Irlanda e numeri.

Quando si parla di biodiversita’, i sostenitori arrivano sempre con una affermazione che SEMBRA avere senso, ma decade quando si prova a esaminare un caso reale e ad applicare le loro teorie. Una delle piu’ citate -almeno a giudicare da quel che vedo- eventualita’ a “sostegno” della teoria, e’ la storia della carestia delle patate in Irlanda. La quale, se ci mettiamo dei numeri, non sembra sostenere molto la teoria della biodiversita’.

Quando avvenne la carestia l’ Irlanda era in condizioni economiche e logistiche difficilissime. Visto dal punto di vista logistico, il disastro e l’incompetenza erano evidenti. Le code erano inesistenti (1) e male organizzate, e le scorte non erano affatto gestite(2). http://it.wikipedia.org/wiki/Grande_carestia_irlandese_%281845_-_1849%29

I cereali e i latticini  andavano tutti verso le(a) citta’ e i contadini vivevano di una monocoltura, la patata, che coltivavano in loco facendo scorte a brevissimo termine. Non esisteva un censo delle coltivazioni e non esisteva logistica.
Ad un certo punto succede che arriva un’epidemia che rende immangiabile la patata, colpendo -secondo Wikipedia- dal 33% al 50% delle colture. Siccome i contadini avevano la patata come fonte principale di carboidrati, il risultato fu la morte per fame di migliaia di contadini irlandesi, in una carestia alimentare che duro’ circa 4 anni.
I sostenitori della biodiversita’ sono dei grandi sostenitori dell’idea che, se avessimo diversificato la patata , le specie di patata e una o due specie fossero state resistenti alla malattia, allora le cose sarebbero cambiate. Apparentemente il ragionamento fila, ma se mettiamo i numeri inizia a cascare.
Per prima cosa, il dato della moria va dal 33% al 50% delle colture. Ora, se il dato fosse del 33%, anche TRIPLICANDO il numero di specie di patata, non avremmo cambiato di molto le probabilita’ che una pandemia globale ottenga lo stesso risultato. Se invece il dato fosse stato del 50%, triplicarle avrebbe ridotto il rischio, ma DUPLICARLE sarebbe stato inutile.

MA possiamo mettere i numeri: all’epoca l’agricoltura irlandese era suddivisa in cinque grandi tipologie produttive, che avvenivano in cinque zone diverse. Duplicarle voleva dire passare a dieci zone produttive diverse, triplicarla passare a quindici. E questo con contadini semianalfabeti e con un mercato ai limiti della sussistenza e una nazione delle dimensioni dell’ Irlanda. Divertente. Forse per i biologi ha senso.Tacito , pur con competenze di qualche millennio prima, avrebbe riso per giorni di una simile idea.

