De Germania, quattro anni dopo.

Era il 2008 quando ho scritto il primo “De Germania”, o forse gennaio del 2009. Un lettore mi chiede di dirgli come mi trovo e come mi sono trovato: beh, dipende dal tempo. Nel senso che prima vi ci scontrate, poi vi rendete conto che non possono essere davvero come sembrano, quindi vi mettete ad analizzare cosa vada storto nella comunicazione, alla fine ci arrivate, e a quel punto in genere la strada e’ in discesa. Spiego meglio.

Prima di tutto un disclaimer:

Ovviamente tutto questo non e’ un manuale, cioe’ non e’ fatto di costanti nel tempo. Sono cose che notate facendo statistiche su quel che vedete. Io ho fatto statistiche su quello che ho visto accadere ad altri, e devo dire che alla fine ho notato queste tendenze.

Non leggetele come “bianco o nero”: sto dicendo che MEDIAMENTE le cose pendono in quella direzione PIU’ che in Italia. Quindi, se fate alcune cose che vi sconsiglio, e’ MOLTO piu’ probabile che vi finisca male nel medio o lungo termine rispetto al fare le stesse cose in Italia.

La scuola tedesca e’ fatta a barriere di ingresso. Verso i 9 anni dovete di fatto decidere il percorso (a grandi linee) dei vostri figli. Dopodiche’ e’ tutta una barriera di ingresso. Per fare l’universita’ potete fare solo alcune scuole, molto selettive, e tutte hanno selezione all’ingresso. Tutte.

Il tedesco, cosi’, trova naturale che ci sia un periodo di prova. Esplicito o meno, quando arrivate qui siete in prova. Mi riferisco al lavoro. Nel senso che c’e’ sfiducia. Solo che lo trovano naturale, e quindi non si preoccupano di nasconderlo.

Se siete italiani, i primi mesi saranno infernali. Perche’ voi sapete fare il vostro lavoro, arrivate con una notizia od una opinione tecnica , e qualcuno va a controllare. In un modo che in italia e’ letto come “non ti credo”, e che risulterebbe offensivo. Un tizio ha superato il limite e gli ho detto “guarda che ho una quindicina di anni di esperienza, per queste fesserie dovresti pure credermi”. E lui “ma tu sei appena arrivato, non possiamo credere ad una sola parola di quel che dici”.

In Italia mi sarebbe scappato il cazzotto. Fortunatamente sono un tipo vendicativo, il che mi da il tempo di riflettere. In genere, se dopo un mese sono ancora della stessa opinione, scatta la vendetta. MA in quel mese penso.(1) Mi sono reso conto che quel tizio in realta’ non mi odiava affatto, e anzi ho saputo che parlava pure bene di me agli altri. Solo che per loro e’ normale.

Allora: i primi mesi al lavoro ed in qualsiasi altro ambito ove abbiate necessita’ di essere creduti, bisogno di stima o bisogno di fiducia sono un impatto durissimo. Siete in prova. E non si fanno nessuno scrupolo a dirvelo. Vi sentirete meglio quando noterete che lo fanno anche tra di loro, e alla fine realizzerete semplicemente che per loro e’ normale darvi solo la fiducia che avete conquistato sul campo. Vi spiegheranno con aria saccente l’ ABC del vostro lavoro, la roba che sapete da 15 anni, con l’aria di chi vi dice qualcosa che non avete mai sentito dire.

Vi passa. Vi passa quando imparate che se fate bene dopo vi stimano davvero. E che la stima e’ effettivamente proporzionata ai fatti. Quando capite che paga, in genere vi viene facile accettarlo: al secondo progetto sapevo bene di avere sfiducia.

Ho sopportato tutte le spiegazioni sulle cose che so gia’ da 15 anni, la sfiducia iniziale, le persone che mi chiedevano cosa avessi fatto giorno per giorno. Poi quando hanno visto che ero di aiuto, hanno iniziato a stimarmi, come previsto. La loro prevedibilita’ e’ assolutamente prevedibile, e siccome e’ stata puntuale mi ha aiutato a farmene una ragione: questi ti pesano per i primi sei mesi. Non c’e’ niente da fare.

