Haterz

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Ho detto diverse volte che, durante la mia partecipazione volontaria alla “Meme War” del 2016,  (noto che ora non considerate piu’ cosi’ pazzesca la mia affermazione “la sinistra americana vuole una guerra in Europa), ho incontrato su alcune chat degli esperti di “hate speech” e di “character assassination“, che mi hanno spiegato alcune cose, per cui sono tornato a fare il blogger.

Da quel momento, ogni volta che lo dico ricevo delle richieste su cosa io abbia imparato, e sono sempre stato riluttante a spiegarlo perche’ la vera domanda e’ “cosa dovresti DIS-imparare”.

Mi spiego meglio.

Quando nacquero i primi social, che vennero chiamati “web 2.0” dai soliti cialtroni, chiaramente l’industria scopri’ che era una cosa buona per la pubblicita’, ma mancavano gli esperti.

Una genia di persone , caratterizzata dalla disoccupazione cronica e dagli studi pressoche’ inutili, decise di farsi un corso al CEPU (o all’equivalente del periodo), e si autonominarsi “social consultant”, o esperto nella comunicazione social, o tutte quelle figure inutili, quando company-fashion e cool. E specialmente, 100% incompetenti sul lavoro che dicevano di saper fare. E hanno letteralmente plasmato, al suono di idee assurde, il web 2.0 nel modo che serve a far nascere polarizzazione e odio in rete. E’ dunque colpa di una categoria di “s-professionisti” autoinventati, che si limitavano a ripetere a pappagallo le altisonanti minchiate dette dal “futurologo” di turno.

Togliersi di dosso gli haters e quelli che praticano character assassination, o meglio: non averne piu’ il timore, e’ qualcosa che richiede non tanto di imparare nuove cose, ma di dis-imparare le cose dette dai “futurologi” e dagli “esperti di social media”.

In alternativa, conviene basarsi sulle poche cose certe che la psicologia conosce dell’uomo, riguardo all’origine dell’aggressivita’. L’aggressivita’ in rete origina da tre fattori fondamentali:

  • la disumanizzazione
  • l’azzeramento dell’identita’ e della reputazione degli attori.
  • la diluizione della responsabilita’

sino qui sembra di averlo gia’ sentito dire, ma le cose non stanno cosi’. Occorre CAPIRE cosa si intenda con questi termini.


Quando un giornalista ci parla di “deumanizzazione” o di “disumanizzazione” normalmente cita l’esempio dell’ebreo disumanizzato dai nazisti. Siccome si parla di “vittime della disumanizzazione” viene spontaneo pensare che sia cosi’ perche’ gli ebrei erano vittime, ma l’esempio e’ sbagliato.

Anche Superman e’ deumanizzato. Cosi’ come Chiara Ferragni , Fedez, Bill Gates , e chiunque non sia “uno di noi”.

La maniera migliore di tradurre “umano”, infatti, e’ “uno come me”, dal momento che tutti diamo per scontato di essere umani. In gruppo, “umano” e’ “uno come noi”, attribuendo l’umanita’ a dei tratti comuni caratteristici del gruppo.

Superman, cosi’ come San Giorgio , Flash Gordon, Hitler, e tanti altri, sono figure deumanizzate, o disumanizzate. Questo vale anche per tutte le gerarchie, dal generale (visto dai fanti) alla persona che vi legge il telegiornale. L’attore e’ disumanizzato, cosi’ come l’atleta. Che sua subumano, sovrumano, o semplicemente “diverso da noi”  , la disumanizzazione e’ automatica.

Come si allaccia il discorso al discorso blogger? Siccome io sto parlando a voi, mi sto disumanizzando. E se ci fossero dei commenti, il gruppo dei commentatori sarebbe diverso da me, che scrivo le cose che commentate. E siccome non sarei “uno come voi”, sarei gia’ disumanizzato.

Sarebbe molto diverso in un forum, o su Usenet, dove tutti scrivevano e non esistevano gerarchie de facto. Ma se diciamo che ogni persona “con una reputazione web” deve “costruirsi una community” stiamo parlando di disumanizzazione. Poi, esistono molti tipi di disumanizzazione, uno spettro che va dal subumano al sovrumano, e questi cazzari del web 2.0 dicono che il trucco e’ stare dalla parte del sovrumano. In realta’ un ecosistema del genere implica che esisteranno dei subumani, quindi non c’e’ scelta: una volta creato un sistema dove esiste un “noi” (i fans/commentatori/community) e un “lui”, (chi scrive, l’autore, etc) , abbiamo gia’ disumanizzato il “lui”.

