Democrazia ignorante.

Mi e’ stato postato, in un commento, un link ad un sito di quelli complottisti. Di per se’ conoscevo gia’ le pseudoragioni dei complottisti , ma osservo che ormai sono arrivati a dire esplicitamente cio’ che prima soltanto lasciavano intendere: la verita’ deve essere soggetta al vaglio dell’opinione pubblica; e’ vero cio’ che l’opinione pubblica chiede di sapere.

Di per se’ non c’e’ nulla di strano in questo: i giornali sono aziende, che vendono scritti. Essi pretendono di essere la verita’, ma rimane il fatto che tra il giornale e il lettore intercorra il rapporto tra negozio e cliente. Per perseguire meglio questo risultato, i giornali si sono segmentati per fascie di clientela (lo stesso capitale che possiede la rivista dei dalemiani possiede una rivista ferocemente di destra) , mirando a massimizzare il profitto soddisfando i gusti dei clienti.
Cosi’, un giornale come l’ Unita’ deve dire cose specifiche per compiacere i gusti di gente specifica, lo stesso la Repubblica, Il Giornale o il Foglio. Adesso pero’ una domanda diviene obbligatoria: se il giornale tenta di inseguire lo share, cioe’ di soddisfare i gusti del pubblico, e’ possibile per il pubblico richiedere a gran voce che un giornale scriva, che so io, che gli asini volano?
La risposta e’ abbastanza chiara, basta leggere il sito complottista in questione, o uno qualsiasi di tali siti: “un movimento popolare chiede al governo degli stati uniti di riaprire l’inchiesta sull’ 11 settembre, per stabilire le vere dinamiche dell’attentato”.
Ora,l’inchiesta sul crollo delle torri gemelle , con relativa perizia, fu effettuata dalla piu’ autorevole associazione di ingegneria edile del paese. Anche ammesso che si riapra l’inchiesta , come se in Italia si fosse chiesto all’ordine degli ingegneri di rispondere: e’ ovvio che l’unica alternativa , in caso di nuova inchiesta, sarebbe lo stesso ente (che darebbe la stessa risposta) o un ente meno credibile.
Qual’e’ il punto di tale richiesta? Il punto di tale richiesta e’ il rifiuto della scienza in se’, e di conseguenza  la pretesa che “un movimento di milioni di cittadini”, in quanto milioni ed in quanto cittadini, ne sappiano di piu’ di persone che hanno passato la vita a studiare e costruire edifici.
Questa era una conseguenza inevitabile della stampa edicolante : se ammettiamo che Il Giornale e l’ UNita’ possano scrivere cose diverse per soddisfare i lettori, allora perche’ non dovrebbero scrivere, che so io, che si sia trattato di alieni, degli ebrei, degli ebrei alieni(1)? E specialmente, se ammettiamo che la stampa possa venire guidata dai lettori, o che il governo debba venire guidato dalla “gente”, alla fine dei conti la gente deve essere onniscente.
Tornano in auge, dunque, i paradigmi principali del “potere del popolo”, ovvero come la democrazia si condanna ad un’opinione pubblica sempre peggiore,la quale votando produce governi sempre peggiori.
Ecco la costituzione perfetta della democrazia ignorante che ci aspetta :
1) Il cittadino è onnisciente. Nonostante i fiumi di retorica da cui siamo inondati, la democrazia non è un valore in sé, bensì semplicemente un metodo mediante il quale un corpo sociale sceglie i propri valori, la proprie leggi, il proprio governo. Potrebbe sceglierli in mille altri modi; in regime democratico, il corpo sociale attua tale scelta attribuendo al cittadino la possibilità di esprimere il proprio volere in una determinata occasione (le elezioni) e con un determinato sistema (il voto). Ogni cittadino è chiamato a votare e col voto ogni cittadino esprime implicitamente una valutazione, un giudizio, sul governo esistente o su quello che auspicherebbe. Ed ecco che si nota qui il primo postulato dello spirito democratico: il cittadino è onnisciente, il cittadino ha conoscenze sterminate. Poiché infatti l’operato del governo, e della legge in generale, copre pressoché ogni aspetto dell’esistenza umana, poiché il governo avrà una politica estera, una politica della scuola, una politica economica, una politica della famiglia, una politica dello sport, una politica ambientale, ecc., il cittadino – chiamato a valutare su questi ambiti il suo governo – si suppone che sia pressoché onnisciente, che sappia esprimere un’opinione (e si può immaginare quanto fondata!) su una serie di fatti che va dalla guerra in Iraq all’inquinamento elettromagnetico, dai Parmalat bond agli asili nido, dai rapporti con la Russia alle politiche per incentivare l’occupazione. Si chiede insomma al cittadino comune di saperne di più di quanto ne sapevano i grandi statisti del glorioso passato europeo: in fondo Richelieu era un gran volpone in politica estera, ma in politica interna ed economica forse non era poi questo genio, forse Colbert era un mago dell’economia ma in politca estera si trovava un po’ spaesato; il cittadino moderno no, il cittadino moderno, lui, sa tutto, ma proprio tutto di tutto. Quanto questo aspetto dello spirito della democrazia sia in totale opposizione alla specializzazione crescente in ogni lavoro scientifico degno di tal nome, è superfluo notarlo.
Quello che voglio invece notare è un’altra cosa. Al cittadino hanno insegnato (e per primi glielo hanno insegnato quei tuttologi, quei sommi maestri dell’orbe universo che sono i giornalisti) che lui sa tutto: è facile allora che la convinzione di sapere tutto penetri in profondità nella sua mente, che lui si convinca di poter dare lezioni di storia agli storici e di scienza agli scienziati. Se io so tutto, ovunque la mia mente volga il suo occhio, troverò qualche vecchia idea da correggere, qualche nuova scoperta da fare, troverò qualcosa da innovare, da cambiare, da modificare; io so tutto, se non in atto certo perlomeno in potenza, e quindi ogni disciplina mi è aperta, in ogni disciplina posso dire la mia alla pari di chi in essa abbia trascorso una vita di ricerche.