Sempre sul lavoro, la loro scuola e’ estremamente critica , cioe’ li abitua ad essere giudicati e criticati. E questo significa che li abitua a loro volta a giudicare e criticare. L’effetto risultante e’ che lo fanno in continuazione. Se, come tutti gli italiani o quasi, la critica vi puzza di attacco personale, non venite qui. Perche’ vi criticheranno TUTTI. E non lo faranno per male: per loro e’ naturalissimo.

Se voi siete diciamo a 6/10, vi criticano per tutto quel che manca fino a 10. Se siete a 9/10, vi manca ancora uno per arrivare a dieci. Se siete a dieci, la vera domanda e’ perche’ non vi decidete a fare 11, visto che sino a dieci ci siete arrivati benissimo. Siete forse pigri?

Inizialmente mi sentivo come una specie di bersaglio in un campo di tiro. Possibile che tutti ce l’avessero con quel che facevo? Ma se proprio facevo cosi’ schifo, perche’ mi tenevano li’? Un giorno il mio responsabile valuvata di mettermi su un progetto diverso e ne ha parlato col cliente -che mi criticava a sua volta- e questo gli ha detto che non solo non voleva perdere il consulente, ma non gli andava bene neanche un 80/20% del tempo (un giorno la settimana su un altro progetto). Tutto suo. E il mio responsabile mi aumento’ pure il rating interno dicendo che “sapevo conquistare la fiducia del committente”.

Cosi’, il problema e’ che vi criticano. Vi criticano tutti. E se voi non criticate nessuno, vi considerano menefreghista, stupido, chiuso oppure ostile. Ogni tanto dovete dare dei suggerimenti a qualcuno, per dirgli come avrebbe fatto meglio il suo lavoro. Altrimenti per loro siete scostanti, o non siete ben inseriti nel team. Se questa dinamica fosse in un team di italiani, finirebbe in una sparatoria dopo poche ore: quindi preparatevi a tempi durissimi.

Qui sul lavoro. Andiamo sul piano personale. I tedeschi, come altri popoli, non hanno un vero linguaggio del corpo. O meglio, come spieghero’ dopo lo tengono per gli intimi. Ma questo peggiora le cose.

Le frasi in tedesco hanno circa lo stesso tono dall’inizio alla fine, tranne un crescendo tipico delle esclamazioni enfatiche e un calando tipico delle domande. Quindi, non sperate di poter capire quale sia la parola chiave di una frase dal tono con cui viene pronunciata. Come se non bastasse, la mimica facciale e’ poco usata (rispetto agli italiani) e quella del corpo ancora di meno. (E’ considerata molto “batzi”, dove “batzi” indica il bavarese, quindi non ditemi che a Monaco avete avuto un’impressione diversa. Erano batzi, e pure ubriachi. O forse, ubriachi e pure batzi).

Quindi, la prima impressione che avete e’ che la persona di fronte a voi sia gelida con voi, come un italiano che vi parla rimanendo con le braccia immobili , lo sguardo fisso sulla vostra faccia, e il tono costante. Minaccia di morte allo stato puro, testa di cavallo nel letto, e cosi’ via. Invece no.

Il problema e’ di comunicazione. Il linguaggio del corpo e il tono cantilenante sono usato con gli intimi. Cioe’ con gente che si conosce da tempo, colleghi affiatatissimi, eccetera. Quindi, il primo impatto consiste di due grandi problemi di comunicazione.

