Early users.

Per chiudere un attimo la diatriba (ammazza quanta gente si e’ incazzata: gente, nessuno vi obbliga a leggere questo blog, eh) sulla lettura e sulla scrittura, volevo semplicemente chiarire un attimo alcuni punti. Si tratta di “fake arguments” che mi vengono messi in bocca ad arte. Innanzitutto: non ho nulla contro il fantasy solo perche’ dico che sia illogico. E’ illogico, specialmente da chi logica l’ha studiata all’universita’, ma questo non significa che mi dispiaccia. Il vero problema sono gli early users dei libri, che oggi si atteggiano a critici.

 

Una delle poche cose che salverei del mondo anglosassone sono i club di lettura. Il club di lettura e’ un club che si riunisce periodicamente a chiacchierare dei libri letti. Siccome si tratta di un club di lettura, ovvero di persone che sanno di essere lettori, tutto quello che fanno e’ di raccontare (senza spoilerare) che cosa sia piaciuto di un libro, e se hanno letto tutti lo stesso libro c’e’ un moderatore che presenta alcuni temi di cui discutere.

 

Questa cosa e’ bella perche’ si limita ad essere un club di lettura, e non diventa (come accade in italia) preda di un preciso individuo, che e’ l’early user. L’early user, cioe’ l’hobbista che si e’ immerso in qualcosa sino a conoscerne i dettagli, e’ una figura odiosa per diverse ragioni: confonde il sapere con esattezza quale sia la parola esatta che si dice a pagina 24 con il conoscere il libro.

 

E’ come se una persona, senza sapere nulla di chimica, conoscesse a memoria tutti i nomi degli idrocarburi ciclici. Mi sta bene, ma questo non ne fa un chimico: hai imparato a memoria i nomi degli icrocarburi, punto.  Spesso, pero’, questi hobbisti pretendono che la loro conoscenza (che spesso alcuni professionisti non hanno: esistono i manuali per questo) sia una professionalita’ reale.

 

Allo stesso modo, c’e’ una forte tendenza , nel mondo dei blog letterari italiani, a  confondere la conoscenza dell’opera sino ai minimi dettagli con una conoscenza della letteratura. Le cose non stanno proprio cosi’.

 

Tra le obiezioni che ho ricevuto c’e’ quella riguardante la coerenza logica. Beh, forse avete sbagliato blog nel quale andare ad insegnare cose sulla coerenza logica, eh.

 

Tutto quello che fa colui che straparla di coerenza logica e’ di affermare che un libro debba essere “coerente” , avendo un’idea molto forfettaria della coerenza stessa. Nel mondo della logica, quando si introduce o si accetta un assioma, si sa di preciso come mai , e si sa che questo sia necessario (o meno) per un certo numero di teoremi. Anzi, la stessa proposizione puo’ essere un assioma in certi casi e un teorema in altri, eccetera eccetera.

 

Cosi’, non e’ il caso di parlare di coerenza: si tratta di un tecnicismo molto rigoroso , facente parte di un’altra materia altrettanto rigorosa, che e’ la logica. E no, la logica o l’hai studiata o non l’hai studiata. Non si puo’ fingere. Potrete imparare a memoria 10000 teoremi(1), e vi manchera’ sempre la conoscenza che sta sotto, ovvero la capacita’ di distinguere una dimostrazione con un metodo  diagonale da una per  induzione.

 

Allo stesso modo, conoscere per intero l’opera di Tolkien non fornisce conoscenze di tipo letterario.

 

Facciamo un esempio: e’ noto che nel genere fiabesco debbano esserci delle figure genitoriali. Una volta detto questo, le figure genitoriali hanno una missione chiara: devono aiutare senza decidere il destino (come fanno i genitori), essere soggette ai rischi della vita MA avere poteri sovrumani, eccetera.

