verita’ piu’ di coloro che invece vivono in luoghi ove la liberta’ di stampa e’ limitata. Questa leggenda sostiene che se lasciamo tutti liberi di parlare, si raggiungera’ per forza di cose un equilibrio ottimo per il quale la stampa non potra’ far altro che dire il vero.

Si tratta, ovviamente, di un analogo della “mano invisibile del mercato”. Chi crede nel mercato come entita’ intelligente sostiene che se gli operatori fanno le proprie scelte in completa liberta’, la “mano invisibile del mercato” portera’ alla migliore delle situazioni economiche possibili.

Non ci vuole molto a capire che quando si sostiene che una stampa libera sia automaticamente una stampa che dice il vero ed informa bene, di fatto si sta affermando che esista una “mano invisibile della stampa”, per la quale se ogni operatore viene lasciato libero di parlare allora tutti diranno la verita’.

Potrei dire che, come e’ ovvio, la stessa dimostrazione che dimostra l’inesistenza della “mano invisibile del mercato” dimostra anche l’inesistenza della “mano invisibile della stampa”, ma il problema con la stampa e’ ancora a monte.

Dire che “se le scelte economiche di ogni operatore sono libere si ottiene l’economia migliore possibile” e’ , tutto sommato, un problema ben posto. E’ un problema ben posto nel senso che almeno le dimensioni quadrano: le scelte economiche producono l’economia.

Economia con economia, insomma. Il problema e’ che nel caso della stampa il problema diventa diverso, e sul piano della dimensionalita’ non quadra per nulla:

“se tutti gli operatori possono dare liberamente le notizie, allora tutti avranno la verita’” non e’ dimensionalmente coerente, perche’ confronta la verita’ con le notizie. Lo scopo della stampa, infatti, non e’ di dare la verita’, bensi’ la notizia.

La notizia e la verita’ NON sono la stessa cosa, e tra loro passa la differenza che c’e’ tra allucinazioni e realta’. Una notizia e’ esattamente come un’allucinazione: e’ vero che io vedo la tal cosa. Cosi’, se qualcuno ha intercettato le mie telefonate, puo’ essere una verita’ che io ho detto “Suor Germana mi ha fatto un pompino dentro il frigo”. Si tratta, di per se’ stessa, di una notizia, perche’  e’ vero che io posso dire una cosa simile al telefono. Tuttavia, che io lo abbia detto al telefono NON implica che sia vero. Cosi’, puo’ essere sicuramente vero che Berlusconi in una telefonata si sia vantato di fare scintille con la Carfagna; essa e’ sicuramente una notizia. Se tali vanterie corrispondano al vero, pero’, e’ da vedersi: Berlusconi potrebbe vantarsi di un sacco di cose che non ha fatto.

La differenza tra la notizia e fatto e’ proprio questa: il fatto e’ un fatto, mentre la notizia e’ la percezione del fatto. Se (1) davvero Berlusconi ha detto al telefono di aver ricevuto del sesso orale dalla Carfagna, il fatto e’ che Berlusconi lo abbia detto al telefono. La percezione del fatto , cioe’ la notizia, e’ che la Carfagna abbia fatto sesso orale col premier.

In questo senso, quindi, la differenza tra notizia e fatto e’ la stessa che passa tra allucinazione e realta’: chi se ne sta chiuso in una qualsiasi epidermide di dimensioni finite non ha modo di sapere se quanto vede sia vero o meno. Chi ha un’allucinazione non sbaglia nel vedere la tal cosa, perche’ in effetti la vede: sbaglia nel ritenere che sia vera. Il problema, quindi, non sta nella visione, ma nella classificazione della visione, che eleviamo a “fatto”. Elevare a fatto l’allucinazione e’ facilissimo, come dimostra il fatto che NESSUNO sino ad ora si e’ chiesto se davvero qualsiasi cosa si dica in una telefonata intercettata debba corrispondere al vero.