  1. Il primo e’ che vi comportate come se foste sulle uova. Tutti sembrano odiarvi. Sono tutti freddissimi con voi. Gli avete fatto qualcosa di male, ma non capite come. Avete sbagliato qualcosa, ma non capite cose. In realta’ loro sono molto tranquilli con voi, e’ a voi che manca qualcosa che loro non fanno con le persone che conoscono da poco.
  2. Il secondo effetto e’ che loro vi vedono come attori. Gesticolate con l’enfasi di un uomo di teatro, parlate cantando (2), insomma volete proprio condividere le vostre emozioni con loro, come se foste fratelli, grandi amici, familiari, insomma, vi state davvero aprendo un poco troppo. E’ imbarazzante.

Cosi’, voi camminate sulle uova e vi sentite come se foste in un ambiente ostile. Loro pensano che voi vi affezionate davvero in fretta alla gente. Vi siete davvero trovati bene qui, non e’ vero?

Ecco, i primi mesi sono cosi’: girate convinti che tutti ce l’abbiano con voi, tutti vi criticano e sembra che non vada mai bene niente, sono piu’ freddi del due di picche di una giovane baronessa miliardaria, nessuno si fida di voi. Non un bel periodo.

Poi passa. Poi vi rendete conto che vi chiamano a farvi criticare il loro lavoro, vi rendete conto che iniziano a gesticolare anche con voi, e no, non e’ che li avete contagiati di italianita’, basta uscire e vedere come si comportano tra loro nelle birrerie per capirlo: e’ una questione di quanta strada avete fatto insieme. Quando non sono vostri amici, ve lo fanno sapere. Quando sono vostri amici, ve lo fanno sapere. Quando non vi stimano ve lo fanno sapere. Quando vi stimano ve lo fanno sapere. Quindi, alla fine vi passa.

Andiamo alle  cose pericolose da NON fare, almeno sul lavoro.

Il tedesco e’ tattico, ma non strategico. Significa semplicemente che si comporta in relazione all’immediato e non guarda in prospettiva. Se una cosa e’ quella, e’ quella: se state combattendo, c’e’ una guerra in corso. Se non state combattendo, non c’e’ una guerra.

Se volete qualcosa da qualcuno, quindi, si aspettano che gliela chiediate gentilmente. O che proponiate uno scambio ragionevole, o un commercio di qualche tipo.

Se tentate di ottenerla con maniere sottili, invece, avete iniziato uno scontro. Sulle prime non capiranno quello che state facendo. La strategia gli e’ nascosta. Quando realizzano che avete SCELTO di ottenere obtorto collo qualcosa che potevate avere con le buone , nella loro mente scatta la domanda: perche’ ha scelto di ottenere questa cosa obtorto collo, quando poteva chiedermela? Ma allora VUOLE LA GUERRA!

Ecco, questo agli italiani succede molto, e specialmente coi loro capi. In Italia i capi tendono ad avere “cose piu’ importanti da fare” e quindi a scaricare i loro compiti ai subordinati. Se poi il subordinato si prende dei compiti del capo -senza fare casini- e li svolge, tanto meglio. Anzi, magari fa pure carriera. Cosi’ molti italiani “si allargano”,e  iniziano a fare delle cose che di solito fa il loro capo.

Non fatelo qui. MAI. E’ la strategia perfetta per perdere il lavoro. Ed e’ il modo con cui gli italiani lo perdono. Rimanete al vostro posto sinche’ qualcuno non vi dica esplicitamente il contrario.

Se il vostro capo aspetta una promozione, e deve decidere a chi dare la poltrona, potete iniziare a fare il suo lavoro. MA dovete chiederglielo e parlarne faccia a faccia. Se non lo fate, magari il prescelto e’ un altro. I capo ed il prescelto si vedranno in privato a parlare di voi che fate il suo lavoro come se vi aspettaste di essere promossi, il capo chiarira’ che non intende promuovere voi in quel posto, e alla fine il prescelto prendera’ il posto, e voi verrete gettati via dal prescelto.