 

La figura genitoriale e’ evidentemente umana. E’ letterariamente umana. E’ quello che il bambino vede dei genitori, trasposto mediante una qualche metafora dentro alla storia. Cosi’, e’ ovvio che per esempio Gandalf debba appartenere ad una categoria di superumani. Tuttavia deve condividere il pathos dell’impresa , e deve farlo dal punto di vista degli umani.

 

Certamente, chi si e’ occupato di andare a ricordare il numero di scarpe di Gandalf, mi sapra’ dire TUTTO quello che deriva o precede gandalf. Ma , ignorando completamente la struttura della fiaba cosi’ come descritta (primo tra altri) da Propp,  sapra’ che scarpe indossava Gandalf, ma non sa perche’ mai in un libro del genere ci voglia un Gandalf. E non sapra’ mai che Gandalf, per quanto sia sovrumano (figura angelica e blabla), DEVE rientrare nel pathos umano, abbastanza da poter essere una figura genitoriale. Altrimenti, non sarebbe piu’ una figura genitoriale, che e’ necessaria per la storia. Rendere Gandalf qualcosa di diverso e’ un espediente letterario (peraltro esterno alla storia di cui parlavo) che ha il solo scopo di porre Gandalf su un piano tale da essere, insieme ad altri maghi, l’equivalente di una figura paterna: il mondo dei maghi di Tolkien non e’ altro che “i grandi” visti dai bambini: persone che fanno lavori complessi e misteriosi, che maneggiano grandi forze e prendono grandi decisioni. Parte del destino della famiglia, ma piu’ potenti. L’incoerenza logica e’ quella di porre questa figura umana come baluardo degli uomini.Ma l’incoerenza, cioe’ l’errore, e’ insito nella valutazione sovrumana che il bambino ha dei genitori; il resto e’ espediente letterario, tantevvero che non e’ necessario alla singola storia.

 

Cosi’, c’e’ gente che dell’ opera di Tolkien sa tutto quello che e’ irrilevante sapere, c’e’ gente che magari la ricorda a memoria parola per parola, ma non sa per quale motivo in quella storia ci voglia un Gandalf. Un pochino come confrontare un geometra con un architetto: il geometra sa come fare una porta. Perche’ ci voglia una porta, beh, non e’ un problema suo.

 

Tolkien, che sapeva scrivere, ha “disegnato” Gandalf. E sapeva bene di doverne fare una figura genitoriale dentro il canone fiabesco. Ora, se il nostro appassionato di giochi di ruolo se ne esce dicendo che “gandalf non era umano” probabilmente sta facendo un’affermazione vera (a patto di sapere cosa sia “umano” , se non si vuole credere  tutto sia legato alla divisione in squadre tipica dei giochi di ruolo) , con una piccola pecca: la fiaba e’ un racconto che ha come obiettivo quello di raccontare, mediante metafore, un cammino squisitamente umano, e non c’e’ NULLA dentro la fiaba che, a meno dello strumento metaforico, non sia riferibile al mondo umano.

 

E qui c’e’ il punto: se da un lato si pretende di sapere ogni cose di Tolkien leggendo solo Tolkien fino alla nausea, fino a conoscere ogni minimo dettaglio, dall’altro mancano… le basi. Manca una conoscenza (anche accennata , come la mia) dei meccanismi compositivi che producono il romanzo stesso.

 

E’ come se qualcuno imparasse a memoria 100 teoremi risolti e dicesse di essere un matematico. Mi spiace, ma senza conoscere le principali tecniche di risoluzione, al 101esimo vi troverete nelle peste: mancano delle basi.

 

Questi early users si specializzano poi in una materia impossibile, che e’ quella di dimostrare la “coerenza” di un romanzo fantastico. Il che e’ impossibile, perche’ la coerenza manca sempre. Quello che fanno e’ di ignorare completamente il meccanismo gestaltico che sta dietro la lettura, meccanismo che e’ (almeno in parte) onirico

 

La gestalt, ovvero l’immersione del lettore dentro un mondo rappresentato dal libro letto, e’ il meccanismo con il quale il lettore costruisce quello che oggi chiameremmo “il film interiore”, cioe’ la vera e propria trasformazione del testo (letto automaticamente riconoscendo i termini piu’ che leggendo effettivamente) in una percezione sensoriale di qualche tipo.