Cosi’, alla mia perplessita’ riguardante il fatto che non esiste nessuna “mano invisibile della stampa” che la obbliga ad essere la miglior stampa possibile solo perche’ ogni operatore e’ libero, si unisce la mia perplessita’ riguardo al fatto che la stampa NON ha tra i suoi obiettivi quello di riportare i fatti, ma quello di vendere notizie.

Il fatto che sulla libera stampa si stia facendo lo stesso errore che nel mercato fanno i liberisti fa pensare che ci troveremo di fronte agli stessi problemi che il libero mercato ci ha fatto conoscere.

Innanzitutto, il problema del mainstream, che e’ il  corrispondente dell’oligopolio. Una volta che una notizia e’ mainstream, riferirsi ad essa e’ un metodo molto sicuro per avere altre notizie: con ogni probabilita’ ogni giovane donna che sia stata fotografata dentro la casa di Berlusconi da ora in poi sara’ una escort, o meglio per la stampa sara’ facile trasformare la notizia “abbiamo fotografato la tale mentre andava in casa sua” in “orgia con la tale a casa di Berlusconi”.

Il secondo e’ il problema legato alle verita’ parziali. Se io mi azzuffo con un cane, lui morde me ed io per difesa mordo lui, il giornalista vedra’ la notizia in “uomo morde cane” ma non in “cane morde uomo”. In questo modo, si prende un fatto, cioe’ una zuffa furibonda a dentate, e la si trasforma in una nozizia “tal dei tali ha morsicato un cane”.

L’altro problema sono le mode e i gusti del cliente. Che cos’e’, di preciso, una “notizia”? Si dira’ che il concetto di notizia in qualche modo di ritagli sul concetto di “fatto”, ma non e’ detto che le cose stiano cosi’. L’idea che abbiamo di “vestito” si riferisce sicuramente ad un fatto, dal momento che un vestito e’ un’opera materiale facilmente quantificabile. Eppure, il concetto stesso di vestito non e’ rimasto costante nel tempo, e cio’ che oggi e’ chiamato vestito due secoli fa era appena sufficiente come lingerie molto scandalosa.

Cosi’, la notizia non e’ altro che un desiderata, cioe’ quello che un utente vuole leggere. Questo non significa che sia una buona notizia o meno: significa solo che in qualche modo leggere la tal notizia dia una qualche soddisfazione al lettore. Sui giornali italiani si vede sempre specificata la nazionalita’ dei piccoli delinquenti, per dire, perche’ l’italiano prova un qualche senso di sollievo nel pensare che in fondo il male viene da fuori, e la “sua” tribu’ e’ fatta, tutto sommato, da brava gente.

Il leghista trova una sottile soddisfazione in questa notizia perche’ essa sostiene le sue tesi, eccetera eccetera. Questa e’ la domanda, in termini di mercato. Ma si tratta di una notizia, non di un fatto.

Se davvero fosse rilevante fornire la nazionalita’ del delinquente per dare un’idea completa della notizia, a maggior ragione si dovrebbero fornire altri dati. Per esempio, se pensiamo che sia indicativo il legame tra crimine e nazionalita’, potremmo allora aggiungere un dato lavorativo: che so io, “disoccupato”. Oppure “analfabeta”.

La composizione della notizia partendo da un collage di fatti, invece, rende possibile costruire ad hoc qualcosa , un derivato dei fatti, che non e’ “i fatti”, ma un collage di fatti. La correlazione tra i fatti, che di fatto e’ il vero contenuto della notizia, diventa la “notizia”. Cosi’, il fatto che secondo alcuni esisterebbero delle intercettazioni nelle quali Berlusconi racconta i pompini della Carfagna sono diventate il fatto che tali pompini sarebbero avvenuti. Si sono presi dei fatti, “secondo alcuni esistono le intercettazioni” ” Berlusconi racconta”, per costruire la notizia dei pompini.

