Il problema del mindset.

Sto avendo una discussione divertente riguardo all’accesso delle donne al lavoro, e siccome sto avendo un impatto con questo problema anche sul lavoro, mi sono fatto un’idea molto strana a riguardo. Ovviamente questo mi costera’ altri nemici tra le femministe, ma la cosa mi preoccupa poco. E’ un problema che ho nella selezione di candidati.
Succede che come ogni azienda di consulenza del mondo moderno, i candidati vengono presentati al cliente SENZA alcun riferimento alla persona, a malapena la data di nascita (nemmeno il luogo). Questo perche’ essenzialmente il cliente non deve essere nella situazione di rifiutare qualcuno siccome e’ donna, o perche’ negro, o islamico, o qualsiasi cosa. Come requisito per alcune certificazioni ISO/TÜV, poi, e’ obbligatorio che anche all’interno delle aziende il processo vada allo stesso modo.

Cosi’ abbiamo una specie di tool, come ogni azienda di consulenza ha, ove scriviamo il CV e via via le esperienze e le tecnologie apprese, mano a mano che lo facciamo. IL tool puo’ compliare il CV che viene dato al cliente omettendo OGNI particolare che possa dare luogo a discriminazione. Il candidato viene prima presentato al cliente dicendo “questi sono i CV che consigliamo per quel lavoro”, il cliente sceglie quelli interessanti ed a quel punto si va al colloquio tecnico.
L’idea e’ che se il cliente ha detto che un profilo e’ interessante, poi non dira’ nulla se il consulente e’ negro, o donna, o qualsiasi altra cosa. Per avere un ISOqualcosaMILA occorre pero’ che la cosa sia valida all’interno dell’azienda. Cosi’, mi trovo nella situazione in cui devo indicare al mio HR-manager chi proporre per un ingrandimento della mia squadra. Io sono gia’ li’, so che cosa si faccia e come, quindi devo cercare la persona adatta in questo tool, che mi offre stringhe di ricerca.
Per prima cosa, mi sono fermato a chiedermi “ma che cosa cerco?”. Prima dissi “cerco hard skills”. Vero, mi servono. Ma alcuni candidati sono di quegli ingegneri stile sovietico (effettivamente, uno veniva dalla ex DDR) flessibili come un blocco di granito. Cosi’ ho detto “magari aggiungendo soft skills”, ma anche cosi’ mi sono trovato dei sovietici con qualche hobby. Alla fine mi sono chiesto “ma dove sbaglio?” e ho realizzato che cosa cerco.
Non esiste una vera parola in italiano per definirlo, ma esiste in inglese: “mindset”. Un mix di approccio, scelta delle priorita’, prima reazione, visione dei problemi, esperienze passate, familiarita’ coi problemi, familiarita’ coi processi, che mi lasci immaginare come si comportera’ il mio prescelto in un dato ambiente.  Gli skill c’entrano, ma sino ad un certo punto. I soft skill ci vogliono, ma solo in un certo senso. Insomma, mi serve un dato mindset. 
Cosi’ ho cercato di descrivere per iscritto i requisiti del mio “mindset desiderato”, e quando ci sono riuscito ho avuto una decina di CV. Mi trovo, quindi, nella stessa identica condizione del datore di lavoro che deve scegliervi: devo capire se richiedervi nella mia squadra. Ok.
Dicevo, ho scelto il mio mindset e l’ho cercato, ottenendo una decina di candidati. Tutti e dieci uomini.
Siccome conosco una collega che DI SICURO ha il mindset che voglio, e lo so perche’ ci ho lavorato, conoscendo alcune chiavi (il nome del progetto) ho cercato il suo CV, che ovviamente conteneva quel progetto ove abbiamo lavorato insieme. E mi sono scontrato con un incredibile problema: non c’era modo, dal suo CV, per come lei l’aveva compilato, di risalire al suo mindset. Non riuscivo a capire se sia una persona attaccata ai cosiddetti “hard facts” o meno (come so essere), non riuscivo a vedere, dalle cose che aveva deciso di evidenziare, che cosa considerasse importante come esperienza. Non riuscivo praticamente a riconoscere la persona che conosco in quel CV. Per chi cerca uno specifico mindset, era praticamente MIMETICA.