 

La gestalt e’ un fenomeno importante che gli scrittori conoscono: gli scrittori di fantascienza “hard’ sanno di venire letti da persone che hanno un certo background scientifico. Quindi, spesso omettono particolari e dettagli, dal momento che sanno come la gestalt del lettore completera’ il panorama. E’ possibile scrivere un intero libro di fantascienza SENZA descrivere quasi nulla dell’ambiente, perche’ si sa che il lettore mettera’ le “immagini” da solo.

 

Chi fa questo, ovviamente deve tener conto del fatto che lettori diversi avranno immagini diverse della stessa cosa. Vi invito a leggere questo libro:

 

 

e disegnare l’interno delle astronavi dei Distruttori. Vi accorgerete che, per essere filologicamente corretti… non avrete abbastanza elementi. Ve le siete inventate di sana pianta, coi i dettagli contenuti nel libro ci fate la birra. Potenza della gestalt.

 

La gestalt di un libro fantasy, essendo un libro rivolto ai bambini , essendo un genere che deve appassionare un individuo che ha 40 minuti di attenzione massima focalizzata, deve proporre ambienti cacofonici, interessanti sin nei dettagli, emozionanti fino nei dettagli. Se non emozioniamo il ragazzo, quello resistera’ al massimo 40  minuti, poi cominciera’ a pensare ai cazzi suoi. TUTTO, in un libro fantasy, deve essere principalmente emozionante.

 

E mi riferisco alle ambientazioni, eh. Figuriamoci i personaggi!

 

Cosi’, lo scrittore sa bene che il meccanismo gestaltico completera’ l’ambiente, cementera’ i pezzi che appaiono scompaginati, creera’ quel “filo” che alla fine porta il lettore a dire “la storia e’ coerente”. No, la coerenza , signori, ce la mettete voi.

 

Se non c’e’ coerenza, possiamo scrivere quel che vogliamo? No. Come diceva (se non erro) Twain, la differenza tra realta’ e immaginazione e’ che l’immaginazione deve essere realistica.

 

Chi parla di coerenza logica, in realta’, parla di realismo. Ora, capite bene che sia una fortuna, ma non troppo: il realismo di un luogo abitato da draghi e’ perlomento discutibile, se vogliamo parlare di “logica”. Qual’e’ il realismo di un libro fantasy? E’ la potenza della gestalt.

 

Un libro fantasy e’ considerato “realistico” quando e’ possibile avere una gestalt completa, ovvero una immersione cosi’ totale da dimenticare di essere su un divano con un libro aperto. Il realismo non e’ altro che la “potenza” della gestalt. Quali sono le regole principali della gestalt, ovvero in che modo la descrizione che un libro fa della storia viene rappresentata dalla mente del lettore?

 

  1. buona forma (la struttura percepita è sempre la più semplice tra quelle che e’ possibile immaginare);
  2. prossimità (gli elementi sono raggruppati in funzione delle distanze , narrative e descrittive);
  3. somiglianza (tendenza a raggruppare gli elementi simili  , simbolicamente e non);
  4. buona continuità (tutti gli elementi sono percepiti come appartenenti ad un insieme coerente e continuo);
  5. destino comune (se gli elementi sono in movimento, vengono raggruppati quelli con uno spostamento coerente);
  6. figura-sfondo (tutte le parti di una zona si possono interpretare sia come oggetto sia come sfondo);
  7. movimento indotto (uno schema di riferimento formato da alcune strutture che consente la percezione degli oggetti);
  8. pregnanza (scelta del significato piu’ emozionante in caso di ambiguita’).