Cosi’, se anche fosse vero che esiste una “mano invisibile della stampa”, essa sarebbe capace al massimo di farci avere le migliori “notizie”, ma non “i fatti”.

Il vero problema, pero’, e’ quello di capire che cosa sia a questo punto la “migliore notizia”. Se torniamo all’analogia con il liberismo, nel caso del mercato si presumeva che il libero mercato sia capace , automaticamente, di trovare il migliore equilibrio possibile. Stabilire pero’ cosa sia “il migliore equilibrio possibile” non e’ semplice, per la semplice ragione che occorre creare una misura quantitativa dell’equilibrio.

Ma anche dando una misura del migliore equilibrio possibile, puo’ succedere che l’equibrio, anche se fosse stato quello ove tutti avevano piu’ ricchezze possibile, poteva non soddisfare alcuni principi. Per esempio, il fatto che la persona poco brava a fare abbia “piu’ soldi possibile” potrebbe essere considerato un problema per chi e’ estremamente meritocratico. Contemporaneamente , un sistema ove ai meno capaci sia dato meno ed ai piu’ capaci sia dato di piu’ potrebbe non piacere ai sostenitori dell’equita’ a tutti i costi, per i quali un minimo va garantito comunque.

Il risultato di tutto questo e’ che se anche fosse esistita la “mano invisibile del mercato”, capace di portare il mercato in un equilibrio “ottimale” sul piano quantitativo, non e’ affatto scontato che la societa’ risultante sarebbe stata felice dello stato raggiunto. Il fatto che le societa’ considerate piu’ “felici” contengano una certa quantita’ di welfare, cioe’ un meccanismo che esula e contraddice il mercato libero, ci dice proprio questo: se anche la “mano invisibile del mercato” fosse esistita sul piano della fisica, decidere quale sia l’economia migliore e’ materia di politica.

Cosi’, anche se fosse vero che una “mano invisibile della stampa” possa portare la stampa a darci la “migliore delle notizie possibili”, qualcuno ha la definizione di cosa sia la “migliore delle notizie possibili”? Qualcuno dira’ che il semplice racconto asettico dei fatti sia la cosa migliore da fare, ma si scontrera’ immediatamente con un semplice fatto: il fatto e’ unico. Dunque, se la stampa si rassegnasse alla mera descrizione dei fatti , un solo giornale sarebbe sufficiente, anche perche’ essendo unico il fatto, tutti i giornali direbbero la stessa cosa e sarebbero comunque identici. E allora, fine della libera stampa.

Caso secondo: la notizia e’ diversa dal fatto. In tal caso, decidere quale sia la “notizia” migliore e’, come nel caso del sistema economico, una decisione politica. Occorrera’ decidere quando una notizia sia “migliore” dell’altra, e non possiamo usare come criterio l’attinenza al fatto, dal momento che cadremmo nel paradosso del singolo giornale.

La pura e semplice verita’ e’ che non esiste alcun motivo per il quale la persona sia informata meglio laddove la stampa sia libera, ne’ esiste un motivo specifico per il quale anche se fornisse notizie “migliori possibile” saremmo certi di conoscere i fatti.

Cos’, la domanda e’: per quale motivo la stampa dovrebbe formare l’opinione pubblica? E specialmente, perche’ un sistema cosi’ assurdamente inconsistente dovrebbe avere il potere di violare la privacy dei singoli?

Prendiamo per esempio il caso Berlusconi vs Boffo. Boffo non e’ che sia un santo: durante il caso di Eluna , si era messo a paragonare il padre della ragazza al peggio che gli venisse in mente. A parte il fatto che la vicenda stessa della famiglia Englaro non era un fatto pubblico, la domanda e’ : perche’ si e’ permesso alla stampa di trattare il signor Englaro come se i suoi diritti non esistessero? Dopotutto, la legge vigente sulla privacy vieta la diffusione di dati sensibili sulla salute.