2) Il voto è sintesi. Alle elezioni il cittadino è chiamato a dare una valutazione “tuttologa” sul governo passato e su quello che lui auspica. Vediamo ora come sia chiamato a dare questa valutazione. Lo strumento della democrazia è il voto, un singolo voto che il cittadino attribuisce al partito o allo schieramento di sua preferenza. Pensiamoci, si potrebbe votare in mille altri modi; si potrebbe ad esempio chiedere ai cittadini di esprimere delle “pagelle”, di dire “a Tizio attribuisco 7 voti su 10, a Caio attribuisco 2 voti su 10, a Sempronio attribuisco 0 voti”; lo strumento della democrazia è invece un voto unico, mediante il quale il cittadino sintetizza tutto il proprio giudizio sullo sconfinato campo della politica. Si tratta a mio parere di una sintesi impressionante: tutta quell’enorme serie di conoscenze di cui il cittadino si suppone in possesso, tutta quell’enorme serie di valutazioni che si suppone il cittadino compia, deve essere compressa, condensata, sintetizzata nella semplice nuda espressione di un unico voto. E tale sforzo di sintesi comporta che ogni percezione degli aspetti fini delle questioni, ogni lettura in filigrana degli eventi, debbano essere impietosamente sfrondate. Il voto è un impoverimento delle questioni; si trova idealmente al polo opposto rispetto allo spirito analitico che la cultura deve possedere, rispetto alla quieta paziente tenace analisi dei fatti; certo, le sintesi possenti sono uno degli aspetti più attraenti della scienza e della cultura, ma queste sintesi non sono mai gratuite, dietro di esse c’è sempre una meticolosa opera di analisi, di scomposizione, giù giù fino ad arrivare al banale number-crunching della fisica o alle tediose cronologie della storiografia. Le sintesi gratuite sono infondate, le sintesi gratuite sono la fuffa a cui ci ha abituato il sistema del voto unico. Superfluo dire che, nei loro giudizi trancianti e nelle loro sbandierate certezze sono fuffa anche tutta la pseudostoria e la pseudoscienza.

3) La democrazia non tollera i privilegi. Il metodo democratico non ammette privilegi, ma a ciascun cittadino senza distinzione attribuisce uno ed un solo voto; certo, il potere esiste in democrazia e non potrebbe non esistere, ma nell’urna non ci sono privilegiati, vige la più assoluta e rigorosa uguaglianza. Ogni voto ha lo stesso peso, lo stesso valore di ogni altro voto. L’estensione di questo concetto di uguaglianza, fondativo dello spirito democratico, all’ambito della cultura ha effetti devastanti. Se i privilegi non sono tollerati in democrazia, se non sono tollerate classi o caste, non lo devono essere neppure nel campo della cultura; se tutti siamo uguali, rigorosamente uguali, tutti dovremo avere la stessa voce in capitolo in materia di cultura, tutti avremo diritto (parola dall’aspetto alquanto arrogante) di dire la nostra, di essere ascoltati, di scrivere, di parlare. Il pensionato INPS in materia di mitologia indiana avrà la stessa voce in capitolo del docente di sanscrito: l’abbattimento dei privilegi, anche dei privilegi dello spirito, è il reale demone che anima questo miserabile giacobinismo. Ecco allora tutto il fiorire di queste leggende metropolitane, sia nel campo della storia (Virishna, il protocristianesimo) sia nel campo della scienza. Di solito il processo mentale che sta dietro tali fenomeni è semplice: la storia e la scienza sono difficili, sono discipline che richiedono una vita di studi, e quindi – implicitamente e naturalmente – la formazione di una casta di persone che, avendo operato questa scelta di vita, siano i professionisti della cultura. Ma l’uomo democratico non può tollerare ciò, non può tollerare la loro presenza, non può tollerare che loro ne sappiano più di lui, che loro non siano uguali a lui. Ecco allora che l’uomo democratico, mediante i due fattori descritti sopra (onniscienza e sintesi) si crea una sua storia, una sua scienza, belle belle, facili facili; storia e scienza fatte a suo uso e consumo, fatte di leggende metropolitane, di miti senza fondamento, di clamorose antiscientifiche bugie. Ma va bene, va bene così: l’importante è non dover ammettere che loro ne sappiano più di lui.