 

Questi sono i principi di base della psicologia della gestalt, il fenomeno percettivo che sta dietro la costruzione della realta’. Come vedete, si tratta di un meccanismo rappresentativo in molta parte ricondubicili alla visione (cosa che da’ al cinema e alla TV il potere che hanno) , a meno che il lettore si trovi immerso in un mondo visivo da lui costruito.

 

E qui siamo al punto: non esiste alcuna “coerenza”, signori. Non esiste alcun “realismo”. Esiste solo la capacita’ dell’opera di prestarsi o meno alla costruzione di un mondo da parte vostra.

 

Riconoscerete facilmente nei principi enunciati da Kurt Koffka, Wolfgang Köhler e Max Wertheimer, alcune delle cose che chiamate “coerenza”, che chiamate “realismo” o “credibilita’”. Ma esse non sono qualita’ del libro, sono meccanismi della psiche del lettore. Quello che fa il libro e’ interagire con voi.

 

Perche’ lo dico? Lo dico perche’ questa cosa spiega che la critica ad un libro NON puo’ basarsi sull’analisi del libro in se’, ma DEVE riferirsi principalmente all’interazione che il libro ha con il lettore.

 

Nessun libro e’ emozionante. Ci sono libri che ci hanno emozionato: il soggetto della lettura rimane il lettore. Il libro esiste, in gran parte, nella mente del lettore. Cercare NEL LIBRO la coerenza o il realismo e’ un inutile spreco di tempo: la coerenza ed il realismo sono nella vostra mente.

 

Facciamo un esempio: in passato mi sono trovato ad avere qualche base di esplosivi militari. Leggo da Tolkien (e ho visto anche la seconda parte del film) che una sola mina faccia saltare un’intera murata. Ora, a giudicare dagli effetti si tratta di un ordigno di brisanza notevole, dai 1000 ai 2000 kg, di fabbricazione occidentale, circa 1940, certamente detonante, altrimenti il cunicolo usato nel film si sarebbe trasformato esso stesso in una bocca fa fuoco puntata sulla fanteria che stava fuori.

 

Voi direte: e prima? Prima una murata di pietra di quelle dimensioni non la facevate saltare con una sola carica. Lasciamo perdere la polvere da sparo, che e’ un (pessimo) propellente e quindi non fa testo. Se non si usa un esplosivo fortemente brisante, quello che si otterra’ e’ un gigantesco sbuffo incendiario nella direzione dell’apertura del cunicolo, e niente crepe. Se non si usa un esplosivo detonante, con una velocita’ molto alta, l’esplosione sfoghera’ molto prima di rompere le pietre, o rompendone poche , cioe’ limitandosi ad allargare il cunicolo.

 

Le tecnologie militari che permettono di far saltare una murata in quel modo, e di trasportare l’esplosivo che serve confezionato in quel modo sin dentro un cunicolo, arrivano circa nel 1940. Prima, la murata la abbattevate a furia di bombardamenti, dalle prime bombarde (che impiegavano mesi a furia di scagliare palle di pietra sul muro) sino ai cannoni piu’ potenti.

 

Ma il punto e’ che quando arriva un esplosivo NON termobarico di quella potenza e con effetti simili a quello, siamo gia’ nel 1930/40. L’esplosivo non puo’ essere termobarico per esplodere in quel modo dentro un cunicolo stretto, ma contemporaneamente deve essere azionato a miccia, il che richiede una “catena detonante” mica da ridere: 1930/40, punto.  Quando la cavalleria di lancia e’ scomparsa da un pezzo e nessun cretino di arrischia ad ammucchiare uomini sotto una fortezza. Insomma, e’ un anacronismo insopportabile se pensiamo che poi tutto quello che succede e’ che arriva la cavalleria di Erkebrand (nel film e’ Eomer) e dispede la fanteria con una … carica. Militarmente e’ semplicemente assurdo.