Il primo pilastro , cioe’ l’autore (il copywriter, l’influencer, etc) e’ disumanizzato, e viene dalle parole incompetenti degli “esperti di social”. E lo dico perche’ sono esistite le alternative, da usenet a friendfeed, ed esistono ancora (ycombinator, reddit, etc).

Chi dice che attorno ad un blog deve esserci “una comunita’ ” sta costruento il primo pilastro dell’odio in rete. La disumanizzazione.


Il secondo punto e’ il sottile confine che passa tra identita’ e reputazione.

Tutti i clarlatani del web 2.0 intendono come anonimo colui che non usa sui social le credenziali che lo stato gli assegna. Insomma, se siete Ivo Balboni e andate su Facebook come “Gawd on Earth” , siete per loro “anonimi”, mentre se usate le stesse credenziali che usa lo stato (Ivo Balboni) allora “non siete anonimi”.

Per esempio, se io dico “Loweel” o “Uriel Fanelli”, due caratteri inventati, in venti anni di Blogging dietro questi nomi c’e’ una precisa “identita’ sociale”, ovvero una reputazione (buona o cattiva che sia). Quando Ivo Balboni, che pure sara’ il famoso macellaio in pensione di Surmallate sul Minchio, (3000 abitanti), apre un account su Facebook, non e’ un cazzo di nessuno.

Il nome “reale” , in un social di 2 miliardi di utenti, e’ ANONIMO.

Al contrario, un nome d’arte (se c’e’ una qualche arte, o una reputazione), e’ sicuramente un’identita’ piu’ forte.

Aver ribaltato l’ordine dei valori di “identita’” e “reputazione” fa si’ che, a meno di non essere famosi (cioe’ sovrumani, vedi sopra), TUTTI SIANO ANONIMI, ovvero un cazzo di nessuno con nome e cognome. Ah , ah, ah, Loredana Servelli, chi cazzo e’ questa? E’ il fenomeno per il quale Luce Caponegro diventa Selen nel porno, e “Selen” diventa MENO anonimo di “Luce Caponegro”.

Quando andate su Facebook con il vostro vero nome e cognome, avete due scelte: o parlate con le stesse persone che conoscete fuori (e allora Ivo Balboni torna ad essere il famoso macellaio di Surmallate sul Minchio, ) oppure Ivo Balboni e’ anonimo perche’ su scala Facebook non e’ un cazzo di nessuno.

Chi entra su Facebook senza essere famoso, se lo fa con la propria identita’ reale, la vede cancellata, rimpicciolita, annichilata. E diventa anonimo.

Perche’ e’ fondamentale? Perche’ essere privati di identita’ e reputazione e’ una nota causa di aumento dell’aggressivita’. Se foste entrati su Facebook come “Idan il Demone Impalatore di passere”, probabilmente non sareste diventati famosi, ma l’identita’ ad essere distrutta NON sarebbe la vostra.

Quando i cazzari del webz 2.0 si battono contro l’anonimato, in realta’ non hanno capito il punto: il nome “vero” di una persona comune, su Facebook, e’ anonimo. Viene completamente svuotato di importanza , storia e reputazione. E’ anonimo: J-Ax e’ famoso, Alessandro Aleotti chi cazzo lo conosce? E’ ovvio che l’anonimato J-Ax ce l’ha se prenota un albergo come Alessandro Aleotti, piu’ che J-Ax.

Non per nulla su 4chan, regno dell’aggressivita’ gratuita, tutti sono “Anonymous”, e cessa la possibilita’ SIA di avere una storia (le vecchie storie vengono cancellate) sia una reputazione (riconoscere la persona e’ difficile).

Ma i cazzologi del web 2.0 hanno sempre lottato , anche se da posizioni diverse, perla fine dell’anonimato, o per una privacy maggiore. In realta’ , dovrebbero essere le persone a scegliere il proprio pseudonimo, perche’ anche se non fosse noto agli altri, almeno rappresenta qualcosa per chi lo ha scelto, e la sua disintegrazione identitaria non colpisce la persona reale.

Chi ha portato miliardi di persone sui social chiedendo loro di usare la loro vera identita’ ha creato i presupposti per una gigantesca , quanto gratuita, aggressivita’ di massa. Un ambiente nel quale improvvisamente siete un cazzo di niente e di nessuno e’ un ambiente che rende aggressivi. 4chan docet.

