Il cambio di speranze.

Mi chiedono un update sul mondo della finanza. In effetti c’e’ stato un certo cambio, nel senso che due grossi cambiamenti di visione hanno cambiato un pelo le regole. Il primo cambiamento e’ stato il drastico calo di consenso di Obama, che mette a rischio un futuro bailout di enti finanziari americani. Il secondo e’ un drastico cambiamento del wishful thinking, che di fatto ha modificato il comportamento degli investitori.

Sul primo evento, poco da dire. Con Obama al potere, chi fosse fallito “stile Lehman” avrebbe goduto di grossi bailout, di grossi finanziamenti ed aiuti, e di un fondamentale aiuto da parte della FED americana . Il problema e’ che la stessa cosa non si puo’ dire dei repubblicani.
I repubblicani in corsa per scalzare Obama hanno un programma economico chiaro, che e’ di ridurre il bilancio pubblico al 20% del GDP. Questo significa che non saranno possibili, dal bilancio pubblico, dei bailout o delle operazioni di stimolo per salvare entita’ -anche legate al governo, come i famosi fondi per la casa- in fallimento.

Cosi’, nel momento in cui improvvisamente i perdenti repubblicani hanno avuto il loro rampup e la popolarita’ di Obama ha iniziato a scricchiolare -come sta scricchiolando- , chi aveva intenzione di fallire a spese del governo si e’ dovuto fermare. E’ infatti ragionevolissimo che dei neoeletti repubblicani, che comunque devono anche fare i conti con l’ala di persone fedeli alla linea di Ron Paul, non spenderanno una sola lira del governo per aiutare enti che falliscono.
Quindi, nonostante non ci sia un solo hedge ed un solo fondo pensionistico statunitense ad uscire senza danni enormi dalle speculazioni , probabilmente non ci saranno fallimenti clamorosi, a meno che non vinca di nuovo Obama.
Questa rimonta dei repubblicani ha causato un grosso cambio nelle strategie dei grandi finanzieri, che ancora ricordano come in passato non ci fu nessuna remora nel lasciar fallire Enron e/o Wordcom.
Il secondo punto e’ che si vedono all’orizzonte le prime nuvole di uno “sboom” nel mondo dell’ IT. Che sia Facebook o che sia Twitter, il primo che cede portera’ dietro di se’ i mercati, a valanga. Il fatto che nel mondo IT si profilino gia’ “aziende salvezza”, come Apple, che vengono comprate a iosa, lascia intendere un certo “cauto panico”.
E’ abbastanza chiaro che oggi nessuna borsa potrebbe reggere, oltre ai guai attuali, anche uno sboom dell’ IT. Quindi, il principio e’ che nessuno fara’ cazzate tanto grosse. Se il mercato europeo dell’ IT si contraesse, per dire, immediatamente ci sarebbero delle cirfre negative a due zeri. Se consideriamo che a fronte di cali del GDP di ~2/3% c’e’ un calo di consumi nell’ IT che va attorno a ~10/11%, capite subito che se qualcun altro colpisce il consumatore europeo, molte realta’ rischiano la bancarotta.
Qui arriva la seconda grande onda che sta lentamente cambiando le regole del gioco. Se osserviamo l’andamento dell’economia mondiale e la sua contrazione, e pensiamo che essenzialmente e’ riconducibile ad una contrazione dell’economia europea, non ci vuole molto a capire che un vi siano dei fattori di moltiplicazione ENORMI in gioco.
Alcuni li attribuiscono al fatto che la UE sia la zona finanziaria piu’ integrata del mondo, altri al fatto che sia una zona con dei consumi procapite molto alti, io personalmente alla quantita’ immensa di CDS e derivati esotici venduti con titoli europei come sottostante.
Ma il punto e’ questo: la contrazione dell’eurozona del ~2/3% del PIL e’ stata sufficiente a devastare il commercio mondiale, stroncare le ambizioni di crescita di 4 BRICS, causare lo stallo dell’ economia USA e di rallentare la crescita mondiale.
Cosi’ qualcuno ha cominciato a chiedersi che diavolo succederebbe se si spezzasse la zona EURO. E poiche’ l’oscillazione potrebbe essere attorno al 10% nelle economie UE, e visti i fattori di moltiplicazione in gioco, hanno tratto la conclusione corretta: viste le reazioni avute con una semplice oscillazione del 2/3% , la rottura della zona euro cancellerebbe completamente il mondo della finanza cosi’ com’e’ adesso, in ogni paese del mondo, porterebbe i trattati internazionali come WTO ed altri ai tempi del trattato di Versailles, produrrebbe il collasso quasi completo del commercio su scala globale.