Ma adesso andiamo al problema: perche’ stiamo dando per scontate alcune cose. Per esempio stiamo dando per scontato che se moltiplichiamo per n i tipi di piante, allora il rischio diminuisca di n. Ma questo non e’ vero. Non e’ vero perche’ noi non sappiamo quale malattia sta per arrivare. Allora, se arriva una ignota malattia in un insieme di cardinalita’ k, e noi abbiamo n varieta’ di piante, di cui qualcuna e’ immune e qualcuna no (e per semplificare non elenco le resistenze parziali) , la quantita’ di colture che dobbiamo fare per avere qualche sicurezza e’ la situazione in cui:
  1. C’e’ almeno una varieta’ resistente ad una delle k malattie.
  2. Ogni varieta’ coltivata e’ coltivata in quantita’ capaci di sfamare la popolazione per un anno.
  3. Ogni varieta’  e’ coltivata in quantita’ capaci di garantire la semina nel caso di una conversione totale della produzione.
Cosa significa? Significa che io semino le patate nell’anno X, e -solo qualche mese dopo- mi accorgo che il raccolto e’ infetto. A questo punto NON SONO PIU’ in tempo per seminare ancora , e ormai il mio raccolto e’ perso.
Quello che devo fare, a quel punto, e’ sperare che il mio vicino di casa abbia una varieta’ resistente, e che ne abbia piantate abbastanza da garantirmi di vivere quest’anno e di seminare anche io la stessa varieta’ l’anno prossimo.
In definitiva, quindi, se seminiamo n varieta’ per resistere a k malattie, ovvero poniamo n >= k, e ci dobbiamo sfamare X persone, e ci serve una frazione Y per la semina, perche’ funzioni la biodiversita’ dobbiamo produrre il fabbisogno di X persone piu’ la semina moltiplicato per n.
Significa  produrre il fabbisogno irlandese (nutrizione e semina) moltiplicato per il numero di possibili malattie pandemiche, o se preferite di “resistenze” delle piante alle malattie.
Ma a quel punto arriva il problema dei prezzi. Se io temo , diciamo, 7 malattie della patata, e pianto quindi 7 specie , e mi serve un 5% di prodotto per la semina, devo produrre il 735% del fabbisogno nazionale per garantire che l’epidemia sia “seamless” il primo anno, ovvero che non stermini la popolazione per fame. Ma con una simile produzione, il prezzo collassera’ e nessuno coltivera’ piu’ patate. Di nessun tipo.
Il processo per il quale la biodiversita’ approccia una crisi pandemica come quella irlandese, cioe’, ha diversi “problemini”:
  • Quando si scopre il problema, un raccolto e’ gia’ perso e un anno di cibo e’ mancante. La biodiversita’ non risolve il problema logistico.
  • Nel caso irlandese, la varieta’ di fungo che assali’ le patate era SCONOSCIUTA prima, nel senso che era una mutazione dei funghi precedenti, e quindi NESSUNO poteva selezionare in anticipo una varieta’ resistente. La varieta’ di fungo fu identificata circa 30 anni dopo.
  • Per moltiplicare le sementi ed avere sementi a sufficienza occorre almeno un altro anno, supponendo che non serva alcuna istruzione per i contadini per la nuova coltivazione.
  • L’uso di nuove sementi richiede una nuova filiera produttiva, dai pesticidi ai fertilizzanti, alla formazione dei contadini.
Cosa avrebbe cambiato quindi un approccio simile nel caso irlandese? Nulla. Anzi, la carestia di 4 anni e’ perfettamente in linea con quanto accaduto. Il primo anno ci si e’ accorti del problema e si sono acquisiti i numeri della carestia. Il secondo anno si sono sviluppate colture diverse e relative semente. Seminandole il terzo anno, al quarto e’ arrivato il primo raccolto decente. Quattro anni di carestia, non cambiati minimamente dall’approccio “biodiverso”. Anzi, perfettamente coerenti, dal momento che l’approccio fu esattamente quello: gli agricoltori irlandesi iniziarono a coltivare anche altre cose, non e’ che rimasero con le mani in mano. Solo che nel frattempo morivano come mosche ed emigravano via perche’ 4 anni senza cibo sono troppi anche per un bonzo.
Il secondo punto e’ che in Irlanda l’agricoltira era GIA’ “biodiversa”, nel senso che il cibo veniva prodotto in cinque principali aree estremamente diversificate. Ma questo NON fermo’ la “great famine”, anzi la aggravo’.
LA aggravo’ per l’enorme carenza di logistica. Tantevvero che la stessa epidemia ebbe effetti molto diversi in Scozia e USA, perche’ fu affrontata in maniera molto diversa sul piano LOGISTICO.
Innanzitutto, gli inglesi provarono a sopperire con del grano alla carenza di patate. Indubbiamente si tratta di biodiversita’, ma non e’ questo il punto. Il punto e’ che la cosa NON funziono’ per due motivi. Il primo e’ che il provvedimento arrivo’ in ritardo,  per via della politica protezionistica inglese che vietava la vendita di alcuni tipi di grano. Il secondo e’ che quando la legge fu cambiata, e il grano inviato, si scopri’ che fuori dalle citta’ NON ESISTEVA UNA LOGISTICA CAPACE DI GESTIRE LA DISTRIBUZIONE DI GRANO.
Il grano si coltivava solo in una specifica area, che era attrezzata -ma non era colpita dall’epidemia delle patate- per finire nelle citta’ -che erano attrezzate ma non avevano il problema-. Le aree ove si coltivavano le patate non erano attrezzate per trasportare, stoccare e distribuire il grano. La distribuzione di grano inglese, che pure fu onerosa , falli’ per mancanza di LOGISTICA.
Il problema adesso e’: c’era alternativa?
Si, c’era. I romani gestivano eventi simili molto meglio.
I romani accumulavano essenzialmente UNA coltura, che era il grano sotto forma di una varieta’ sofisticata di farro,e il farro stesso piu’ l’orzo. Accumulavano anche olio in anfore (3) e vino sotto forma romana, cioe’ una pasta fermentata dalla densita’ di una marmellata, che andava poi sciolta nell’acqua calda per venire consumata.(4) Il resto era coltivato dai contadini, ma non veniva stoccato quasi mai. La logistica, cioe’, si basava sul trasporto e sullo stoccaggio di una limitata quantita’ di specie.
Le legioni militari si nutrivano principalmente di farro,  che si conserva meglio nelle condizioni logistiche dei militari. Le tasse venivano pagate in natura, cioe’ con parti del prodotto, che veniva stoccato nei granai e poi venduto dallo stato tramite i mulini o direttamente.
Quando avvenivano morie agricole, il magister addetto non faceva altro che ordinare lo spostamento (che corrispondeva alla vendita, con beneficio erariale) di risorse. Poiche’ le navi erano attrezzate per portare queste derrate, il trasporto era semplice. Poiche’ l’amministrazione locale era attrezzata per lo stoccaggio e la vendita degli stessi cereali ai fini di riscossione di moneta, la catena di distribuzione esisteva.
Ci furono diverse carestie alimentari ai tempi dei romani, alcune gravi ed alcune meno gravi, ma il punto e’ che una carestia di una monocoltura locale come quella irlandese veniva risolta con una semplice lettera di un magister.Nel mondo romano, era molto difficile che un luogo come l’ Irlanda, relativamente vicino ad un altro produttivo, soffrisse di una carestia. Successe diverse volte, ma i problemi erano scientificamente  piu’ complessi di quanto i romani potessero capire.
Il disastro irlandese non fu aiutato dalla biodiversita’ delle culture (che esisteva, con ben cinque zone agricole diverse e specializzate) , ma anzi fu peggiorato. Le derrate di cereali in arrivo dall’ Inghilterra non penetrarono nella zona dei coltivatori di patate perche’ non c’era la supply chain , e i contadini locali non iniziarono a coltivare i cereali al posto delle patate perche’ non erano usi a farlo.
Se volete che una singola carestia locale diventi “seamless”, cioe’ venga risolta mediante una semplice decisione (importare quanto manca per qualche tempo, ed eventualmente cambiare coltura e filiera) la biodiversita’ non vi aiutera’ affatto, come non aiuto’ gli irlandesi. Quel che vi serve e’ logistica. Ovvero:
  1. Standardizzazione della filiera. Pochi prodotti stoccabili ovunque, e un supply chain capace di gestire questi prodotti ovunque. Con molti prodotti e’ troppo costoso. Poche varieta’ di piante.
  2. Know how diffuso. Poche varieta’ da coltivare con poche filiere e possibilita’ di conversione rapida. Passare ad una varieta’ indiana di riso, in caso di carestia, puo’ richiedere anni. Ma non abbiamo anni in caso di carestia.
  3. Sovraproduzione proporzionale al maggiore dei rischi di calamita’, e non alla somma dei diversi rischi come propongono i sostenitori della biodiversita’.
  4. Sistema di trasporti. Trasportare derrate alimentari non e’ semplice. Trasportarne 500 tipi diversi per ogni varieta’ e’ impensabile. Non mi serve a niente avere una varieta’ resistente in India se poi le mie navi da trasporto non sono adatte a portare il raccolto in Irlanda.
Tutto questo ha un nome, ed e’ “logistica”. Funziona meglio della biodiversita’. O meglio: e’ l’unica tecnica funzionante nota. Sfortunatamente, richiede MENO diversita’ per minimizzare i costi. E se il rischio e’ del X percento e i costi si abbassano di piu’ dell’ X per cento, quando andremo ad affrontare la carestia vince quello che ha una buona logistica e non quello che ha una grande biodiversita’.