Ma i cazzologi del web 2.0 non avevano idea di cosa stessero dicendo, e per motivi pubblicitari volevano i vostri dati veri. E cosi’ vi siete fatti stritolare identita’ e reputazione, diventando superaggressivi di conseguenza.

Se tutti entrassero sui social con uno pseudonimo, o piu’ di uno, sarebbero MOLTO meno aggressivi. Su un social da due miliardi di persone, ad essere anonimo e’ semplicemente CHIUNQUE. Tranne quelli davvero famosi su scala globale. Che sono pseudonimi, vedi alla voce Madonna, Marilyn Manson, eccetera.

Dimenticate il concetto di “identita’ ” e di “pseudonimo”, o di “reputazione online”. In realta’, su scala globale siamo tutti anonimi, e la reputazione al massimo va costruita mediaticamente , cosa per la quale uno pseudonimo funziona MOLTO meglio di “Ivo Balboni”.


La diluizione della responsabilita’ normalmente viene spiegata come “effetto branco” o “senso di impunita’ di gruppo”. Ma questa e’ una spiegazione banale. DImenticatela.

La diluizione della responsabilita’ non e’ altro che un fenomeno di dissonanza cognitiva: se io picchio una vecchietta e lei muore, sono stato io, e io devo dire a me stesso di aver originato la catena di eventi che ha causato la morte della vecchietta.

Non c’entra l’impunita’ (potrei farla franca anche in quel caso, se sono bravo a far perdere le tracce) e non c’entra nemmeno il senso di forza (posso uccidere una vecchietta anche senza branco). Quello che c’entra e’, appunto, la responsabilita’: la possibilita’ di percepire la realta’ del fatto che io ho fatto, in pratica e nella realta’, la tal cosa.

Quando succede che una persona dichiaratamente nazista viene arrestata per aver incitato ad uccidere , che so io, degli ebrei, scoprirete che la prima cosa che dice e’ “io non sono un nazista”. Apparentemente si tratta di un assurdo e lo e’: e’ una “dissonanza cognitiva”. La persona non vede se’ stesso a gridare che gli ebrei vanno bruciati, anche se lo ha fatto di persona. E non crede di essere nazista, pur dicendo di esserlo e predicando di esserlo.

Questa sconnessione (quasi schizofrenica) dalla realta’ e’ la “diluizione della responsabilita’” di cui si parla: l’individuo si “scorpora” da se’ stesso, e produce un avatar “sconnesso dal se'”. La persona che grida oscenita’ non e’ piu’ percepita come la stessa persona che sta dietro al monitor. Dalla stessa persona che sta dietro al monitor.

Non c’entra nulla il sentirsi forti o il sentirsi impuniti: c’entra il sentirsi “altri” dal proprio avatar. E questo e’ normale, dal momento che entrando su Facebook, l’individuo diventa un cazzo di nulla, mentre la persona a casa ha identita’ e reputazione. Il suo avatar su Facebook e’ uno stronzo qualsiasi, con un nome anagrafico reale, ma completamente uno zero.

Il fatto che ci sia un gruppo che partecipa allo stesso gioco, non fa altro che aumentare la sensazione di straniamento: chi sono quelli? Chi li conosce? Sono anonimi a loro volta. Il fatto di essere circondati da “mr nessuno” non da’ ne’ una sensazione di forza ne’ una di “impunita’ “. Da solo una sensazione di “straniamento”: se loro non sono nessuno, anche io non sono nessuno , e quindi non stiamo facendo NIENTE.

Non c’entra il fatto di essere uno in una massa: la postale vi trovera’. Non c’entra il fatto di essere forti o deboli: la polizia e’ piu’ forte anche di un branco.

Il problema e’ se siamo noi in persona a fare la cosa, o meno. La “diluizione della responsabilita’ ” NON consiste nello spalmare sul gruppo la responsabilita’, consiste nel considerarsi una parte cosi’ irrilevante da poter gridare “ebrei al forno!” e poi “io non sono nazista” senza che le due cose sembrino contraddittorie: lo zero non ha segno, ne’ positivo ne’ negativo. Se non sei nessuno, non hai fatto niente. Se eri circondato da tanti altri nessuno, e’ confermato che non siete nessuno. Fumo.  

Se “umano” significa “come noi”, e tutti noi siamo piccoli avatar con un nome che non conosce nessuno, allora umano significa “il signor nessuno”. E se non sono niente su Facebook, non potete accusare “me” di nulla. Non sono nulla. Quello che faccio non ha conseguenze. Non puo’ averne.