Cosi’, sto assistendo ad un fenomeno bizzarro , almeno sulla stampa anglosassone. Se prima si beavano, con una certa maligna soddisfazione, dei mali europei, ed ogni articolo era un wishful thinking riguardante il crollo dell’euro, oggi abbiamo , persino sul quotidiano di Confindustria, un accorato appello per salvare l’euro. E questo da parte degli stessi intellettuali che si sentivano quasi gemere di piacere qualche mese fa, quando parlavano dell’  “inevitabile” dissoluzione dell’ Euro.
Qualcuno si chiedera’ perche’ questi soloni non avessero considerato prima il danno causato dalla dissoluzione dell’ Euro. Ci sono alcune ragioni, insite nella cultura finanziaria mainstream.
La prima era quella di pensare , da parte degli anglosassoni, che le economie inglesi ed americane potessero sopravvivere senza i consumi dell’ area dell’ Euro. Invece e’ bastato che per un anno il GDP della zona si abbassasse del 2% per devastare ogni economia ed ogni mercato finanziario del mondo.(1)
Cosi’ oggi e’ vero che gli speculatori potrebbero dare una nuova spallata all’ Euro. Il guaio e’ che adesso hanno ben chiaro che affonderebbero anche loro, e specialmente che i danni subiti da entita’ finanziarie sono di ordine maggiore a quelli subiti dalle nazioni assalite. (2)
Il secondo errore e’ stato quello di sottovalutare l’impatto dell’area euromediterranea nella formazione del GDP dei paesi emergenti. A quanto si e’ visto, e’ bastato che vi fossero le primavere arabe nel mezzo di una crisi finanziaria per neutralizzare completamente l’intero blocco, e a quel punto improvvisamente le previsioni di crescita dei BRICs sono andate a ramengo. Gli anglosassoni si aspettavano di poter interagire coi BRICs per fare a meno della zona euro, e hanno scoperto che anche i loro investimenti in quei paesi sono a rischio. Insomma, o c’e’ una borsa su Marte, o non c’e’ modo di salvarsi dal crollo dell’ Euro.
Contemporaneamente, e’ stato un florilegio interessante di esperti tedeschi che si sono messi a “calcolare” che in 4-5 anni, con una perdita di “soli” 10% del GDP, la Germania potrebbe ripagare eventuali danni dell’uscita dall’ Euro. Questo ha causato un grosso cambiamento dell’opinione pubblica tedesca, che oggi ad un referendum voterebbe almeno al 50% contro la moneta unica per tornare alla “Vecchia Germania”, quella pre-Schroeder.
E come se non bastasse, questa inversione sta portando punti a favore di Frau Merkel, la quale sta vedendo il suo consenso crescere dopo il calo di qualche mese fa, proprio per via della linea “dura” che ha seguito.
In pratica, quelli che prima remavano contro l’ Euro si sono resi conto di non poter resistere, in nessun modo, al crollo della moneta unica. E quelli che si suppone fossero a favore della moneta unica stanno -bluffando o meno- paventando l’idea di uscirne.
In pratica, il grande cambiamento, ed il motivo per il quale vedete finanzieri americani e premi Nobel pubblicare accorati appelli per l’area Euro, e’ che qualcuno si e’ , per usare un linguaggio da guerra fredda, procurato la certezza di mutua distruzione reciproca.
Cosa succedera’ ora? Probabilmente le richieste della Merkel, cioe’ di avere un bilancio europeo comune ed una politica fiscale comune, unitamente al ruolo della BCE di controllore delle banche, hanno qualche speranza in piu’ di passare.
Nel senso che la Merkel terra ferma la barra in questo senso, visto che le porta consenso. Oltremare, del resto, hanno capito che non possono permettersi altri problemi della zona Euro, e anche i BRICs hanno chiaro che non si salverebbero se l’ Europa tornasse a frammentarsi in 27 entita’ , ognuna piu’ protezionista dell’altra.
Il calcolo, cioe’, e’ che in una eventuale crisi dell’euro, o anche in un breakdown in due macromonete , ognuna delle parti cercherebbe di tutelarsi contro il rischio di cambio, imponendo delle politiche difensive alla frontiera. Stop ai capitali, stop all’integrazione finanziaria (per dirne una, la borsa di Milano verrebbe quasi certamente nazionalizzata e tolta agli inglesi) , a puttane il trattato di Basilea e fortissimi limiti a quanto prescritto dal WTO.
Si tornerebbe alla situazione pre-SME, con gli uffici dogana nelle grandi aziende, l’esportazione di valuta punita come reato penale,  e una fortissima penalizzazione di rischio per i prodotti stranieri, con relativa protezione delle economie nazionali. E una volta avuti privilegi protezionistici sul mercato interno, sara’ quasi impossibile ripetere di nuovo il processo di integrazione.