 

Avete poco da cercare “coerenza” in un assurdo anacronismo del genere: non c’e’. Per fare quel lavoro occorrono tecnologie che arrivano con Nobel, e che raggiungono quelle potenze solo poco prima della seconda guerra mondiale. Perche’ sembra coerente, allora?

 

La risposta e’: perche’ possiamo immaginare la scena senza che essa strida con le nostre conoscenze. Nel mio caso, perche’ posso apprezzare la scena mettendo volontariamente da parte le mie conoscenze.

 

Allora, direte voi, come si critica un libro?

 

Beh, innanzitutto si mette da parte la voglia di stroncare, e si mette da parte la voglia di essere questo personaggio qui:

 

Anton Ego, il critico maledetto di Ratatouille.
Puo’ succedere che un libro non vada d’accordo con voi, per dirne una. E che magari non vada d’accordo con voi quel giorno. Personalmente non getto via libri per questo. La prima volte che ho letto La Guida Galattica per Autostoppisti ero alla ricerca di SF hard. Lo trovai nello scaffale del mio zio che mi prestava la sua collezione di Urania (avevo 15 anni e non potevo comprare quel che volevo, vista la censura di casa mia) .Lo richiusi dopo 10 pagine , dicendo “ma che cazzata”.

 

Dopo qualche anno, ovviamente, la risposta fu 42. Se avessi recensito il libro , avrei scritto “non e’ SF credibile”.

 

Secondo: un libro puo’ non piacere. Quando il libro NON vi piace, noterete ogni singolo difettuccio della tradizione. I libri della collana Urania, per dire, sono tradotti… un po’ cosi’. Quelli che mi piaccono, sono tradotti benissimo. O meglio, no: quelli che mi piacciono semplicemente non vengono letti, perche’ il meccanismo gestaltico mi fa perdere contatto col libro e mi fa creare il mondo percettivo relativo al libro, il “film nel cervello” se preferite.

 

Nei libri che non mi piacciono, ovviamente, di solito vedo tutti i difetti. E non mi riferisco solo ad Urania, sia chiaro: nella pazzia di Orlando, 23esimo canto, il nostro eroe sradica alberi come fossero finocchi. (2) Non mi sembra esattamente quel che vi consiglierei di scrivere; una metafora cosi’ riduzionista al giorno d’oggi sminuirebbe la forza dell’eroe (peraltro attribuita in parte alla pazzia, concetto che oggi si e’ in parte abbandonato).

 

Perche’ lo noto? Perche’ onestamente l’ Orlando Furioso lo trovo piacevole quanto le emorroidi. Cosi’, noterete bene ogni singolo particolare che troviate sgradevole in TUTTI i libri che non vi piacciono.

 

Morale della storia: la funzione del critico non e’ quella che il cinema assegna ad Antoine Ego (e gia’ nel disegno del personaggio dovrebbe esservi chiara, per eccesso, la deformazione grottesca di tale figura) , ma quella di fare da guida nella scelta. Se un critico stronca 80 libri su 100, sta facendo il suo lavoro il 20% delle volte. Altrimenti non si chiamerebbe critico, bensi’ polemico.

 

Questo, ovvero l’analogo di Antoine Ego, e’ quello che sto vedendo fiorire sul web, alla voce “critica letteraria” : un insieme di personaggio grotteschi, inutilmente attaccati ai particolari (che danno potere ai fondamentalisti, normalmente) , del tutto alieni allo spirito con il quale si fanno le cose.

 

Non e’ una cosa poco comune, la sindrome di Antoine Ego e’ sempre piu’ diffusa in ogni campo: troverete un numero crescente di persone che hanno letto un sacco su un singolo argomento, perdendone di vista le basi e dimenticando il contesto nel quale il sapere stesso si sviluppa, per diventare semplicemente delle figure arcigne e lugubri, capaci soltando di condannare. In nome, ovviamente, degli altissimi valori della materia: il piacere che spinge costoro e’ il piacere che provano nel condannare qualcuno.

 

Ultima cosa, il genere.