Cosi’ ho iniziato a pensare. Ho cercato l’elenco dei colleghi della sede locale e ho cercato su quale progetto siano allocate le colleghe. Ho cercato il progetto sul CV, e ho avuto i loro CV. E li ho letti. NESSUNO, maledettamente NESSUNO, mi lasciava intuire che diavolo di mindset io avessi di fronte. Ed il problema si presenta SISTEMATICAMENTE con le donne, anche se alcuni uomini ne sono affetti: non c’e’ modo di risalire al loro mindset usando il loro CV.  Persino una analisi dei tag (con un tool apposito) presentava una incredibile distribuzione quasi casuale. Se avessi fatto analisi di frequenza , avrei visto i CV degli uomini come delle note precise, e i CV delle donne come un rumore di fondo presente su ogni frequenza.
I casi sono due:
  • Le donne nascondono il proprio mindset. Quella con cui ho confidenza, cui ho raccontato la cosa, non ha avuto niente da ridire sul mio concetto di “cerca il mindset”, e’ solo rimasta a bocca aperta quando ha constatato che il SUO CV non riesce ad esprimerlo. Ha provato a riscriverlo per sodisfare la mia ricerca , ma poi mi ha detto “ma questo e’ troppo statico, io non sono SEMPRE cosi’, non sono SOLO cosi’, io voglio dire di essere adattabile, versatile”.
  • Le donne non accettano di  rispondere alla domanda “che tipo di persona sono al lavoro e che tipo di persona NON sono”: sembra che alla richiesta di farlo, si sprechino i “ma anche”. Nero, MA ANCHE bianco. Si, MA ANCHE no. Cosi’, MA ANCHE il contrario. Sembra esista una incapacita’ reale di comporre un autoritratto di se’ stesse. Non sembrano essere capaci di esprimere se’ medesime in termini di “questo SI, e quindi questo NO”. Nel momento in cui una scelta implica una rinuncia, il desiderio di lasciare aperta OGNI possibilita’ porta le donne a trovare quella descrizione “sminuente”, “limitante” : come se escludere qualcosa per definirsi fosse di per se’ un tarparsi le ali.
Sulle prime ho pensato che fosse il metodo “ricerca per mindset” ad essere cannato. Dopotutto, se un metodo sbaglia il 50% delle volte, potrebbe essere clamorosamente cannato. Ma in realta’ non solo l’idea e’ sembrata buona sia alla HR che alle colleghe con cui ho parlato, ma sia il manager commerciale che la HR stessa mi hanno confermato che “mindset” e’ proprio la descrizione di quel che cerca il cliente quando vuole un consulente. 
Cosi’, inizio ad avere un sospetto. Sebbene io abbia avuto molte donne come manager e/o superiori mi sono semplicemente detto che non avrei potuto proporre la persona che volevo perche’ il suo CV non esprime il suo “mindset”, e il mio cliente la scarterebbe. Il che e’ assolutamente vero: e’ successo veramente.
Ho controllato il mio CV, e secondo i miei stessi criteri il mio “mindset” e’ piuttosto chiaro. Anzi, sembra proprio che io sia un cazzo di Herr Rottermayer, marito della maestra ononima, che viene chiamato a salvare progetti che affondano. Come dicono i miei colleghi, “Der Musolini”.
Inizio cosi’ a sospettare una cosa, ovvero che esista un problema generale nella cultura femminile, problema che consiste nella difficolta’ (o una resistenza) nell’escludere di essere o di fare qualcosa. Sembra che esista una resistenza incredibile nel dire “questa, questa e questa non sono io”. Se interrogate su cosa potrebbero fare in un progetto, dicono “questo si , subito, questo si, subito, questo si, ma ci vuole tempo per”. Il “NO, questo no”, sembra essere difficilissimo da rappresentare.
