Il pezzo mancante.

Volevo prendere spunto da Pomegliano per parlare di globalizzazione. Il post inizia con la situazione FIAT/FIOM, e poi prosegue con un discorso generale.Bisognava essere stupidi per pensare che a Pomigliano potesse finire diversamente. E bisogna riconoscere che la trappola sta funzionando benissimo, nella misura in cui il silenzio di Confindustria e le indiscrezioni di FIAT confermano che la decisione, di fatto, sia gia’ presa. In se’, non e’ nulla di strano: la trappola sembra funzionare benissimo.

 

 

Fiat aveva detto chiaramente che senza la firma di tutti i sindacati sul nuovo contratto non avrebbe spostato in Italia alcun investimento. E con il risultato attuale, FIOM non firmera’ di certo a queste condizioni.

 

FIAT, tuttavia, ha bisogno di una fabbrica che lavori come lavorano tutte le fabbriche di auto del mondo, ovvero a ciclo continuo su turni e senza uno sciopero al giorno (altrimenti detta “epidemia di febbre campana”), e non di una fabbrica come Pomigliano.

 

Dopo il risultato del voto locale, FIAT adesso potrebbe fare due cose.

 

  1. Fingere che FIOM non esista, firmare con quelli che hanno firmato e andare avanti. Questo significa un 36% di parassiti che si salvano, e che continueranno a fare i propri porci comodi, rendendo la fabbrica ingovernabile e improduttiva. Possiamo scartare questa soluzione molto tranquillamente.
  2. Dire “signori, non ci stiamo” e continuare con la Polonia, chiudendo Pomigliano. In tal caso, la gente prima se la prendera’ col governo, che rispondera’ “belli, chiedete a FIOM”. Nella migliore delle ipotesi. Altrimenti , non appena fosse ufficiale la decisione, sarebbe il governo stesso ad andare all’attacco e punire, in qualche modo, il sindacato.
  3. Usare il “piano C”, ovvero sfruttare la storia della cessione di ramo d’azienda, creare una  goodcompany con tutti quelli che ci stanno, una bad company con le teste calde della FIOM, e mandare a casa in maniera selettiva, chiudendo l’azienda cattiva (e licenziando i dipendenti) e invece tenendo gli altri.
Ora, il problema e’ che la soluzione 3 e’ la piu’ probabile, visto che l’azienda ha annunciato di non voler riaprire la trattativa e di voler tenere le condizioni accettate con quelli che le hanno accettate. Poiche’ la FIOM e’ parte di CGIL, in definitiva l’azienda ha (dovendo pagare la quota sindacale) una schedatura completa degli appartenenti alla FIOM.

Qual’e’ la piu’ devastante delle tre opzioni?

La prima era devastante per FIAT, ma non credo proprio che ci sia la minima volonta’ di tener aperto lo stabilimento in queste condizioni operative.Esso e’ distante anni luce da qualsiasi cosa sia una “fabbrica di automobili”.

 

Il secondo punto, cioe’ l’abbandono completo, sarebbe il colpo piu’ duro perche’ per goderne FIAT avrebbe bisogno che il governo approfitti della botta per accusare i sindacati e modificare il diritto del lavoro, cosa che impatterebbe le altre fabbriche FIAT , ma soltanto dopo. E l’ iter potrebbe essere lungo.

 

In ogni caso, comunque vadano le cose (e possiamo tranquillamente escludere l’opzione 1) , la vita dei sindacati sta per cambiare enormemente.

 

E’ abbastanza chiaro che tutte le strategie messe in campo da GCIL/FIOM siano state inefficaci. Hanno scaldato gli animi, ma il massimo del risultato ottenuto e’ che altri si sono messi a trattare separatamente con l’azienda.

 

Ma non e’ questo il punto. Il punto era che FIAT era indecisa , tra Polonia ed italia. Questo e’ il punto. E bisogna capire il perche’.

 

E qui andiamo al punto cruciale.Per prima cosa: perche’ Fiat vuole spostare la fabbrica indietro dalla Polonia? La vuole spostare indietro per la medesima ragione che sta spingendo molti produttori a riportare a casa la produzione da molti altri posti.

 

Il primo punto e’ che la Polonia, piano piano, si sta rialzando. e il suo PIL cresce. E i ragazzini polacchi iniziano ad andare da papa’ a chiedere i soldi per l’ iPhone, tale e quale ai nostri. Cosi’, l’alternativa sarebbe di andare ancora piu’ lontano, ma trasportare automobili non e’ per nulla economico, e gestire una catena di distribuzione intercontinentale non e’ per nulla semplice.

