Ci sono cose che fanno incazzare. Fanno incazzare per via dell’indifferenza con la quale vengono trattate, specialmente da quelli che sono specializzati nell’indignarsi a comando, che si indignano per questioni di forma (sempre) e mai per questioni di sostanza. Mi riferisco ad una notizia particolare, questa.
Ora, non me ne frega niente del problema partitico. Probabilmente questo freghera’ qualcosa a coloro che mi diranno che siccome e’ di FI, e allora Dell’ Utri e blabla, allora e’ un mafioso e semmai e’ il giudice ad essere corrotto e ammazzasentenze. Ma chi se ne frega?
Il punto e’ che ci sono due giudici che non la pensano allo stesso modo. E c’e’ una regola di civilta’ giuridica, “in dubio pro reo” , che e’ ormai e’ comune ai paesi civili. Ai paesi civili, ma non all’ Italia. Il che significa che , essenzialmente, se uno assolve e uno condanna, quello che vince deve essere quello che assolve. Eh, gia’, si chiama civilta’ giuridica.
Ora, il succo della discussione e’ che qualcuno si sia fatto SEI ANNI di carcere in una situazione nella quale la sentenza era dubbia. Il problema e’ il metodo. E qui vorrei aprire una parentesi.
La magistratura non fu mai riformata veramente con la fine del fascismo. I giudici considerano qualsiasi garanzia a favore dell’imputato , o della difesa, come un ostacolo alle indagini. Il loro modo di procedere deriva dal Codice Rocco.
Il Codice Rocco prevedeva un’azione penale che di fatto era completamente a favore dell’accusa. In definitiva, in quasi tutti i processi si veniva condannati, perche’ l’accusa aveva la possibilita’ di indagare in segreto, di non rendere pubbliche le prove sino al dibattimento, di aggiungere altre eventuali prove senza preavviso, e di fatto il primo livello di processo era sempre negativo per l’inquisito.
Il magistrato non faceva altro che raccogliere (e non doveva neanche dire come) le prove che gli servivano, e nascondere (o cancellare) tutte le altre. Scriveva poi un romanzo che sembrasse credibile, usando i termini piu’ forti e impressionanti possibile per la giuria. Quello che otteneva era un libretto di maldicenze, indizi forfettari e prove incomplete, cui i giodici generalmente credevano perche’ essenzialmente la difesa non aveva quasi alcuna possibilita’ di fare controindagini, perche’ non ne avevano il tempo non conoscendo il fascicolo dell’accusa, se non in parte.
Per questa ragione, i padri della costituzione hanno scritto che l’imputato e’ innocente sino al massimo grado di giudizio: il primo grado di processo “giusto” secondo i termini di una civilta’ moderna era la corte d’appello.
In appello, infatti, la difesa poteva finalmente conoscere le accuse in tempo per prepararsi a controbatterle. Solo in appello, la difesa aveva il tempo di preparare una dialettica che demolisse le maldicenze ed i pettegolezzi che costituvano gran parte dell’accusa. Col codice Rocco, in pratica, tutto faceva brodo: tre indizi facevano una prova, e il libero convincimento del giudice era solo una valutazione della moralita’ dell’imputato.
In pratica, se il PM poteva dimostrare che avevate tradito vostra moglie, era quasi certo che sareste stati condannati per frode aggravata, per quanto gli indizi della frode fossero quasi inesistenti. Avrebbe scritto un dossier di stampo fascista il quale mirava innanzitutto a screditarvi, e non era assolutamente tenuto a dimostrare quanto diceva, perche’ poteva menzionare “fonti al di sopra di ogni sospetto” e “informatori della polizia”, semplicemente chiamando a testimoniare poliziotti.
L’avvocato riceveva un accidente di fascicolo di accusa del tutto incompleto, e soltanto al processo riusciva a raccogliere tutte le accuse. In definitiva, quindi, il codice Rocco ha formato una classe di magistrati che:
- Scrivono dei pamphlet di pettegolezzi, ingiurie, informazioni raccogliticce.
- Li organizzano in un romanzo che sembri razionale.
- Se ne fottono di informare la difesa o lo fanno peggio che possono.
- Trovano il modo di aggirare qualsiasi tutela a favore dell’imputato.
L’ultimo punto e’ del tutto culturale. Facciamo un esempio: in teoria il domicilio e’ inviolabile. Inviolabile significa che non puo’ essere violato per cercare le prove, ma solo per trovarle. Per trovarle significa che non posso mandare la polizia a casa vostra per vedere SE avete la droga. Significa che posso venire a casa vostra per trovarla: nelle ragioni per cui vi irrompo in casa ci deve essere qualcosa come “poiche’ pinco pallino e’ stato trovato in possesso di droga nei pressi della sua abitazione, si pensa che tenga ingenti quantita’ di droga in casa”.