In queste condizioni, nessun grande dealer, nessun grande trader, nessun grande ente finanziario ha la piu’ pallida possibilita’ di esistere come e’ oggi: se, come accadeva un tempo,  quando per spostare cifre piu’ grandi di un miliardo di lire occorreva l’autorizzazione di Palazzo Coch, fosse impossibile il trading internazionale, gli investitori si rivolgerebbero al mercato azionistico od obbligazionale del luogo, e i grandi investitori internazionali sarebbero tagliati fuori.
Allo stesso modo, chi oggi specula sui futures dovrebbe ricordare come, un tempo, per esportare o importare cifre rilevanti di qualsiasi bene dall’italia occorresse un benestare apposito del ministero del commercio estero. Che ci sia il WTO o meno, questa era la procedura, e questa tornerebbe ad essere, per semplice difesa contro il nuovo rischio di cambio e di fuga.
Lo stesso dicasi per gli investimenti esteri: un tempo per garantire l’accesso di un prodotto al mercato occorreva un incontro presso una ambasciata , che coinvolgesse gli sherpa e i rispettivi ministri del commercio. Mettiamo che Fiat volesse vendere in Francia e Renault in Italia.
I due boss, in delegazione coi ministri, si incontravano e dicevano “allora, tu vuoi che io apra il mio mercato, 60 milioni di persone, alle auto francesi. E la francia cosa mi da’?”. E i francesi dicevano “noi apriamo il mercato alla Fiat, e la dimensione e’ circa la stessa”. E cosi’ si faceva l’accordo.
Ovviamente, questo non funzionava tra, diciamo, Finlandia ed Italia. Succedeva questo.
I finlandesi e gli italiani si incontravano, e ad un certo punto i finlandesi dicevano “noi vogliamo che apriate il mercato ai cellulari di Nokia”. Il governo italiano diceva “Ehi, io ti apro un mercato di 60 milioni di abitanti. E tu cosa offri?”. E allora dicevano, che so “io apro il mercato finlandese al tale prodotto italiano”. E il ministro diceva “ma ci hai presi per scemi? Il tuo mercato e’ di 5 milioni di anime”. E cosi’ , la Finlandia non avendo un mercato interno forte non aveva potere, e come risultato Nokia, se voleva vendere in Italia, doveva aprire una fabbrica in loco, e assumere da una lista fornita dal governo. Altrimenti, ciccia. Ed era gia’ fortunata che IRI non avesse creato anche un’azienda di cellulari con corsia preferenziale negli appalti publici.
Il mondo pre-UE non era un mondo semplice per chi aveva dei mercati piccoli. Se i paesi con mercati interni a due zeri potevano ottenere sempre cio’ che volevano, quelli con dei mercati interni piccoli non avevano nulla da offrire in cambio, e quindi per poter vendere nei mercati piu’ grandi dovevano aprirvi le fabbriche. Se in Italia c’erano tante fabbriche olandesi , per dire, c’e’ una ragione specifica: l’ Olanda non riusciva a bypassare nessun protezionismo di stato, se non promettendo di impiantare fabbriche. Ovviamente, esse sono scomparse dopo l’arrivo degli accordi UE, visto che il protezionismo non era praticabile.
Insomma, alla fine ad averci guadagnato con l’ Euro sono i paesi ricchi e piccoli, come Irlanda , Olanda, Finlandia, Belgio, Austria, e questo vi spiega perche’ piccoli paesi come Croazia ed altri vogliano entrarvi: superano lo stato di inferiorita’ che altrimenti e’ inevitabile quando si hanno piccoli mercati interni e tutti praticano il protezionismo.
Quella che ho descritto non e’ una ipotesi, e’ come funzionavano le cose in UE prima che ci fosse la UE, ed e’ quanto rimarrebbe in piedi se cadesse l’impalcatura UE, perche’ l’impianto legislativo pre-esistente, e difficilmente qualcuno avrebbe il tempo di rifare ogni cosa daccapo.
Cosi’, oggi finalmente tutti, ma proprio tutti, temono la caduta dell’ Euro. E la Merkel bluffa, perche’ oggi sono i cosiddetti mercati a dover andare da lei a chiederle di mandare avanti il progetto.
Come finira’, probabilmente lo vedremo a breve.
Uriel
(1) L’austerity in questo senso si e’ rivelata una vera e propria arma contro gli speculatori. Le nazioni che praticano austerity sono ancora li’, mentre nemmeno i piu’ abili tra gli speculatori non sanno dirvi se esisteranno ancora nel 2013, visti i bilanci di alcuni Hedge. Quando ci sono i tedeschi di mezzo e’ sempre questionabile se abbiano fatto bene a sparare, ma normalmente il colpo arriva a segno con una certa precisione.
(2) Circa un fattore 10, attualmente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *