La festa e’ finita.

La trasformazione economica che stiamo vivendo non e’ l’apocalisse. E’ semplicemente la trasformazione che in Italia abbiamo sembre cercato di evitare, ovvero la trasformazione di un’economia basata sui costi ad un’economia basata sulla produttivita’. Le difficolta’ che stiamo attraversando sono dovute ad un semplice fenomeno, ovvero il fatto che se cambia l’ambiente solo chi e’ adatto sopravvive. Vediamo di fare un esempio.

 

Se avete seguito la vicenda FIAT sui due giornali che riportano il pensiero di marchionne (La Stampa e Il Sole: come dire che per capire il CEI bisogni leggere Avvenire) , avrete notato una cosa molto semplice: Marchionne non chiede di abbassare i salari.

 

Questo non e’ tipico delle economie basate sulla riduzione dei costi, bensi’ e’ tipico delle economie basate sul’indice di produttivita’. Qual’e’ il conto economico che sta facendo Marchionne?

 

Il conto e’ semplice: col livello di Salari di Pomigliano, perche’ si possa produrre Panda in quella fabbrica occorre produrne 250.000/anno. Possiamo prendere questa semplice affermazione e splittarla in due o tre parti:

 

  1. Occorre che questa cifra sia proprio quella. Le previsioni di vendita sono quelle, e non si puo’ lasciare il cliente senza prodotto.
  2. Occorre che la fabbrica sia una sola, altrimenti i costi lievitano perche’ ogni fabbrica necessitera’ di logistica, trasporti, contabilita’, infrastruttura dedicata, eccetera.
  3. Il livello di qualita’ deve essere abbastanza alto da permettere alle Panda prodotte li’ di essere vendute nei mercati di tutto il mondo, anche i piu’ difficili.

Questo significa entrare nel mondo dell’indice di produzione: occorre investire 700 milioni perche’ la fabbrica possa produrre, addestrare il personale alle nuove automobili e ai nuovi impianti, e occorre che la fabbrica sia operativa, su turni, giorno e notte. In queste condizioni, anche i salari italiani permettono di produrre.

Si tratta del primo esempio di calcolo economico basato sull’indice di produttivita’, e non semplicemente sul rapporto tra spese e pezzi prodotti. Perche’ dico cosi’?

 

Se fossimo ancora nel vecchio mondo  basato sul rapporto tra spese e costi, la scelta sarebbe stata ovvia: produrre in qualche baracca cinese.In un mondo basato sui costi, le cose sarebbero andate diversamente, ovvero come sono andate sino ad ora in Italia.

 

  1. Se la cifra non e’ di 250.000, affiancheremo a Pomegliano un’altra fabbrica, chiedendo aiuti allo stato.
  2. Se la fabbrica non e’ una sola, pazienza: chiederemo allo stato di partecipare alla costruzione di un’altra fabbrica, che ci costera’ meno.
  3. Se la qualita’ non e’ quella di sempre, pazienza: lo stato contribuira’ ai costi abbastanza da rendere comunque vantaggioso il prezzo del veicolo.
 Questo era il vecchio andazzo di FIAT. Per aziende incapaci di chiedere soldi allo stato, invece, era una cosa fatta cosi’:
  1. Se la cifra non e’ di 250.000 , chiederemo  a qualcun altro di produrci le auto che mancano, magari un cinese che ci vende manodopera e schiavi pagati due euro al giorno.
  2. Se quella fabbrica non basta, ne apriremo due in cina, o in Polonia, tanto quelli non guadagnano niente.
  3. Se la qualita’ non e’ quella di sempre, beh, con gli schiavi a due euro al giorno ci guadagnamo lo stesso.
Qual’e’ la differenza dell’approccio? Che il conto economico basato sull’indice di produttivita’ evita il conflitto con i sindacati, ed evita il social dumping, semplicemente chiedendosi quanto deve produrre una fabbrica per sostenere i propri costi. In pratica, quello che fa l’imprenditore non e’ chiedersi quali costi debba sostenere per guadagnare col prodotto, ma chiedersi quanto e quanto bene deve produrre per sostenere quei costi.