Lo dico perche’ nell’invadere la privacy di berlusconi ci si e’ attaccati al fatto che Berlusconi sia un “personaggio pubblico”. Definizione interessante, che potrei girare su Boffo. Ma a questo punto urge procedere con la nostra progressione: Eluana e suo padre erano personaggi pubblici?

La risposta e’ che, come Boffo (2), Eluana e suo padre sono diventati personaggi pubblici. E lo sono diventati nel preciso momento in cui il pubblico ha voluto sapere cose che altrimenti non avrebbe potuto sapere: il mio stato di salute e’ rigidamente protetto da una normativa vigente. Nessuno puo’ raccogliere dati sulla gente che sta dentro un polmone d’acciaio senza il dovuto consenso, tantomeno diffonderli.

Quello che vediamo e’ che la stampa viola la vita privata di chiunque adducendo la scusa che si tratti di personaggi pubblici, ma nello stesso tempo, e’ la stampa a decidere chi sia un personaggio pubblico e chi no. Il che, in soldoni, ne fa un ente dotato di un potere assoluto.

Cosi’, ci troviamo in un bellissimo loop: prima gridiamo che chiunque potra’  violare la vita privata dei personaggi pubblici , poi scopriamo (come nel caso di Eluana) che un povero disgraziato dentro un polmone d’acciaio puo’ diventare un personaggio pubblico (e nessuno ha mai chiesto agli Englaro se si siano divertiti cosi’ tanto) se soltanto i riflettori puntano su di loro.

Cosi’, e’ necessaria una decisione politica. Come per il mercato, non possiamo fidarci del fatto che la semplice liberta’ degli operatori porti automaticamente alla situazione migliore, che esista cioe’ una “mano invisibile della stampa”. Come per il mercato, dobbiamo decidere in sede politica quale sia l’equilibrio migliore possibile, e da qui procedere con delle norme che ci garantiscano il miglior equilibrio possibile.

Non possiamo lasciare in mano al medesimo operatore la liberta’ di decidere che si possa violare la vita di una persona perche’ “e’ un personaggio pubblico” e contemporaneamente il potere di decidere chi sia pubblico e chi no. Se accettiamo che la stampa possa violare la vita dei personaggi pubblici, allora si tolga alla stampa il diritto di decidere chi sia un personaggio pubblico, si nomini un’autorita’ politica che lo decida, e da quel momento loro sono pubblici e gli altri no. Oppure, si permette alla stampa di decidere chi sia il personaggio pubblico e chi no, ma si limita il potere che la stampa ha su di noi tutti.

Non e’ accettabile che in nome di una liberta’ di stampa cui e’ attribuito arbitrariamente  il magico potere di darci i fatti, una stampa che al massimo puo’ fornire notizie abbia il potere di decidere che qualcuno e’ un personaggio pubblico sbattendolo in prima pagina, e in virtu’ di questa decisione si erediti il diritto di fare cio’ che si vuole della vita della vittima.

Non mi fido di una stampa simile, e piuttosto di un simile tiranno senza limiti preferirei vivere sotto il governo di un tiranno con dei limiti, ovvero sotto un governo che imbavagli la stampa ma dipenda da me per il voto. Perche’ i giornalisti non li ho eletti io. Ma possono distruggere la mia vita semplicemente sbattendomi in prima pagina per fare di me un personaggio pubblico, e in nome di questo attribuendosi il diritto di invadere la mia vita.

Per come la vedo io, stappo una bottiglia ogni volta che un giornalista viene ammazzato dallo stato in qualche punto del mondo. Io non so che cosa abbiano fatto di male per meritare la morte, ma sono convinto che loro lo sapessero. E comunque posso azzardare un’ipotesi: sono morti perche’ avevano troppo potere.

Capita.

Uriel

(1)Ammesso che tali intercettazioni esistano.

(2) Se avessimo chiesto agli italiani chi fosse il direttore di Avvenire, il 95% degli intervistati sarebbe caduto dalle nuvole.

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