IL SOFTWARE LIFECYCLE MI PVPPA LA MINCHIA END TO END

Ora, se io dico in una conference call (che sarebbe una riunione telefonica) che un certo protocollo basato su TCP/IP non e’ nato per incapsulare segnalazione su ss7 , anche usando CSTA (che e’ nato per fare altre cose, e le fa tutt’ora che e’ diventato grande) , non mi aspetto una risposta che contenga il “software lifecycle”.

Perche’ non c’entra un cazzo. Non ha nulla a che vedere con quello che dico io. Se tu mi dici che usando una “semantica CSTA”(?) tu riuscirai a trasportare fra due proxy IP la segnalazione ss7, io ti rido in faccia. E se tu mi dici che e’ una questione legata al “software lifecycle”, io ti dovrei rispondere PVPPAMI LA MINCHIA, in caratteri latini maiuscoli.

(Non stranizzatevi: si sente dire anche di peggio, da quando molte aziende che prima facevano gestionali in Visual Basic hanno scoperto il mondo delle telco e della “convergenza”).

Il problema e’ che queste riunioni si tengono in inglese anche quando c’e’ un tizio di Abbiategrasso (hanno qualche problema a comprendere l’italiano, la’) e quindi PVPPAMI LA MINCHIA sebbene tradotto come “I suggest you to swallow my prick” e perde molto del suo sapore itifallico ed apotropaico. Tradurre il maiuscolo latino con la “V” al posto della “U” e’ quasi impossibile in inglese. Anzi, diciamolo pure: e’ impossibile e basta.

Il massimo che gli inglesi fanno e’ sostituire un numero con una parola che suoni in modo simile. Cosi’ mi ritrovo il numero 4 usato al posto di “for” , ho degli switch che usano lo spanning 3 per fare le VLAN , con il 3 usato al posto di “tree”. Ma quel che mi urta di piu’, a questo capitolo, e’ l’abuso della parola “end to end”.

“End to end” indica qualcosa (nel mio lavoro, di solito il test di una piattaforma) che comporti e richieda il perfetto funzionamento di tutti gli apparati che partecipano ad un processo.

Insomma, quello che noi in italia chiamiamo “dalla A alla Z”. Un test funzionale completo, che coinvolga tutti i dispositivi che lavorano per rendere possibile un processo produttivo.

Ormai “end to end”, abbreviato E2E, viene usato ovunque. Esistono , ho saputo, telefonate E2E, riunioni E2E, email E2E, documenti E2E, persino dining meeting E2E.(suppongo significhi che mentre parlano di questioni lavorative questi mangino dall’antipasto alla frutta)

Allora, mi viene un mente un’applicazione: il PVPPAMI LA MINCHIA END TO END. Si tratta di una cosiddetta “best practice” (figo, neh. Cio’ la best practice, io. Non so se mi spiego) che consiste nell’eseguire il pompino fino alla radice del pisello, come Linda Lovelace ha insegnato a milioni di donne fin dagli albori del porno.

[ndr: foto irreperibile]

(foto: un processo di PVPPAMI LA MINCHIA END TO END. Notare la best practice.)
In questo caso, come si traduce in inglese? Un semplice “swallow my prick end 2 end” non rende ancora l’idea, sempre perche’ mancano i caratteri latini maiuscoli e poi il “2” andrebbe come minimo in caratteri romani. Forse “deep throat end 2 end” potrebbe andare. Ma gli americani lo accorcerebbero immediatamente cosi’ “Dp throat E2E”.

Ma non basta: ormai non solo questi termini sono entrati nel linguaggio comune, ma addirittura sono le loro traduzioni ad imperare.

Ieri, su Radio Montercalo, ho sentito un servizio riguardanteuna vecchietta che ha ucciso il marito cieco a martellate , perche’ distrutta da “un tolore che non poteva piu’ gestire”.

Gestire? Gestire? Che cazzo significa “Gestire il dolore” Da quando in qua il dolore si “gestisce”?

Da quando si e’ tentato di tradurre il verbo “to manage” in italiano. Poiche’ “Manager” e’ un lavoro figo, tutti vogliono sapere che cazzo faccia nella vita un manager. Per un inglese e’ semplice: “Manager is the one managing things”. Coglione che non lo hai capito.

Del resto, “manage” e’ un termine che gli inglesi hanno acquisito quando a Londra si parlava l’ “inglese di sua maesta’”, ovvero il francese. Poi hanno acquisito un po’ di termini dal normanno, ci hanno messo la grammatica danese(1) e hanno venduto al mondo intero che quella e’ una lingua.

Tornando a bomba, se dovessimo essere dei puristi la parola “manage” sul piano filologico avrebbe lo stesso senso di “to handle”, ma nessuno chiamerebbe “handler” un manager: da’ l’impressione che faccia un lavoro manuale, mai sia che gli rovini i guanti di Gucci solo al pensiero.

Cosi’, questa parola che non dovrebbe stare neanche nell’inglese perche’ e’ francese , arriva in Italia: come tradurre “manager”?