 

Adesso andiamo ai punti chiave. Perche’ questo approccio si sta affermando sugli altri, e perche’ questo approccio si e’ incagliato in Italia.

 

Se andiamo a vedere per quale ragione questo approccio sia vincente, i vantaggi rispetto agli altri approcci sono evidenti.

 

Rispetto al tradizionale approccio fiat, basato sul “male che va c’e’ il governo che paga”, il vantaggio e’ innanzitutto che non bisogna trattare col governo, ungere ruote, avere a che fare con tutte le trafile politiche, e specialmente coi tempi della politica. Inoltre, permette di lavorare su indici di qualita’ migliori.

 

Marchionne non e’ andato, come si faceva prima, ad incontrare i sindacati dentro la grande cattedrale dello stato. Ne’ a chiedere aiuti di stato per Pomigliano.Ha semplicemente bypassato la trafila politica rendendo pubblico il suo progetto e trattandolo coi sindacati.

 

Rispetto al secondo approccio, detto “la capanna dello zio tom”, il piu’ seguito dalle PMI schiaviste, il grande vantaggio e’ che non vai a toccare gli stipendi al ribasso, ma con i lavoratori vai a trattare l’output, ovvero la cifra di automobili che deve uscire dalla fabbrica.

 

Rispetto all’approccio capanna dello zio tom questo approccio ha il vantaggio di poter progettare sia la qualita’ che la quantita’, e quindi di poter gestire contratti a medio e lungo termine (prenotazione di materie prime, gestione dei fornitori, etc) molto meglio del negriero che ha tot schiavi sottopagati i quali daranno qualita’ quando possono, dentro strutture fatiscenti e non aggiornate, e che non puo’ programmare proprio nulla perche’ si basa su un’infrastruttura non stabile.

 

E’ quindi del tutto verosimile pensare che questo approccio all’industria  , che gia’ e’ diffuso nel resto del mondo industrializzato moderno, si affermi anche in Italia, nel prossimo futuro.

 

Le aziende che non lo adotteranno sono destinate a chiudere. Sono destinate a chiudere per diverse ragioni. La prima e’ che se ti basi sulle spese non puoi pianificare nel tempo. Quando Marchionne dice che con il costo della manodopera attuale deve produrre almeno 250.000 auto , sta facendo una previsione nel tempo. Potra’ contarci sino a quando, perlomeno, saranno prodotti i primi 250.000 veicoli.

 

Il negriero che si limita a calcolare quanto debba abbassare i costi per avere un certo margine di contribuzione, invece, non si preoccupa ne’ delle quantita’ ne’ delle quantita’. Del resto, non deve. Ma cosi’ facendo, corre sia il rischio di avere un’azienda incapace di soddisfare le richieste del mercato, sia di avere un’azienda troppo grande per il prodotto che effettivamente sfornera’.

 

Ma se MArchionne progetta di ottenere tot macchine in un anno, ha un altro enorme vantaggio: sa per quando le puo’ promettere alla catena di distribuzione, cosa che il negriero non sa. Non lo sa perche’ il negriero si rivolge ad un mercato del lavoro estremamente variabile, poco addestrato, ad una infrastruttura obsoleta, eccetera.

 

Sul piano dell’affidabilita’ dell’infrastruttura, chi progetta l’infrastruttura produttiva pre-determinando ‘output e mettendolo a contratto, e’ in vantaggio sul piano commerciale molto piu’ di quanto non lo sia chi si limita ad abbassare le spese senza poter prevedere l’output dell’azienda. Il ritorno di investimento e’ noto, per il semplice motivo che conosciamo l’output.

 

E’ inutile avere dei pezzi pronti per una data che non sai di preciso, ad un costo che non conosci di preciso , perche’ spesso i contratti non prevedono ritardi. Ed e’ inutile andare di fronte agli azionisti dicendo che non sai se potrai onorare gli ordini.