Abbiamo provato a fare roleplay, e ho potuto vedere esattamente la stessa cosa: la paura di chiudersi delle porte conduce le donne a non caratterizzarsi, molto piu’ degli uomini, o meglio, come fanno gli uomini all’inizio della carriera. E’ come se i maschi ad un certo punto capissero che ogni scelta implica una rinuncia, mentre le donne rimangono sulla posizione “ma io devo tenermi aperta ogni porta”. Il che ha effetti catastrofici su chi legge i CV. 
Con la complicita’ della mia HR(1) , cui ho parlato di questa cosa, abbiamo iniziato  ad annotare questo comportamento ed stiamo arrivando al sospetto che la definizione del proprio mindset per inclusione ED esclusione sia tipica del maschio adulto, ma non di femmine (tranne poche eccezioni – che guarda caso fanno carriera ) e maschi Junior.
Ovviamente, so che questo fara’ incazzare le femministe: sto asserendo che esiste , almeno nel mondo dell’ IT, un motivo slegato dal maschilismo per cui le donne fanno meno carriera: faticano a definirsi in termini – anche – negativi, ovvero anziche’ rappresentarsi come “questo si, questo no”, tendono a rappresentarsi come “questo si, questo magari, col tempo”. Offuscando completamente l’immagine professionale.
Immagino che questo mi attirera’ addosso le ire delle femministe, perche’ sto dicendo che probabilmente esiste una qualche idiosincrasia, di qualche origine, che porta i CV scritti “lasciandosi aperta ogni porta” ad essere rifiutati in ambito tecnico. Probabilmente la ragione e’ semplicemente culturale: in ambito tecnico, difficilmente sara’ accettabile un tecnico che “ma chissa’ che cosa potrei sapere/essere domani”. In generale si vuole capire che genere di mindset avete: se dovete gestire una migrazione da un datacenter all’altro, dovete dare l’impressione di un topo di datacenter, che conosce i problemi di item management, ma dall’altro lato dovete mostrare che avete maneggiato architetture complesse. Questo significa una specie di mindset che va dal cavo ethernet al BGP, dall’ IX allo switch TOR. Il risultato e’ un mindset preciso: se siete “Ok per item management, ma chissa’, magari domani faccio anche CSI”, non funziona. “Io ho fatto IM e Design, ma non vorrei che la mia carriera prendesse la piega CSI perche’ non e’ il mio settore” identifica un chiaro mindset. Del resto, pensare che un individuo abituato a pensare in termini di item management si trovi improvvisamente a lavorare con indicatori di sintesi , e’ come pensare che uno sia un macellaio ma non esclude di fare il fornaio: sai cosa vuoi fare da grande, cocco?

Ma anche fuori dal mondo dei tecnici, un profilo di tipo “ma anche quello” non funziona benissimo.

In generale, come ho sempre detto, chi si presenta ad un colloquio di lavoro deve rispondere a tre domande fondamentali:

  • Cosa sai fare ad oggi?
  • Perche’ pensi di farlo bene con noi?
  • Pensi che potrai farlo anche meglio di oggi (con noi)?
Se mi date un profilo nel quale e’ chiaro cosa sapete fare oggi, ma: che cosa intendete fare? Un’azienda non vi sta solo offrendo un lavoro, ma una carriera. Se l’azienda vi dice che ha il lavoro A e la carriera B, non potete dire “si, ma volendo anche C”. Se non avete un obiettivo voi, non e’ possibile stabilire se esso sia anche quello dell’azienda. E non ha senso assumere qualcuno che poi iniziera’ a mugugnare perche’ non ha quello che voleva OGGI.
Non sapete quanto sia ridicolo e snervante trovarsi con persone che si sono fatte anni di scuola scientifica o tecnica, hanno fatto ingegneria o fisica o matematica, e poi improvvisamente (e peggio, quando falliscono come tecnici) “scoprono di sentirsi portati per cose gestionali”. Ma uno che ha passato dieci anni a studiare cose tecniche e tre a lavorare su cose tecniche , e poi cambia idea, non e’ proprio il miglior esempio di pianificazione del mondo. Se ci metti tredici anni a capire che non sei portato per cose tecniche , e’ difficile credere che tu sia uno bravo a pianificare, isnt’t it?