Questo e’ un concetto molto chiaro, ma il magistrato lo aggira abitualmente: cerca tra gli innumerevoli fascicoli in attesa quello di un delinquente abituale denunciato per droga. Manda due o tre sbirri a dire al delinquente che, se scrive il vostro nome sulla sua agendina, gli perquisiranno casa il giorno tot e poi archivieranno. Deve solo fare un favore al magistrato: scrivere il vostro nome da qualche parte.
A questo punto avviene la perquisizione, il nostro piccolo spacciatore naturalmente ha ripulito la casa avendo avuto notizia ben prima, ma il vostro nome e’ stato trovato nella sua agenda: si e’ creato il “fumus criminorum” che basta al nostro magistrato per mandarvi una perquisizione a casa. E le garanzie costituzionali a vostro favore sono state aggirate.
Questo e’ solo un esempio per dire una cosa: se pensate di godere di qualsiasi diritto, in Italia, ve lo scordate. Molti di voi pensano, per esempio, che dobbiate vedere un mandato di perquisizione da chi viene a perquisire casa vostra. Il che e’ falso: quando la polizia arriva e vuole entrare a casa, non potete cacciarli, perche’ sarebbe “resistenza ad un pubblico ufficiale”. Quindi possono arrivare in casa vostra, buttarvi fuori ed eseguire la perquisizione. Potete anche chiamare l’avvocato di turno, sia chiaro: vi dira’ di lasciarli fare, perche’ seno’ vi arrestano pure.
Cosa potete fare? Potete chiedere in sede di riesame che la perquisizione sia considerata nulla perche’ non c’era il mandato. Pessima idea, perche’ spenderete dei soldi per il ricorso e il tribunale del riesame dira’ sempre la stessa cosa: “le esigenze dell’indagine prevalgono“.(1)
Cosi’, la magistratura ha evoluto tutta una serie di strategie per eliminare qualsiasi tutela a favore dell’imputato, per la semplice ragione che viene dal Codice Rocco, ovvero dalla cultura dei tribunali fascisti.
Lo stesso dicasi degli interrogatori: a parte il fatto che non sempre avvengono in presenza dell’avvocato, agli interrogati(2) puo’ essere puntato alla testa un revolver carico, l’imputato viene minacciato di una “fuga di notizie” che lo dipinga sui giornali come pedofilo(3), viene tenuto mesi o anni in carcere per piegarne la volonta’, quasi sempre viene picchiato (4) , e se in carcerazione preventiva si fa in modo da farlo picchiare dai secondini oppure di lasciarlo stuprare dagli altri detenuti.
Questo e’ il punto della situazione: non siamo molto diversi dall’ Egitto di Mubarak o dalla Tunisia di Ben Ali o dalla Libia di Gheddafi.
Ma andiamo al punto: il fatto e’ che usare questi metodi e’ un rischio se la gran parte degli imputati si rivela poi innocente. Cosi’, bisogna inventare le prove. E ci sono diversi modi per inventare le prove, anche se quasi tutti passano per lo stesso strumento: il testimone o il pentito.
Esiste un solo tipo di prova. accettata giuridicamente come tale, che possa essere inventata: la testimonianza.
Ma non e’ che “testimone” sia solo colui che durante il processo si mette sul banco degli imputati. Testimone e’ chi in generale produce la testimonianza.
Grazie alla mole di denunce in coda, il magistrato ha in genere tutta una serie di delinquenti sulla brace. Ai quali delinquenti puo’ proporre il seguente patto: “senti, io faccio in modo che il tuo fascicolo sia archiviato, se tu vai nel bar X, dove io ho piazzato una microspia per intercettazione ambientale, e dici la tal cosa”.
Fatto questo, il nostro delinquente va nel tale bar, insieme ad un compare, e dice “Caio ha dato la droga a tizio”. In cambio, qualche fascicolo a suo carico viene misteriosamente chiuso o perso. Ma tizio finisce in un nastro dove c’e’ una “intercettazione ambientale” dove si sostiene che lui abbia ricevuto droga da Caio. Fatto: ecco una bella prova, prodotta ad arte.
Stessa cosa con le intercettazioni telefoniche: non solo contengono notizie di reato le intercettazioni dove qualcuno parla con voi, ma lo fanno anche quelle dove un tizio parla con caio. Per incastrarvi non fanno altro che prendere i due soliti delinquenti (o due prostitute: ricorda qualcosa?) e in cambio di qualche favore (tipo: sei extracomunitario ma non ti faccio espellere) chiedono loro di raccontarsi qualcosa al telefono.
Casualmente, in quel momento le due persone vengono intercettate e puf, c’e’ l’intercettazione contro di voi. E spesso non c’e’ nemmeno bisogno di intercettazioni. Capita spesso che la gente sia accusata di frequentazioni strane perche’ un delinquente “amico” del magistrato gli telefoni a casa, facendo scena muta per qualche secondo o fingendo di fare televendita. Il risultato e’ che sui tabulati risulta che “avete ricevuto ben ventidue chiamate dal noto spacciatore tizio in un mese”.