 

Quello che Marchionne deve fare e’ andare dagli azionisti a dire “con 700 milioni di euro metteremo questa fabbrica in grado di produrre tot auto in tot tempo. Il ricavo previsto sara’ tot”. Al contrario, il negriero non puo’ farlo, deve vivere alla giornata: deve andare dal cliente a trattare il prezzo perche’ non sa quanto gli costi il prodotto di preciso, a seconda della scala. Tutto e’ affidato al suo intuito, e alla sua fortuna, e alla speranza di lavorare su un margine di contribuzione cosi’ alto da sopportare le oscillazioni.

 

In altre parole, il vantaggio in termini di pianificazione del conto economico basato sulla produttivita’ e’ tale da superare gli svantaggi dovuti al costo del lavoro. Non c’e’ al mondo negro abbastanza negro in termini di  basso reddito  da rendere competitiva una fabbrica che lavori seguendo questo approccio.

 

Questo e’ il motivo per il quale non si e’ messo in discussione il salario, ma solo l’output della fabbrica: l’assenza di scioperi, il ciclo di lavoro continuo, eccetera.

 

E qui siamo al punto Italiano. Ne’ i sindacati italiani ne’ i lavoratori ne’ moltissimi industriali (e mi riferisco ai fornitori) sono abituati a discutere in questi termini. MArchionne per esempio e’ ingenuo se pensa che i fornitori locali di Pomigliano , se anche riuscisse a creare una fabbrica senza tempi morti, sarebbero capaci di rispettare i tempi di fornitura con precisione.

 

Il problema FIAT, quindi, impatta contro una gigantesca obsolescenza che riguarda prima di tutto i sindacati, ma anche tutto il resto del mondo industriale.

 

  • Affermare che una fabbrica possa lavorare a ciclo continuo (come le fabbriche di tutto il mondo) significa accordarsi coi sindacati per avere lavoratori puntuali e aggiornati.
  • Affermare che una fabbrica possa lavorare a ciclo continuo (come le fabbriche di tutto il mondo) significa accordarsi coi fornitori per avere ricambi e parti puntuali e di qualita’.
Il primo punto lo abbiamo visto all’opera: il sincacato, obsoleto ed ottocentesco, non e’ nemmeno riuscito a fornire una proposta decente per garantire a FIAT l’output, ovvero il numero di auto, delle quali ha bisogno. FIAT chiede che tot auto escano da quella fabbrica, ovvero che la fabbrica lavori a ciclo continuo. Fine. Sta trattando l’output della fabbrica.

 

Qual’e’ la proposta dei sindacati per fare si’ che la fabbrica produca tanto? UIL e CISL hanno accettato quella di FIAT, FIOM no.

 

Ma al di la’ del “NO”, che cosa propone FIOM perche’ Pomigliano produca 250.000 auto ? Non si capisce. Del resto, FIOM e’ cosi’ antiquata che non sa parlare la lingua della produttivita’. Si tratta di un sindacato ottocentesco che pensa di poter vivere in eterno contando i minuti di pausa pranzo.

 

Tutto quello che FIOM sta facendo e’ parlare di diritti, ma di quali diritti sta parlando FIOM? La generazione attuale , fatta di precari, cocopro e stagisti, quei diritti non li vedra’ mai. E neanche quelli che sono nelle PMI, dove i sindacati si guardano bene dall’entrare, oggi feudo leghista.

 

Cosi’, FIOM tratta di alcuni rituali ottocenteschi praticabili solo tra gli statali e alcune grandifabbriche costruite dallo stato , o coi soldi dello stato, allo scopo di dare lavoro.(1)

 

Anche dal lato degli industriali, pero’, la cosa non andrebbe meglio. Si dice che Pomigliano abbia un indotto, ed e’ vero. Ma le aziende dell’indotto sono capaci di supportare una fabbrica che ha bisogno di rifornimenti puntuali? No.