In questo caso, il mindset che viene perso e’ quello relativo al tipo di carriera. Se non escludete nessuna carriera, chi vi ha di fronte non capisce se volete fare la carriera che l’azienda vi offre. Ma se avete un mindset gia’ formato perche’ siete tecnici, c’e’ una sola carriera che vi soddisfa, ed e’ quella che coincide col vostro mindset. Il fatto che siate disposti a gettare alle ortiche il vostro mindset, significa che siete disponibili a cambiare carriera da un momento all’altro. Ma se io assumo un tecnico perche’ tra tot anni diriga una squadra, non voglio sentirmi dire tra cinque anni che vuole fare una carriera diversa. 
In ogni caso, quindi, occorre delimitare chiaramente quel che si vuole. A costo di “chiudersi delle porte”, ma non ha senso dire che potreste fare tutto. Dal punto di vista del mondo tecnico, non si capisce quale mindset abbiate in senso puramente applicativo, mentre nel senso delle HR non si capisce che diavolo vogliate fare da grandi: se anche sarete nel posto giusto il primo o il secondo anno, poi diventerete un problema.
Ovviamente ho gia’ detto questo genere di cose, riguardo al secondo argomento, ma la mia esperienza come “pseudo cliente”, ovvero come la persona che deve scegliere persone per la propria squadra, sta cominciando a farmi capire una semplice cosa: e’ difficilissimo scegliere il CV di una donna, perche’ anche senza sapere che si tratti di una donna, la ricerca di un preciso mindset non porta mai ad individuare il modo in cui una donna scrive il proprio CV. Il desiderio di non chiudersi nessuna porta o di non apparire sbagliate per un ruolo porta a CV che sono difficilissimi da trovare in mezzo a tutti gli altri.
Il punto e’ poi che il CV puo’ anche avere senso da solo, ma perdere visibilita’ quando si trova in mezzo ad altri. La mia azienda ha un database di quasi 7000 candidati ove cercare, e quindi il vero problema e’ sempre quello di descriversi con precisione. Non e’ quello di spiccare tra la massa, perche’ le probabilita’ di spiccare proprio per i motivi cercati sono pochi. Il problema e’ identificarsi e descriversi con chiarezza, e questo implica l’idea di DELIMITARSI con precisione.
A parte aziende incompetenti che cercano “sviluppatori ma anche un poco sistemisti ma che sappiano gestire il budget e abbiano conoscenze di HR almeno decennali” , che si qualificano come incompetenti e “worst place to work” da sole solo per come descrivono la figura che cercano in maniera vaga, la richiesta in ambiti ben pagati e’ sempre piuttosto precisa. Se cerchi uno specialista, cerchi uno specialista, non uno “che tra le altre cose fa anche quello”.
Cosi’, mi spiace, ma sto sperimentando che anche in un mondo fatto di parita’ totale, come e’ un sistema di HR fatto per descrivere i candidati omettendo il sesso, le donne sembrano quelle che si rendono invisibili mimetizzandosi col rumore di fondo. In questo modo, persino usando un sistema di HR inesorabile quanto un computer, e certificato ISO qualcosaMILA, che mi nasconde il sesso del candidato, la ricerca di un mindset preciso e delimitato, anche nel tempo, non ha incluso donne, e questo perche’ esse tendono a non delimitarsi chiaramente nei CV, per non “chiudersi nessuna porta” o per “non apparire sbagliate per un altro lavoro”.
Al contrario, esiste un momento nel quale il maschio , volente o nolente, si delimita e dice “questo no, e’ una strada che non valuto”. 
Pensateci, perche’ se le cose stanno cosi’ o anche similmente a cosi’, anche in un mondo ove il sesso non pesa, rischiate di “non avere pari opportunita’ con gli uomini”. Anche se la HR e’ una donna: la mia collega di HR ha esattamente le mie difficolta’ nel reperire precisi mindset, e ha concordato con me che alla fine sia il “mindset” a fare il candidato.
Uriel
(1) Ok, ok. E’ una che quando ha letto il mio CV ha detto “Bologna? Uhm. I’ve had  a boyfriend from Bologna”. E io “Uhm… Should I leave the room right now?”. Ci si parla volentieri.

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