La nuova colonna infame.

Mentre riflettevo sulle notizie che vengono dalle borse, mi stavo chiedendo se stiamo valutando con accuratezza quello che accade ai mercati. In particolare, un post che ho letto mi vuole focalizzare su un errore che spesso si commette nel valutare i mercati: l’ assunzione di scleronomia.

L’assunzione di scleronomia del mercato, ovvero l’indipendenza del processo di domanda-offerta dal tempo, nonche’ la mancanza di vincoli olonomi a guidare il meccanismo, e’ la cosa che a mio avviso distorce la percezione che ne abbiamo.

Nel discorso di Eugenio, per esempio, si fa un’affermazione pesante: se il prezzo del petrolio sale, allora diventeranno interessanti pozzi che oggi sono considerati poco redditizi.

Questo sarebbe vero in un sistema scleronomo, perche’ il meccanismo di domanda/offerta non avrebbe vincoli olonomi, ma nel mercato finanziario ogni resa dipende ed e’ proporzionale da rischi che si corrono nel tempo.

Insomma la componente olonoma c’e’: per esempio il meccanismo dei “futures”. Il petrolio oggi si compra, in consistente parte, mediante il meccanismo dei futures: il future non e’ altro che un meccanismo dilazionato. Acquistando un future sul petrolio mi assicuro il diritto di avere il petrolio, diciamo ad un anno se parlo di future ad un anno.

Il guadagno che si ha comprando futures e’ , nei mercati moderni, compensato da un rischio, il rischio cioe’ che tra un anno il petrolio costi meno e io lo abbia pagato troppo.

Ma c’e’ anche un rischio: il rischio che il petrolio costi troppo e che nessuno voglia i futures. Non che nessuno voglia il petrolio: che nessuno voglia i futures perche’ non cresceranno piu’.

E’ abbastanza chiaro che questa olonomia del mercato porta il sistema ad una situazione di inseguimento: il prezzo reale tende a seguire l’andamento dei futures, ed il meccanismo e’ cosi’ noto che gia’ nel 2005 potevo prevedere come sarebbe finita. Non perche’ io sia un genio: sapessi fare previsioni di borsa a due anni non sarei qui ;  semplicemente perche’ si tratta di caratteristiche ovvie del mercato, se soltanto si abbandona l’assioma (inventato) di scleronomia del meccanismo domanda-offerta.

Ma l’olonomia del meccanismo produce altri effetti che non si prendono in considerazione: oggi a comprare futures sul petrolio apparentemente il rischio e’ basso: se pero’ il prezzodei futures crescesse troppo, si rischia di raggiungere un “ceiling” del prezzo, cioe’ un prezzo oltre il quale non solo c’e’ il rischio di ribasso, ma il prezzo oltre il quale le alternative (a livello di futures) diventano piu’ attraenti.

Sia chiaro: non sto dicendo che OGGI convenga di piu’ comprare alcool che comprare petrolio: comprare alcool e comprare petrolio sono azioni scleronome, si fanno a bocce ferme e si paga il prezzo , punto.

Io sto parlando di comprare futures, cioe’ di eseguire un’operazione finanziaria olonoma, nella misura in cui la resa dell’operazione (la rivendita dei futures a chi effettivamente vuole il vero petrolio nel barile, una spece di bagarinaggio) dipende anche dal tempo.

Il problema non e’ quindi comprare o non comprare alcool o petrolio, il problema e’ comprare o non comprare futures e bond di aziende che fanno alcool e futures o bond di aziende che fanno benzina, cioe’ di valutare gli effetti di un’operazione olonoma a tutti gli effetti.

Per questa ragione NON concordo con Eugenio: se il petrolio superasse i 150 dollari al barile, sarebbe difficile che cresca ancora, indi anche se il petrolio in se’ venisse comprato, verrebbero abbandonati i bond e i futures delle aziende petrolifere, perche’ sarebbe improbabile che possano crescere, e specialmente sarebbe improbabile che crescano meno di altre aziende.

C’e’ , per dirla da sistemisti, un layer in piu’ che introduce il tempo come variabile.

Ora, se il petrolio crescesse ancora, cosa succederebbe? Succederebbe che diminuirebbe la probabilita’ che i futures crescano ancora e aumenterebbe la probabilita’ che crescano quelli delle biomasse, i bond delle aziende che si occupano di biocompatibilita’ e risparmio(1), eccetera.

Di conseguenza, gli investimenti si sposteranno , paradossalmente, su futures e bond di altre aziende, lasciando senza rifornimento di liquidi -per investimenti a rientro- proprio le aziende del settore petrolifero.

Questo non porterebbe affatto a considerare piu’ attraenti i pozzi meno redditizi, anzi: poiche’ per sfruttarli occorrono soldi (nuovi investimenti) e i soldi arrivano coi bond e i futures, se tutti stanno investendo altrove, con ogni probabilita’ quei pozzi verrebbero sigillati.

In pratica, l’errore consiste nel non considerare i DUE mercati: uno e’ quello, effettivamente scleronomo, delle merci in se’. Il prezzo della benzina al distributore , oggi, e’ il prezzo di oggi.