 

Si tratta in gran parte di baracche basate sul vecchio concetto di rapporto tra costi e fatturato, e come tale non si tratta di fabbriche capaci di promettere output: il rapporto tra costi e fatturato non permette di fare previsioni sulla quantita’ ne’ sui tempi.

 

Oggi, pero’, il mondo e’ cambiato. Viviamo in un mondo economicamente multipolare ed e’ questo che sta segnando i tempi del declino del mondo del lavoro italiano.

 

Le aziende italiane ragionano ancora in termini di spesa/fatturato. Il che significa che sono sempre piu’ in difficolta’ a fornire le aziende straniere, che da tempo ragionano in termini di produttivita’.

 

Il sindacato italiano  ragiona ancora in termini di “padroni e operai”, e si presenta ai tavoli senza proposte su come raggiungere i livelli di produttivita’ richiesta, ma solo  con astruse teorie del secolo scorso, con retoriche ottocentesche, le quali discutono i minuti di mensa, ma mai che cosa il lavoratore debba produrre.

 

A Marchionne non frega un cazzo se il lavoratore lavora 80 ore in piu’ o meno. Per quanto vale, se il lavoratore produce quell’output che gli e’ richiesto, se e’ capace di farlo in 20 ore gli va bene lo stesso. Il problema di Marchionne e’ che da una singola fabbrica che costa X escano Y macchine in un tempo Z. Fissati i costi, e quindi senza discutere del salario, il termine della discussione e’ il prodotto.

 

La FIOM ha qualcosa da dire , per garantire che da quella fabbrica escano tot macchine? No. Non ce l’ha. La FIOM ha gioco facile a decidere che tale giorno si sciopera: puo’ decidere  o GARANTIRE invece che tale obiettivo produttivo venga raggiunto? La risposta e’ NO.

 

In definitiva, la misura della crisi di occupazione italiana e’ dovuta al fatto che il rapporto commerciale e’  l’unico a garantire output. E come tale viene usato. Al cocopro, come alla nostra partita iva, possiamo chiedere di garantirci che il prodotto venga consegnato per la tale data, altrimenti non paghiamo.

 

Ma non ci sarebbe bisogno di queste figure se il sindacato la smettesse di assomigliare ad una macchietta da film e iniziasse a garantire che , fatto l’accordo, gli obiettivi di produttivita’ vengano raggiunti.

 

In questi giorni, il mio capo mi sta chiedendo di mandare online 500.000 utenti olandesi nelle prossime settimane, in due ondate. Bene. Se io scrivo degli script con dei cicli for che applicano le nuove configurazioni e lo faccio in cinque minuti, o lavoro giorno e notte, al mio capo frega zero.

 

Io ho una pila di task da portare a termine in un giorno. Che io mi sia scritto degli script per farlo o meno, sono affari miei. Lui vuole vedere che gli utenti sono online e che fatturano. Punto. Se io, come sono uso fare, mi scripto tutto quanto, e poi scrivo sul blog , a lui frega zero. Fino a quando continuero’ a dargli il “Deliverable” che lui chiede, in termini di qualita’ e quantita’, per lui posso anche farlo usando facebook.

 

Ora, immaginate che arrivi qui una ipotetica RSU(2) e si metta a trattare col mio capo dei miei minuti di pausa o dei miei tempi di lavoro. Probabilmente si sentirebbe rispondere “I couldn’t care less”. Ed e’ vero: non mi controllano gli orari, ma solo i risultati.

 

Questo significa che la principalre caratteristica di me, in termini di metrica, che li spinge a pagarmi il pane, i viaggi dall’italia e la casa qui sta nel fatto che se mi dicono di fare qualcosa, avranno quella cosa. Affidabilita’.