La disintegrazione dell’identita’ porta alla disintegrazione delle responsabilita’. Se sono nessuno, non ho fatto nulla. Se avessi fatto qualcosa allora sarei qualcuno, ma il mio nome su Facebook e’ solo un “chi cazzo e’ questo?”.


Tutte queste caratteristiche dei social sono state coltivate accuratamente dalla genia di cazzari 2.0 che hanno scritto le “strategie del webz 2.0” , cui i social si sono adattati per intercettare il business.

Pensateci bene: se un social avesse un tasto per rimuovere i commenti da sotto i propri post (oltre che bloccare gli autori) , o consentisse di attivare la moderazione preventiva sotto i propri contenuti , il mondo social sarebbe molto diverso. Ma il fatto che la persona debba SUBIRE i commenti ai propri contenuti, e che non abbia modo di ribellarsi se non selezionando i lettori che possono rispondere (twitter) o bannando persone (facebook) , la dice lunga su quello che i cazzari del web 2.0 hanno creato parlando di “free marketplace of ideas”.

Il problema e’ che i farlocchi del web 2.0 hanno inventato concetti come “lifestream” quando non “sharing” , che alla fine i social per accontentarli hanno fatto in modo che tutti potessero fare qualsiasi cosa a tutti.

Ma dove era scritto che io non possa cancellare i commenti e io debba subirli? Perche’ io devo chiamare un moderatore per supplicarlo di cancellare un commento offensivo ad un MIO post? Perche’ i farlocchi 2.0   hanno deciso che il lifestream andava condiviso con tutti. E questa cosa e’ diventata cosi’ mainstream che non viene mai messa in dubbio.

Per esempio , nella mia istanza del fediverso ci sono poche persone scelte. Una o due sono problematiche (una donna transessuale) e quindi…  sono tutti moderatori. Hanno cioe’ il potere di cancellare contenuti dall’istanza, quando sono nelle loro timelines. Li ho nominati io , che sono l’admin. Qual’e’ il problema? CHe una persona possa eliminare un commento tossico in risposta ad un proprio post?

Ma nessuno ha mai proposto nulla di nemmeno lontanamente simile. Twitter si sta muovendo leggermente dicendo che potete scegliere CHI puo’ rispondere, ma non vi danno la possibilita’ di cancellare il contenuto dai commenti del vostro post.

MA chi ha fatto questo? Chi non ha MAI chiesto questa feature ai social network. Chi ha sempre proposto un modello nel quale voi DOVETE mettere la vostra vita online (il lifestream, com’era cool!) e poi e’ doveroso consentire a chiunque di attaccarsi al vostro post e scrivere quel che vuole, perche’ e’ lo “sharing” e il “free market of ideas” e chi ha detto che se chi scrive potesse cancellare da solo le risposte moleste,  si sarebbe avuta la “echo chamber” dove c’era solo quello che vi piaceva. Per poi fare siti di modelle photoshoppate: che non e’ “echo chamber” se togliamo due o tre chili di cellule del nostro corpo dallo sfondo, ma lo e’ se togliamo dai commeni uno stalker.


Questi sono i concetti da dimenticare se volete costruire una vita social senza che gli haters vi diano piu’ fastidio piu’ di tanto:

  1. sui social fate “sharing” verso una “community”
  2. il social e’ il vostro “lifestream”
  3. si devono evitare le “echo chamber”
  4. “lo pseudonimo e’ anonimo”
  5. “il vero nome non e’ anonimo”.
  6. essere pseudonimi (il nick name ma non il vero nome)  e’ un male per forza

questa e’ la canzone dei pagliacci 2.0 che hanno reso tossici i social network. Dimenticatela. E cominciate a pensare che:

  1. sui social non condividete, ma pubblicate.
  2. il social deve farsi i cazzi suoi, e anche chi vi guarda: lifestream staminchia.
  3. le echo chamber sono semplicemente il posto dove state in pace.
  4. lo pseudonimo puo’ avere reputazione, come capita a molti artisti.
  5. il “vero nome” e’  anonimo perche’ non siete un cazzo di nessuno, a meno che non siate famosi col vostro nome.
  6. lo pseudonimo e’ una seconda/terza identita’, e nessuno ha mai detto che di identita’ ne basti una sola.

una volta dimenticate le cazzate degli “esperti di nulla 2.0” , e capito che cosa genera allora sarete in grado di contrastare il fenomeno.

Dovete solo ragionare su quello che avete (dis) imparato.

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