Voglio notare per inciso che la più antica delle democrazie, la polis di Atene, già conosceva questi abissi di volgarità che sono connaturati allo spirito stesso della democrazia: il famoso episodio dell’ostracismo di Aristide, che qui non descrivo perché lo racconto nel blog seguente, ne è un esempio lampante.
Ma la polis ateniese non conosceva ancora l’ultima delle caratteristiche della democrazia, peculiare alle nostre contemporanee democrazie di massa:

4) La rivoluzione come hobby. Fin qui abbiamo analizzato come l’uomo democratico, tra i tanti hobby che potrebbe scegliersi, anziché dedicarsi alla distillazione della grappa o alla coltivazione delle petunie, abbia deciso di dedicarsi alla storia. E fin qui nulla di riprovevole. Abbiamo anche analizzato come lo spirito democratico lo spinga a voler dare lezioni ai professionisti della storia elaborando una pseudostoria a suo uso e consumo ed atteggiandosi quindi a “storico” o a “ricercatore”. E questo è già molto più riprovevole. Assolutamente deprecabile, poi, è lo scopo che l’uomo democratico si prefigge nelle sue ricerche, nella continua elaborazione di nuove quanto infondate leggende metropolitane. Nonostante l’apparenza di potere democratico nella cui illusione si culla, l’uomo contemporaneo, in quanto infinitesimale frazione di un’enorme massa umana, si trova in condizioni di assoluta impotenza: nell’ancien régime poteva almeno decidere se e quando piantare un albero nella strada di fronte a casa, nella moderna democrazia non è libero neppure di prendere ed attuare questa banalissima decisione. La condizione di impotenza dell’uomo contemporaneo mi pare così evidente che non ci spendo altre parole. Vale la pena però analizzarne gli effetti sul nostro storico dilettante: perché ha elaborato tutta la sua pseudostoria, perché mai lo ha fatto? Semplice. Per giocare a fare il rivoluzionario, per illudersi che nella sua pseudostoria covino le scintille di una rivoluzione che le sue scoperte faranno scoppiare; il nostro storico ha messo così tanto ardore, così tanto impeto nella costruzione delirante dei suoi miti perché, a differenza della distillazione della grappa e della coltivazione delle petunie, in quei miti si immagina nelle vesti di rivoluzionario, come il portatore di verità sconvolgenti. Costretto all’impotenza, alla banalità e all’uniformità, spera di redimersi mediante la rivoluzione che scaturirà dalle sue teorie. E loro saranno abbattuti, e loro moriranno, e loro saranno schiacciati. Questa volta loro non sono più gli scienziati o gli storici di cui al punto 3), questa volta loro sono proprio i potenti, i potenti occulti, i misteriosi burattinai che tengono le fila di tutto; quelli, in definitiva, a cui il nostro storico dilettante attribuisce inconsapevolmente le responsabilità per la sua vita abortita. E scopriamo che in fondo storici e scienziati, nella sua visione del mondo, sono solo servi dei burattinai, servi di coloro che vogliono soffocare la verità per mantenere il potere. Per distruggere loro il nostro storico dilettante ha passato notti intere a navigare in internet, per distruggere loro ha inventato la storia che un alieno sia sbarcato a Roswell e sia conservato al sicuro dalla CIA, per distruggere loro ha inventato di sana pianta e dal nulla uno pseudoeroe indiano la cui vita somiglia a quella di Cristo.

E così nel tenace odio impotente del nostro pseudotecnico cittadino la democrazia di massa celebra il suo supremo trionfo, e la civilta’ umana celebra il suo supremo fallimento.
Uriel
P.S: scrivo poco perche’ scrivo molto. Oltre a lavorare ad un progetto personale da casa,mi e’ venuta un’ispirazione, e quando mi viene un’ispirazione scrivo libri di fantascienza, e questo mi ha dato cosi’ tanta ispirazione che uscira’ a Febbraio perche’ continuo a scrivere , scrivere, scrivere.
(1) Ci vogliono in media 212 rabbini per circoncidere Alien. 211 per tenere l’uccello, Sigourney Weaver convertita per fare zac.

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