Si e’ diffusa una certa tendenza a confondere i generi letterari con quelli commerciali. Questo e’ dovuto principalmente al fatto che non si sa di preciso in che modo gestire i generi letterari, che cosa siano e perche’ esistano. Il fatto che una certa genia di persone appassionata di racconti fantastici abbia consumi simili ha spinto le case editrici a costruire etichette che siano a loro confacenti.

Certo, se la persona legge racconti fantastici, racconti dall’estetica “steampunk”, cartoni animati giapponesi, fumetti americani, racconti mitologici e saghe epiche , probabilmente le azienda (ripeto: aziende) creeranno una apposita etichetta per indicare questo tipo di consumo.

Bisogna fare attenzione , pero’, a non pensare che quello sia un genere unico, ne’ che vi sia correttezza tassonomica nella cosa.

American Gods e’ un racconto mitologico. E’ sicuramente un racconto mitologico moderno. Ma rimane letteratura mitologica sotto forma di romanzo. Si narra delle imprese degli Dei. E’ mitologia. Certo non si ha la deferenza del fedele. Certo non li si considera dei nel senso che i greci avrebbero dato al termine. Ma tant’e’: si tratta di letteratura mitologica. Se dovessimo insistere nel classificarlo , che so io, “fantasy”, avremmo un piccolo problema: Odissea, Edda Antica, Divina Commedia, potrebbero rientrare tutte nello stesso genere seguendo esattamente lo stesso criterio. Lo spirito col quale Dante mette alcuni personaggi all’inferno e’ lo stesso col quale Gaiman mette alcune divinita’ a fare pompe funebri. Quando troverete Dante Alighieri nello scaffale del Fantasy, fatemelo sapere.

Lo stesso dicasi del genere steam . Il Barone di Munchausen e’ steam? Beh, l’epoca di riferimento e molta dell’estetica ci farebbero pensare di si’. E Giulio Verne? Eh, beh, qui ci siamo, direte voi. Si e no. Non ci siamo perche’ e’ scorretto applicare ad un’epoca un genere nato troppo tempo dopo. Sapete, Giulio Verne non voleva essere steam: e’ solo che non aveva molto altro a disposizione. Sicuramente molti appassionati di steam lo leggono. E fanno bene. Ma compiono una forzatura se lo classificano in quel modo.

I cartoni animati giapponesi sono fantasy? Beh, alcuni hanno la struttura della fiaba giapponese. Altri quella della fiaba occidentale (mutatis mutandis, eh). C’e’ anche Il Castello di Howl che e’ sicuramente steam. Che cos’e’? E’ semplicemente narrativa; di vario genere, che e’ accomunata da una precisa categoria di lettori. Si tratta di una categoria merceologica. Che non coincide necessariamente con quella letteraria.

Tornando in tema di emorroidi, quando Orlando perde il senno, esso viene conservato sulla luna, come tutte le cose perse dagli uomini. (3) Astolfo grazie alla propulsione “SanGiovanni”, va sulla luna e si mette a cercarlo. Ora, sicuramente il tema del viaggio spaziale e’ affrontato come si puo’ da un tizio che si sforza di unire il ciclo carolingio con quello arturiano. Domanda: essendoci un viaggio spaziale, e’ fantascienza? E’ fantasy?

No, si tratta di un “crossover”, diremmo oggi,  in breve direi  tra ciclo carolingio e ciclo arturiano/bretone. Le categorie successive non si possono applicare. NON-SI-POSSONO-APPLICARE.

Cosi’, che cose succederebbe se il Viaggio di Astolfo vi fosse proposto su uno scaffale “Fantasy”? Con ogni probabilita’ rientrerebbe (a parte la lingua desueta) nel vostro canone di “Fantasy”. Ha tutti gli elementi per riuscirci. Anzi, c’e’ un pezzetto di critica alla chiesa (Sulla luna c’e’ tutto cio’ che e’ perso, compresi i soldi delle indulgenze, che sono quindi soldi persi) che potrebbe dargli una nota “punk”. Ma non lo e’.