Infine ci sono i pentiti, ma di questo argomento ormai si e’ parlato troppo.
Il punto, quindi, e’ che se le prove sono dichiarazioni di altri (intercettate o meno) , di fatto si tratta di “prove” che i magistrati sanno produrre ad arte. Un altro punto e’ la falsificazione della voce. L’avvento dei cellulari e’ tale che le linee sono “disturbate”, ed in ogni caso la quantita’ di banda in una trasmissione telefonica (4 khz) rende quasi impossibile la perizia vocale. Un mediocre imitatore o un individuo con mediocri qualita’ imita tranquillamente la vostra voce al telefono senza che sia possibile distinguerle, e una vera perizia e’ quasi sempre impossibile perche’, guarda caso, nelle intercettazioni c’e’ sempre qualche fischio, qualche fruscio di fondo, qualche rumore di fondo, qualche disturbo di rete. Inoltre sono pochissimi in Italia i centri capaci di fare delle vere perizie sulla voce: tutto quello che arriva al processo e’ una trascrizione delle telefonate.
In questo contesto, succede che una persona fa sei anni di carcere. Fa sei anni di carcere perche’ esistono delle persone (pentiti e malavitosi “intercettati”) che dicono che questo individuo abbia fatto delle analisi cliniche ad un latitante.
MA che cosa succede? Succede che la persona e’ di Forza Italia, e si sa, qualsiasi accusa fatta ad uno di forza italia deve per forza essere vera: visto che dellutri blablabla, allora per forza di cose qualsiasi accusa di mafia e’ vera. Inoltre, la si puo’ mettere in galera a piacimento.
SEI ANNI.
Sei anni come Andrej Dmitrievic Sacharov. Sei anni di carcere perche’ ci sono delle voci di delinquenti (ma non prove dirette) , voci le quali dicono che il tizio una volta ha fatto delle analisi mediche a caio.
Nessuno si scandalizzera’ per questo. Nessuno paghera’ per questo. Anche adesso che l’appello ha sancito che quelle voci non bastano a dimostrare alcuna appartenenza in alcunche’, ne’ sono delle vere e proprie prove (“il fatto non sussiste”) , nessuno si scandalizzera’ perche’ l’imputato era di Forza Italia.
Sei anni di carcere per il solo fatto di essere del partito sbagliato. Sei anni di carcere e nessuno di quelli che oggi stanno manifestando contro le persecuzioni dei “regimi del mediterraneo” ha nulla da dire. Sei anni di carcere e nessuno di quelli che si indignano ad ogni minchiata ha qualcosa da dire. Sei anni di palese violazione dei diritti di una PERSONA, e nessuno ha nulla da dire.
Nel nostro paese, e non in Egitto, Libia, Tunisia, e’ possibile finire in carcere per SEI ANNI, come Sacharov, per il solo motivo di appartenere al partito politico che non piace ai magistrati. Come Sacharov. E finirete in galera per via di prove che qualsiasi magistrato sa produrre artificialmente : intercettazioni ambientali, testimonianze, pentitismo. Basta promettere impunita’ o altri vantaggi ad un piccolo delinquente per farsi fare il favore di indicare voi come complici.
Questo non succede in Libia. Non succede in Egitto. Non succede in Tunisia.
Succede in Italia. Un regime del Mediterraneo nel quale se non siete del partito che i magistrati amano, potete finire in carcere per sei anni, per poi venire assolti perche’ qualcuno dice che non avete mai fatto niente.
Viene solo da chiedersi quando il regime italiano, il regime dei magistrati, potra’ cadere. Ma chiunque sara’ a farlo cadere, non sara’ di certo chi fino ad oggi sta applaudendo come “legalita’” ogni azione del regime.
Perche’ anche sterminare gli ebrei veniva fatto nella piena legalita’. Ma non e’ che fosse carino, eh.
Uriel
(1) In italia, nel caso di processi penali, la cosa migliore da fare e’ di non spendere soldi e di non perdere tempo ad opporsi , ne’ di parlare se interrogati. Le vostre chances di uscire dalla macchina kafkiana della giustizia iniziano il giorno del processo, giorno cui invariabilmente arriverete, per la semplice ragione che il magistrato vi ha sui coglioni. No, il crimine non c’entra: il magistrato procede per altre ragioni.
(2) Eccetto ai mafiosi. Di quelli si cacano sotto, e li trattano coi guanti.
(3) E’ successo a Garlasco, per dire. Ed e’ successo anche col processo del bambino ucciso a Parma, se non ricordo male. Si tratta di uno strumento di pressione: se non confessi quello che voglio io, allora io causo “una fuga di notizie” nella quale dico che ho trovato immagini pedofile a casa tua. Regolarmente gli imputati vengono assolti dalle accuse, ma non e’ questo l’obiettivo.
(4) Non e’ un caso che la gente muoia di botte in questura e i medici scrivano sempre che e’ stato un “arresto cardiocircolatorio” : si tratta di un metodo ben collaudato.