Il secondo mercato e’ quello olonomo, nel mondo della finanza, ove il prezzo dei futures di oggi e’, di fatto , una scommessa sul loro prezzo tra un anno.

Il mondo del lavoro e dei consumi e’ sensibile normalmente al primo mercato, mentre il mondo degli investimenti (cioe’ delle grandi decisioni) e’ sensibile al secondo dei due.

Fin qui abbiamo parlato del mondo olonomo della finanza, proviamo a capire cosa succedera’ in quello scleronomo dei prezzi al consumo e alla produzione.

Un’altra delle cose che si valutano poco quando si parla di “economia dell’alcool” e’ la prospettiva temporale della situazione.

Agli inizi del secolo scorso, il 95% della popolazione italiana lavorava nel settore dell’agricoltura. Il rimanente 5% era distribuito fra industria e servizi.

Nel dopoguerra la situazione e’ cambiata sino ad avere un 20.1% nell’agricoltura , un 39,5% nell’industria, un 40.4% nei servizi. Stiamo parlando, secondo ISTAT, del 1971.

E’ il risultato della prima rivoluzione industriale (arrivata in Italia con due secoli di ritardo, ma va bene): lo spostamento della forza lavoro verso le industrie e i primi servizi per le industrie: qualcuno dovra’ pur scrivere il bilancio delle industrie.

Poi si arriva al mondo moderno, cioe’ la seconda rivoluzione industriale, con il seguente dato ISTAT riferito al 2001:

Agricoltura 5.2%
Industria  31.8%
Servizi 63%

Questo e’ il mondo attuale: pochissimi contadini, un terzo di lavoratori dell’industria, il resto nei “servizi”: quello che viene chiamato abitualmente “il mercato senza lavoro”: nel mondo dei servizi pochissimi possiedono i mezzi di produzione, i sindacati non esistono, il lavoro e’ parcellizzato e distribuito con un turnover altissimo.

Quanto costa in termini storici, l’arrivo dei biocarburanti?

Costa perlomeno la seconda rivoluzione industriale: e’ chiaro che il 5% dell’agricoltura sia troppo poco, e non e’ neanche detto che tutto possa venire esternalizzato: l’aumento di prezzi di una risorsa come la biomassa la rendera’ piu’ attraente anche qui, siamo nel mercato scleronomo ove la situazione in un tempo t non dipende dal tempo t1.

Quello che ci aspetta e’ un gigantesco trasferimento di risorse umane dal mondo dei servizi a quello dell’agricoltura (e marginalmente a quello dell’industria perche’ le piante non danno alcool direttamente).

Stiamo cioe’ per invertire il motore della storia economica occidentale: distruggeremo una consistente fetta dell’economia della carta, di quel mondo fatto di servizi, nome sotto il quale sempre piu’ spesso si nascondono dei semplici passacarte.

Il lavoro sta per tornare centrale, o comunque meno marginale: il turnover non e’ praticabile nel mondo dell’agricoltura, e la proprieta’ terriera non si sposta cosi’ facilmente come un servizio in asp.

E’ facile prevedere che verranno svuotati proprio quei settori marginali e precarizzati del mondo dei servizi, e che molta finanza dovra’ farsi una ragione dell’idea di pagare le cose quel che costano.

La contrazione del mercato del lavoro verso settori piu’ stabili e poco ristrutturabili (come l’agricoltura) o settori “keynesiani” come l’industria della trasformazione delle biomasse non potra’ non avere un effetto che cominciamo a vedere sulle borse:

la borsa e i servizi finanziari stessi non sono altro che quel terziario che stiamo per svuotare, o che prevedibilmente perderanno potere e volume in quanto tali.

E’ inutile analizzare i motivi dello sboom dei mercati di questi giorni: i subprime sono un sintomo; del resto se la popolazione (e relative attivita’ lavorative) dovesse spostarsi fuori citta’ per occupare le campagne, quanto tempo reggeranno i “big” dell’immobiliare?

Ha senso occuparsi dei subprime mentre si mette in moto un meccanismo storico di queste dimensioni?

Ha senso attribuire l’instabilita’ dei mercati alle perdite di alcuni fondi, o ai costi della valuta, se gli stessi mercati stanno per perdere il 60% del proprio volume finanziario a favore di settori “tradizionali” come industria o agricoltura?

Di certo, se dovessi dare un consiglio da qui a DUE ANNI, direi “state lontani dalle borse e dalla finanza”.

E non badate alla nuova colonna infame. Il futuro e’ fatto di lavoratori dei servizi che abbandonano quel mercato per darsi all’agricoltura o alle nuove industrie “verdi”. E’ fatto di gente che abbandona citta’ costose ed invivibili per andare in campagna. E’ fatto di crolli immobiliari delle citta’ e crescita di valore della terra. E’ fatto di aziende agricole che acquistano valore col numero di dipendenti e con la quantita’ di terra che coltivano.

E’ fatto di svuotamento delle borse, di de-urbanizzazione, di ritorno del lavoro.

Precari, presto, saranno loro.

Uriel

(1) La stragrande maggioranza delle quali nel Nord Europa e in Sudamerica. La crescita dell’Euro non dipende solo dai tassi di interesse.

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