Cosi’, moltissime cose potrebbero essere vendute nello scaffale “fantasy” pur essendo parte di una classificazione che NON la chiama allo stesso modo. La Divina Commedia e’ sicuramente un racconto che ha tutte le caratteristiche del Fantasy, se dentro al Fantasy ci mettete Gaiman e le sue divinita’ infernali. Se invece Gaiman scrive romanzi mitologici moderni, la cosa cambia, e allora la sua similitudine con la Divina Commedia (almeno riguardo al tema trattato) ci appare piu’ chiara e fondata.

In conclusione, tutto quello che vedo e’ che ad una scrittura che effettivamente e’ … quel che e’, si sta aggiungendo una critica ancora peggiore, una critica fatta di tanti Antoine Ego, che si considerano critici solo se stroncano, per il piacere di stroncare, nel ruolo del temutissimo critico-che-stronca.

Trovo molto bella, a questo riguardo, la fine che fa Antoine Ego nel cartone animato: ad un certo punto incontra una gestalt. Una gestalt che partendo da un piatto campagnolo (nemmeno tanto saporito, a dire il vero) gli fa rivivere un pezzo di infanzia. E in quel momento Ego realizza che non sono i tecnicismi ne’ i formalismi ne’ le ricercatezze ne’ la fama del cuoco  a far buono un piatto, ma cio’ che esso evoca in chi lo assaggia. E cosi’, Ego si “riduce” ad essere felice in una trattoria, vivendo della gestalt piu’ che della forma.

Cosi’, quello che consiglio (tanto per chiudere) ai molti Antoine Ego che vedo in giro e’ di smetterla con questa imitazione, peraltro evidente per la mancanza di mezzi culturali (ormai nemmeno al classico si studia l’ Orlando Furioso quanto lo si studiava tre decenni fa nei licei scientifici, e persino un ITIS di 30 anni fa offriva piu’ cultura letteraria di un liceo di oggi) , mancanza che traspare ogni due parole.

Sarebbe meglio che tutti questi Antoine Ego si ritirassero a godersi la loro ratatouille, a gioire di libri letti con l’intenzione di cercare un’esperienza letteraria anziche’ una ricerca di inutili formalismi, di inutili ricercatezze, di grandi scrittori, quando alla fine non ci sono le risorse culturali necessarie a capire che cosa ci faccia Gandalf (di cui si conosce magari il numero di scarpe) dentro un racconto.

Anche perche’ se tanti pessimi Antoine Ego hanno spazio lo devono proprio alla carenza delle case editrici che criticano: la stragrande maggioranza di quello che voi criticate nei libri italiani e’ materia di correzione delle bozze. Se le case editrici mettessero dei seri correttori di bozze a sovrintendere la pubblicazione, voi rimarreste senza parole. E rimanere senza parole di fronte alla meno preziosa tra le funzioni della casa editrice, ovvero la correzione della bozza, non testimonia a favore di questi… “critici”.

E con questo, credo che per un pochino non parlero piu’ di scrittura: mi resta da finire Pietre. Se qualcuno e’ interessato ad anteprime, si faccia invitare su Dropbox, dove tengo le bozze.

Ah, giusto, siccome so che questo argomento spinge a commentare (e  me a censurare) un certo tipo di persone, vediamo di allontanarle un pochino:
Uriel

 

(1) Non credo di conoscere a memoria 10000 teoremi. Mi accontento di conoscere le principali tecniche per dimostrarli. E’ la storia del pesce e della canna da pesca. E’ meglio un pesce o una canna da pesca?

 

(2): e svelse dopo il primo altri parecchi, come fosser finocchi, ebuli o aneti; e fe’ il simil di querce e d’olmi vecchi, di faggi e d’orni e d’illici e d’abeti.

(3) Il cumulo di calzini spaiati e di cacciaviti cercafase deve essere gigantesco.

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