Il populismo, questo sconosciuto.

Si diffonde a macchia d’olio un uso sempre piu’ esasperato di termini che vengono scelti solo perche’ vengono uditi in televisione, o letti sui giornali. Poiche’ i giornalisti italiani usano una lingua approssimativa quando non dialettale, il risultato e’ un lento decadimento delle capacita’ logiche della popolazione.

Ricordo che alle superiori una mia professoressa usava un metodo molto spiccio per misurare questo problema: di fronte ad un termine, per verificare che fossimo o meno “in grado di usarlo” ci chiedeva quale fosse il suo contrario.

Se osavi affermare che il contrario di “totalitario” fosse “democratico” anziche’ “pluralista”, erano guai. Se poi osavi affermare che l’opposto di “fascista” fosse “comunista” anziche’ “parlamentare”  , eri stroncato con un acidissimo “questa roba la racconti nei salotti che frequenti, Liverani. Dopo aver finito di mungere le signorine presenti!”.

Alla base di quest’ operato c’era la convinzione che la lingua parlata sia prima di tutto una lingua logica. Di conseguenza, un buon parlato ed una buona struttura narrativa richiedono che le parole siano collocate nel giusto contesto,  e che vengano usate a proposito.

Usare un termine senza che fosse chiaro  il suo opposto, la sua negazione,  nel caso in questione implicava la possibilita’ di parlare del caldo pur avendo intenzione di discutere del freddo.

Discorsi, cioe’, senza senso.

Prendiamo per esempio la parola “populista”. La parola sta venendo usata semplicemente perche’ moltissimi giornali ne fanno un uso smodato; di conseguenza essa viene acquisita nel lessico comune, senza che vi sia una conoscenza del suo significato. Questo fa si’ che  il suo uso comune sia distorto, improprio ed ingannevole: il risultato e’ che gli stessi discorsi basati su questo termine diverranno distorti, impropri ed ingannevoli.

Qual’e’ il contrario di “populista”? Innanzitutto iniziamo a chiederci se stiamo parlando del significato proprio del termine o del significato che gli viene attribuito.

Se parliamo del significato proprio del termine, “populista” non implica alcun giudizio negativo o positivo , tantomeno un giudizio sulla statura politica del soggetto.

Giulio Cesare era populista, eppure nessuno si sognerebbe di paragonarlo a Grillo: il quale tuttavia non osa scrivere  una serie di tomi agiografici su se’ medesimo indi  spacciarli per storia, come fece Gulio Cesare per aumentare il proprio prestigio.

In se’ e per se’, l’atto dirivolgersi al popolo non ha nulla di sbagliato, visto che e’ stato fatto sia a fin di bene che a fin di male, sia da grandi statisti che da insignificanti agitatori.

Mi si rispondera’ a questo punto che il populista e’ colui che si rivolge alla “pancia” del popolo, ovvero colui che stimola i pruriti piu’ bassi, come il desiderio di non pagare le tasse. Ebbene: George Washington avrebbe qualcosa da ridire su questo, dal momento che la rivoluzione americana nacque proprio da una contesa circa una tassa imperiale. Il consenso popolare che porto’ alla rivoluzione americana fu proprio un consenso di “pancia”, ovvero una voglia di “non pagare le tasse”, o almeno di “pagare meno tasse”.

Ricorda qualcuno? Scegliete voi.

Del resto, anche il consenso verso la rivoluzione francese si basava piu’ sulla fame (ovvero sulla pancia) che non sulle alte ragioni dell’ illuminismo francese.

Nemmeno il criterio della “pancia” e della “testa”, dunque, e’ un criterio che puo’ dare un valore strettamente negativo alla parola “populista”:  numerosi cambiamenti politici considerati “nobili” sono stati spinti da motivazioni popolari “di pancia”.

In questa accezione , “populista” prende il significato di “volgare”nel senso che indica il popolo come depositario degli istinti piu’ bassi, cioe’ nell’accezione di “plebeo”, se non di “ignobile”.

Il suo opposto diviene, ovviamente, “elitario”, o perlomeno “signorile”, quando non “nobile”.

Il motivo per cui non si usa “volgare” per indicare qualcosa che rappresenta le ragioni piu’ spicciole della popolazione e’ che la stessa parola “volgare” e’ stata “semanticamente spostata” per indicare cio’ che e’ scollacciato, il passo che precede l’oscenita’, ed ha un significato sempre piu’ sessuale.

Non si usa piu’ “plebeo” perche’ dopo le filosofie socialiste e’ impensabile attribuire alla parola “plebe” un significato dispregiativo, altrimenti il termine opposto sarebbe ancora “signorile”.

In definitiva, il significato di “populista” e’ semplicemente quello di un politico che trae la propria forza (o la maggior parte di essa) da un rapporto molto diretto con il popolo e con le sue istanze, anziche’ dall’insieme di accordi, strategie ed alleanze con altri politici.