 

Cosi’, siccome alcuni paesi dell’est crescono, molti stanno tornando a casa, valutando che alla fine dei conti “se i sindacati mostrassero tolleranza” qualcosa di buono si potrebbe fare.

 

Cosi’, direte voi: ma non possiamo aspettare che tutto il mondo cresca per rivedere i diritti. E invece, si e no. Mi spiego meglio: ultimamente nelle relazioni con la Cina si sta affermando un nuovo trend: le aziende straniere producono in asia quel che vendono in asia, ma si sta alleggerendo la pressione nel produrre cose destinate ai mercati occidentali?

 

Perche? Per una singola ragione, che puo’ permetterci di spiegare quale sia lo strumento che ci e’ mancato nella risoluzione del problema della “globalizzazione”.

 

Che cosa e’ successo di particolare in Cina? E’ successo che i salari siano aumentati. Aha. Che noia, direte voi, anche in  Polonia e’ successo. Certo. Ma in Polonia e’ stato il dio mercato, coi suoi tempi, a far crescere i salari. E ci ha messo anni.

 

Il governo cinese, invece, ha ordinato ben cinque volte negli ultimi quattro anni di alzare gli stipendi. E quando dico “ordinato” significa che esce un decreto legge, e da domani le cose stanno cosi’.

 

Immaginate il manager di un’industria. Il quale ha un budget. Il quale fa un business plan. E nel business plan dice che la manodopera costa X. Lui tiene conto dell’inflazione attuale e degli aumenti previsti o prevedibili. A quel punto, improvvisamente, puf: il costo della manodopera cresce del 20%.

 

Dal punto di vista di chi gestisce un budget, e’ catastrofico: non importa che la crisi sia bassa: tutti piani aziendali presentati aglia zionisti dicevano che con un budget XYZ avresti prodotto numero tot di pezzi. E oggi devi andare a dire che il budget non ti basta. Qualsiasi sia, per quanto basso sia, il costo del lavoro e’ aumentato del 20%. In un giorno. Perche’ si.

 

Questo e’ il motivo per il quale la Cina sta venendo usata sempre piu’ come mercato e sempre meno come fabbrica: il governo ad un certo punto entra nel gioco e alza gli stipendi.

 

QUESTO

 

e’ il tassello che e’ mancato alla globalizzazione globale. Il fatto che solo i cinesi abbiano fatto questa cosa: decidere, con un atto politico, che gli stipendi devono alzarsi, ha permesso che tutto andasse in merda. Cosi’ come, con un atto POLITICO, la Cina ha deciso di riapprezzare la moneta. Deciso oggi, fatto domani.

 

Voi direte: ma hai detto che molte imprese adesso non vanno piu’ in Cina, perche’ hanno paura che i loro piani vengano sballati dalle decisioni del governo. Ovvio. Ma a spaventare le industrie NON sono tanto i due soldi in piu’ da versare ai dipendenti (1) , quando il rischio di un elemento impredicibile, che risponde ad esigenze sociali, quale il governo. Il che significa, in soldoni, che esiste un limite all’ingordigia e al ricatto, e questo limite e’ rappresentato dal rischio (e non dall’atto in se’) che il governo decida di intervenire sui redditi.

 

Il governo cinese sa bene che il trasporto delle merci fino in Francia incide sui costi.Ed e’ per questo che di volta in volta non aumenta mai gli stipendi di quel tanto che basta a rendere conveniente chiudere. Ma d’altro canto, e’ il rischio il problema: come controllare il governo? Questo e’ il punto.

 

Signori, commerciamo con la Cina dal 1200. Le repubbliche marinare italiane hanno gestito commerci con l’est (e a quei tempi l’artigianato orientale e arabo spaccava) , senza che il problema si sia mai proposto. Perche’? Beh, ma perche’ a quei tempi i cambi erano fissi, e la quantita’ di oro nelle monete era discussa in un meeting a Lucca.

 

La verita’ e’ che il processo di globalizzazione non e’ per forza quello che abbiamo visto, e puo’ essere un processo molto vantaggioso SE si aggiunge il fattore X: se lo stato, cioe’ la politica, entra in campo e decide di alzare gli stipendi qualora si tiri troppo la corda.