 

Ed ecco il punto. Le domande che dobbiamo porci sono in termini di affidabilita’: se il mondo passa  ad una visuale basata sull’indice di produttivita’, chi garantisce l’affidabilita’ del lavoro? Quello che si chiede e’ che:

 

  1. I fornitori consegnino sempre in tempo.
  2. I lavoratori facciano quanto previsto in tempi previsti.
  3. Il sindacato rispetti gli accordi fatti, “facendosi garante” anche della produzione.
In qualche modo, in Germania questo obiettivo si e’ parzialmente raggionto, e quindi i tedeschi riescono ad esportare come pazzi pur avendo dei livelli di reddito enormi. In Italia questo e’ possibile? Le difficolta’ sono:

 

  1. Il fornitore italiano e’ spesso impreciso, pianifica poco e pensa che il prezzo sia tutto. Quando arriva in ritardo pensa ancora di ovviare con uno sconto, senza rendersi conto di aver fermato la produzione di uno stabilimento piu’ grande.
  2. Il lavoratore italiano e’ spesso molto attaccato alla cifra del contratto in termini di minuti per il cesso, orari, eccetera, segue i processi in maniera burocratica, si ferma se qualcosa va storto, passa la palla e la responsabilita’ ad altri sedendosi e fermando il processo.
  3. Un accordo col sindacato e’ carta straccia. Anche accordandosi con la FIOM per qualcosa, domani scenderanno in sciopero comunque, con qualche altro pretesto. Lo sciopero di mirafiori “per solidarieta’” , proprio mentre giovava la nazionale , e’ un esempio. Gli accordi della fabbrica di Mirafiori coi sindacati locali sono stati rispettati? No.
Del resto, in che modo un accordo con FIOM avrebbe valore, se anche accordandosi per non scioperare piu’, domani FIOM sciopererebbe comunque per solidarieta’ a qualsiasi altra vertenza, o perche’ la CGIL ha fatto uno sciopero contro il governo?

 

Questi sono i nodi sul tavolo della nostra economia industriale: avere fornitori affidabili, lavoratori affidabili, sindacati affidabili.

 

Sui fornitoriaffidabili ancora non sappiamo, molti lavoratori si sono impegnati (65%) a fare quanto richiesto, ma il 35% e’ troppo e puo’ ancora fermare la fabbrica, FIOM ha fatto la solita figura del sindacato italiano, che per sindacato intende sciopero, sciopero, sciopero. Sciopero per solidarieta’, sciopero per la partita, sciopero per tutto.

 

E quindi, il destino e’ gia’ scritto: solo chi riuscira’ a garantire affidabilita’ nel lavoro e nelle consegne sopravvivera’. E oggi l’unico modo di ottenerlo, con un sindacato inaffidabile, e’ di avere il cocopro pagato solo se consegna, la partita iva pagata solo se consegna, eccetera.

 

Non per nulla, e’ stato Treu a inventare il precariato: senza di esso, la riforma del lavoro avrebbe riguardato tutti i lavoratori e cambiato le regole sindacali per tutti. Cosi’ facendo, invece, abbiamo lavoratori che discutono i turni e i minuti per il cesso e precari che lavorano tempi qualsiasi senza alcuna regola.

 

MA i primi, almeno sostengono ancora il vecchio, obsoleto sindacato. Il che era quello che Treu voleva.

 

Quindi, i precari non si aspettino aiuti dai ssindacati italiani. Essi pagano il prezzo che il sindacato ha dovuto pagare per poter vivere, vecchio e obsoleto come sempre, nelle grandi realta’.

 

Senza il precariato, si sarebbe dovuto discutere tutto, per tutti i lavoratori. E un sindacato obsoleto sarebbe morto. Cosi’, il sindacato sopravvive, e le esigenze produttive le soddisfano i precari.

 

Tranne alcune riserve indiane come Pomegliano. Che stanno chiudendo.

 

The party is over.

 

Uriel

 

(1) Quando la gente si lamenta che lostato abbia dato soldi a FIAT, dovrebbe ricordare che con quei soldi si sono mantenuti dei “lavoratori” che altrimenti non avevano la piu’ pallida chance di avere un lavoro.

 

(2) Non sono iscritto a nessun sindacato, in italia.

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