I piu’ furbi hanno lasciato la parola cosi’ com’e’: in Inglese, come in qualsiasi dialetto(2) , le parole hanno senso soltanto se si trovano all’interno di un preciso universo enfatico. Traduci “aho, se famo du spaghi” in italiano, e hai perso la libidine culinaria contenuta nel dialetto.

Cosi’, “manager” rimane invariato nella maggior parte dei casi. Al contrario, il significato del verbo “to manage” e tutte le parole che contengono la loro radice, hanno subito traduzioni oscene.

“To manage” e’ diventato “gestire”. Il che farebbe del manager un “gestore”, al che te lo vedi con la tuta sporca al distributore di benzina. Poco Gucci, la tuta sporca. ( gli stilisti hanno stravaganti pregiudizi verso qualsiasi abbigliamento ricordi,  permetta o  rappresenti l’attivita’ lavorativa.)

Cosi’, “The manager is the one managing things” diventa “il manager e’ quello che gestisce le cose”, il che dimostra come la traduzione NON sia un operatore lineare.(con buona pace di babelfish.)

Ma non basta: se “to manage” diventa “gestire”, allora un software che fa “stock management” diventa un “gestionale per il magazzino”(3). Faccio notare il termine “gestionale”.  Contrariamente a quanto si pensi, non faceva e non ha mai fatto parte della lingua italiana, e non e’ neanche un neologismo: al massimo e’ un PVPPAMI-LA-MINCHIA-ismo, visto che l’italiano vorrebbe la parola “amministrativo” usata all’uopo.

E cosi’, tra software “gestionali” e “manager” che “gestiscono” anziche’ amministrare , ci troviamo con una povera signora con “un dolore che non poteva piu’ gestire”.

Nasce cosi’ (ne sono certo, nascera’ presto) la figura del “pain manager”, cioe’ il “gestionale del dolore”.

[ndr: foto irreperibile]

(foto: una pain manager mentre si reca al lavoro. Notare il software lifecycle.)
Sono le nuove professioni, ne sono certo. Presto ci sara’ anche il corso di laurea in “pain management” e il master in “gestionale del dolore”  per vecchiette con mariti ciechi.

Un altro modo di dire che viene abusato e’ “business as usual”. In primo luogo perche’ in inglese il termine “business” ha cosi’ tanti significati che usarlo in una frase e’ inutile. Tantovale usare “grokkare”.

In secondo luogo, peggio, perche’ viene abbreviato con “BAU”. Ora, se uno mi parla di “BAU environment”, io posso capire:

  • La cuccia del mio cane.
  • Un ambiente di produzione.

Secondo voi quale dei due e’ un “ambiente bau?”. Il dramma e’ che io ho a che fare con una sede tedesca dell’azienda, e quindi le cose si complicano ulteriormente. Perche’ il tedesco e’ una lingua che accetta cosa inenarrabili quali “zu” e “bisst”  nella medesima frase di “Sehenswürdigkeiten”, ed e’ capace di dare un significato anche alla parola preferita dai dobermann: “bau”.

Con il risultato che “ambiente bau” puo’ essere sia un anglismo che un germanismo. Ed ecco che “bau environment” detto ad una conf internazionale prende ben TRE significati:

  • La cuccia del mio cane.
  • Un ambiente di produzione.
  • Un ambiente di sviluppo.

Se prima si poteva escludere la cuccia del mio cane perche’ lui non usa un cellulare ed avere cosi’ una risposta, adesso non si puo’ fare: “bau” viene da “bau” come costruire in tedesco, o da “BAU” come “business as usual”?

Nel dubbio, PVPPAMI LA MINCHIA END TO END.

Il software lifecycle ne trarra’ giovamento. Per non parlare della best practice.

End to end, e segue pure il MoM(4) se proprio lo vuoi.

Uriel

(1) Giuro: provate a leggere il danese , vi accorgerete che la costruzione e’ identica all’inglese. Se ci fosse un copyright sui prestiti linguistici, gli eredi di Tycho Brahe dovrebbero diventare ricchi ogni volta che la regina prende la parola. Anche i danesi che non discendono da Tycho Brahe, secondo me.

(2) Stessa cosa traducendo “minchia” con “prick”. Ogni traduzione di “pirla” diventerebbe impossibile, perche’ diverrebbe “cunt” o roba simile. Ma “you’re a cunt” non ha nulla di simile a “sei un pirla”.

(3) La lingua inglese, essendo un dialetto per mongoloidi in overdose, usa lo stesso termine per indicare il magazzino e le azioni. Uno “stock management” potrebbe anche essere un “gestionale azionario”. Provate a prendere un dizionario inglese e a cercare “to get”, per curiosita’. Capirete perche’ io stia iniziando ad amare l’ urdu.

(4) MoM non e’ un onomatopeico per il rumore che si fa PVPPANDOMI LA MINCHIA, ma indica il Minute of Meeting, cioe’ il resoconto di quanto detto alla riunione. Questo per chi fa un vero lavoro, intendo.

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