Non dico che non sia utile avere banche del seme e poter sostituire le colture. Ma questo e’ utile per la pianificazione agricola su grande termine e vasta scala. Di certo non aiuta per risolvere crisi locali. Quando le nuove colture sono seminate, la gente e’ gia’ morta di fame.

Se mi si propone la biodiversita’ come strumento per risolvere crisi come quella irlandese, semplicemente vi rido in faccia: i numeri dicono il contrario. La crisi irlandese fu PEGGIORATA dalla biodiversita’,e  fu causata principalmente dall’eccesso di biodiversita’ in una zona tutto sommato piccola, la biodiversita’ della patata non pote’ nulla contro un ceppo di funghi prima sconosciuto, e come se non bastasse la mancanza di logistica fece il resto.

La biodiversita’ puo’ forse risolvere altri problemi , su vasta scala e su tempi lunghi, ma se pensate di approcciare un rischio del genere mediante biodiversita’, beh, tanti auguri. Io preferisco che i granai del vicino siano pieni della stessa roba che mangio, che ci sia un tizio con una cisterna capace di portarmi il grano, e avere un deposito capace di stoccare lo stesso grano, e di sapere come piantare le sementi che comprero’ per cambiare coltura senza dover studiare 8500 specie di grano del Merdawi Citeriore , avere gia’ i fertilizzanti in magazzino e poter riusare parte dei pesticidi noti.

Io non ho nulla contro le banche del seme.

Ma se mi vengono a proporre di usare la biodiversita’ come soluzione per un problema logistico, beh, i numeri si ribellano. Nel breve termine e su scenari piccoli la biodiversita’ NON risolve il problema, e’ una buona strategia di lungo termine e su grandi scenari.

Mi va benissimo di salvare la biodiversita’ per altre ragioni, ma il biologo che pretende che ti salvi dalla fame in caso di pandemie agricole sta usando la parola contro i numeri.

E si sa: quando un uomo coi numeri incontra un uomo con la parola, quello con la parola e’ morto.

Uriel
(1) Si, esiste una teoria matematica che si occupa di code. http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_delle_code
(2)Si, esistono approcci matematici anche per le scorte. http://it.wikipedia.org/wiki/Gestione_delle_scorte
(3) Le anfore da trasporto. Le riconoscete perche’ anziche’ avere una base capace di stare in piedi hanno una specie di punta in basso. Si prendeva un’asse e si faceva una fila di buchi, poi si conficcavano le anfore nei buchi e le si legava ad un palo in alto. Le navi romane da trasporto avevano questo tipo di anfora e di design.
(4) Gli ebrei usavano un vino molto piu’ liquido. Il “miracolo” di Cristo consistette probabilmente nel capire che nelle anfore c’era una concentrazione tale di vino in forma densa che solo pulendo le anfore dai fondi si sarebbero prodotti litri e litri di vino diluito.

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