 

Non importa il fatto che la Cina alzi o abbassi gli stipendi, in realta’: le grandi aziende DEVONO pianificare. Se improvvisamente  lo stato entra nel gioco a gamba tesa e cambia le cifre, la pianificazione va a puttane.

 

Questo improvviso cambio della moneta, deciso dal governo, NON ha fatto piacere a quelli che producono in Cina. Cosi’ come l’aumento dall’11 al 31% delle tasse per le imprese straniere, deciso 2 anni fa. E cosi’ come gli aumenti, 20% a botta, che il governo ha ordinato sugli stipendi.

 

Ma a quel punto , che il governo abbassi o alzi la moneta, che alzi o abbassi gli stipendi, c’e’ sempre il rischio: se gli stipendi si abbassano, magari questi ritornano alla campagna. E magari consumano di meno.

 

Ecco, vorrei chiarire questo punto: la globalizzazione e’ un processo che potremmo usare tranquillamente per crescere noi E far crescere altri, a patto che si chiarisca in anticipo una semplice regola. E cioe’ che, quando e se lo riterranno opportuno, i governi cambieranno le regole del gioco a vantaggio della popolazione.

 

Ovvero, l’esatto opposto dell’accordo di ingresso nel WTO.(2)

 

E’ chiaro che forse un accordo che porti tutti i governi a praticare simili politiche, su scala globale, e’ quasi impossibile. E’ pero’ teorizzabile all’interno della UE.

 

Allora, possiamo fare una cosa: decidere, almeno all’interno della UE, che i paesi periferici, in seguito all’aumento del PIL dovuto ad interventi stranieri, devono pianificare aumenti forzati delle retribuzioni. Cosi’, e’ vero che inizialmente le aziende dei luoghi a redditi piu’ alti delocalizzano: ma non appena quei paesi crescono, gli stipendi vengono alzati per legge, e quei signori diventano consumatori, facendo tornare a casa l’investimento.

 

Pazzesco? Beh, dipende da chi lo fa. Come ho gia’ detto, il governo cinese ha alzato le retribuzioni in un modo molto marcato, mediante decreti, e non mi sembra che qualcuno si stia stracciando le vesti.

 

Di base, e’ vero che le economie dei paesi emergenti ci metteranno molto a crescere. Ma e’ anche vero che si puo’ pilotare la crescita, ponendo delle tappe forzate di rialzi dei redditi gestiti dagli stati. Come hanno fatto i cinesi.

 

Cosi’, il problema e’: visto che il modello di successo e’ la Cina, perche’ non iniziamo ad imitarla? La FIAT valutava la polonia o il meridione italiano perche’ ormai la Polonia e’ arrivata ad una distribuzione del reddito simile. Se a quel punto, all’interno della UE, Italia e Polonia fanno una politica “cinese” dei redditi, dove va FIAT? E specialmente, in quale nazione il management puo’ davvero GARANTIRE , una volta iniziata la moda di alzare gli stipendi per legge, che non arrivi un aumento dei redditi ordinato dal governo?

 

Questo e’ il vero punto, ovvero il fatto che se UN solo governo in Europa alzasse per legge gli stipendi, nessun paese europeo, dell’ Est o meno, sarebbe abbastanza sicuro. Ma se l’aumento fosse inferiore ai costi di trasporto e di trasferimento, non converrebbe andare ancora piu’ lontano.

 

E’ possibile, quindi, se il governo decide di entrare a testa bassa nella mischia, calcolare i costi medi della delocalizzazione (che esistono), e decidere per un aumento generalizzato degli stipendi. Per legge. Da un giorno all’altro.

 

Poiche’ i cinesi lo hanno gia’ fatto, e’ sufficiente convincere altre tue o tre nazioni-bersaglio  a farlo, e la globalizzazione continuera’ (non puo’ fermarsi) nell’unico modo possibile: ampliare i mercati.

 

Questo e’ stato, tranne che in Cina, il solo pezzo mancante del processo di globalizzazione: l’intervento del governo sui redditi.

 

Il resto, a prescindere dalla vicenda di FIAT, e’ tutto fiato sprecato.

 

Uriel

 

(1)Oddio, tra tasse e altro il costo del lavoro in Cina e’  raddoppiato (e a volte oltre) negli ultimi 3 anni.

 

(2) Si, cacciateli pure dal WTO, adesso. Ahaha.

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