Come gia’ detto, l’esatto oppostodi “populista” e’ semplicemente “elitarista”. Chiamarsi fuori dalle politiche “populiste” significa affermare che il politico dovrebbe trarre la propria forza principalmente dal rapporto diretto con altri politici, e non da un rapporto con il popolo. Se si usano le accezioni di “ignobile” , “plebeo” , “volgare”, allora i suoi  opposti sono termini come “nobile” o il piu’ borghese “signorile”.

Spesso a questo evidente elitarismo si unisce la sua (presunta) motivazione, cioe’ l’idea che il popolo,ipso facto, sarebbe preda delle piu’ basse motivazioni, mentre i politici sarebbero quelli ispirati dalle motivazioni piu’ alte.

Se il ribrezzo per il populismo nasce da questa accezione , allora il contrario del “populismo” e’ semplicemente “aristocrazia”, e una dialettica “non populista” non puo’ essere che l’analogo della scrittura reticente di Leo Strauss, dal momento che il popolo “basso” non potrebbe certo capire le “alte” motivazioni dei politici.

Tutta roba, come vediamo, di sinistra. Mica seghe, neh.

Il grande  problema e’ che al populismo vengono associate altre valenze,spesso in maniera impropria: alcuni dicono che il populismo avrebbe in se’ il germe dell’agitazione, ovvero che il populista non cercherebbe solo il rapporto col popolo, ma la sua agitazione.

In questo caso ricadiamo nella categoria che Aristotele chiamava “oclocrazia”, ovvero l’attitudine a governare agitando le masse. Il guaio e’ che all’oclocrazia si oppone, storicamente , il concetto di democrazia ateniese. Il metodo “giusto”, opposto all’agitazione delle masse, era la riunione nell’agora’ di una piccolissima minoranza che veniva chiamata “ekklesia”. Il contrario di “populista” , se ha l’accezione di “agitatore di folle”, e’ in questo caso “ecclesiastico”.

“Ecclesiastico” non va inteso come qualcosa di relativo alla chiesa, ma come relativo ad un conclave chiuso di persone, scelte su principi come quelli ateniesi: l’appartenenza alle famiglie nobili, il censo (dopo la riforma timocratica di Solone) ed il fatto di essere maschi.

Un altro modo per descrivere l’agitatore civico , e  quindi il “populista” che agita le piazze, e’ “Tribunizio”. Esso prende il nome dai tribuni del popolo dei romani, i quali furono istituiti per rappresentare le istanze piu’ popolari, ma finirono con l’usare l’agitazione delle masse contro i politici patrizi. A differenza degli agitatori greci, erano anche un’istituzione dello stato.

Quindi, se usiamo “populista” nell’accezione di “tribunizio”, allora il suo opposto e’ “patrizio”.

Verrebbe da dire che in definitiva quando non e’ zuppa e’ pan bagnato: la parola “populista” puo’ essere usata nell’accezione di “tribunizio”, di “oclocrate”, di “volgare” , “agitatore”, “plebeo”  a seconda delle accezioni.

Al contrario, i suoi opposti logici sono “ecclesiastico, elitarista, aristocratico, signorile, patrizio, nobile”, a seconda delle accezioni.

Questo e’ il contesto logico nel quale la parola “populista” puo’ venire usata propriamente: i critici del populismo saranno per forza di cose sostenitori di sistemi ecclesiastici, aristocratici, nobiliari o signorili , elitari: oppure si sta spezzando la relazione logica che passa tra una verita’ logica e la sua negazione, la falsita’ logica.

Ottenendo discorsi che non hanno neppure senso.

UPDATE: Eugenio Mastroviti mi informa che intende per “populista” cio’ che realizza le istanze popolari al peggio ,o perlomeno al minimo del proprio valore civico, anziche’ sforzarsi di educare la massa. Il giudizio quindi non e’ di tipo politico, ma pedagogico.

In questo caso, pero’, sta usando il termine completamente al di fuori del contesto, che e’ politico e non pedagogico. Mentre il valore che lui assegna al termine “pedagogico” e’ quello di “incivile” nel merito , o “diseducativo” nei risultati. Mi sembra che si stia stiracchiando eccessivamente un termine politico, portandolo sul piano pedagogico.

A questo punto, IMHO ,si usino i termini provenienti dai contesti corretti e si dicano le cose come stanno, anziche’ abusare di un termine che non c’entra nulla: “Grillo e’ un male perche e’ diseducativo” mi trova d’accordo.”Grillo e’ un male perche’ e’ incivile” mi trova perplesso, perche’ in ultima analisi non ha mai attentato a nessuna istituzione, ma almeno sono  termini propri perche’ sia “incivile” che “diseducativo” possono condurre facilmente ad un giudizio negativo.

“Grillo e’ un male perche’ e’ populista” , invece, non ha nessun senso logico.

Uriel

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