Cosi’:

  1. Se il vostro capo NON aspetta una promozione e voi fate un pezzo del suo lavoro senza chiederglielo, non gli state facendo un favore come in Italia, mostrando buona volonta’. State dicendo che volete prendere il suo posto. Gli avete appena dichiarato guerra per la poltrona. Siccome e’ piu’ forte lui, vi conviene spedire curruculum altrove.
  2. Se il vostro capo ASPETTA una promozione e voi iniziate a fare il suo lavoro SENZA dirglielo, e’ perche’ volete forzare la mano sulla SUA decisione sul successore, e comunque perche’ non lo rispettate piu’. E anche al successore la cosa non andra’ giu’. Vi siete appena candidati a vedere disprezzato tutto il lavoro che avete fatto in piu’ , e il successore vi gonfia come zampogne.

Quindi no: SE il vostro capo aspetta una promozione e voi desiderate il suo posto, bussate alla porticina e diteglielo. Se accetta, allora farete tattiche per passarvi le consegne. Altrimenti, “allargarvi” e prendervi sulle spalle parte del lavoro dei vostri superiori e’ visto come una palese dichiarazione di guerra, del tipo “togliero’ la poltrona a qualcuno di voi e mi ci siedero’ io”. Come andra’ a finire e’ ovvio.

In generale, se sul lavoro intendete fare di piu’ di quel che dovete, o se volete crescere, parlatene col vostro capo. Se non ne avete parlato, se non avete chiarito il punto, fare “di piu’” per mettersi in mostra senza un accordo sfocia in uno scontro ferocissimo. Che perderete per ovvie ragioni gerarchiche.

Un altro modo per farsi cacciare e’ il gioco delle responsabilita’. In Italia, e’ possibile bloccare un processo dicendo “si, ma chi si prende la responsabilita’?”. Attenzione a questo atteggiamento. La responsabilita’ e’ del capo, ed e’ cio’ che ne fa un capo: state insinuando forse che il capo non abbia questo potere? Volete mettere in dubbio la sua responsabilita’, forse?

Tempo fa un tizio disse al mio manager “io non mi assumo nessuna responsabilita’” riguardo ad un cambiamento richiesto. La risposta fu -da un giovane manager di 26 anni- “e’ ovvio che non ti assumi nessuna responsabilita’. Non ne hai. Perche’ il capo sono io”. Tre mesi dopo era fuori.

Potete dire “se lo decide lui (il capo) a me va bene”. Potete dire “la decisione spetta a lui (il capo)”. E ci sta. Ma non osate recitare la litania “io non mi prendo la responsabilita’” o “di chi e’ la responsabilita’?”. Se la responsabilita’ e’ vostra, “io non mi prendo questa responsabilita’” equivale a qualcosa come  “segue mia lettera di licenziamento”.  Se continuate ad insinuare che qualcosa non si possa fare perche’ nessuno si prende la responsabilita’, state dicendo che la colpa delle cose che non si fanno e’ del vostro capo. Non lo fate: per loro, posizione=responsabilita’. Portano le responsabilita’ (almeno, il fatto di averle ufficialmente) come uno status symbol. Se mettete in dubbio le responsabilita’, mettete in dubbio la posizione.

Questo non significa che siano dei buoni capi: spesso sono incapaci di decidere o decidono a cazzo, ovvero da manuale. (3) Ma la loro visione e’ che UFFICIALMENTE posizione=responsabilita’, e quindi  e non potete -a voce alta- mettere in dubbio la loro responsabilita’, senza attaccare la loro posizione.  C’e’ chi si prende la responsabilita’, per definizione. E se una responsabilita’ e’ vostra, “non mi assumo la responsabilita’” e’ il preambolo della vostra lettera di licenziamento. Se siete in quella posizione, la responsabilita’ e’ vostra. Punto. (poi potete sgamarla in tanti modi, ma NON dite mai cose del genere: non scegliete voi che responsabilita’ assumervi).

Altro punto, che di solito colpisce duramente le donne italiane qui. La delega. La donna italiana fa, a seconda del carattere, due errori quando riceve una posizione gerarchica qui. Sono due errori opposti, ma ugualmente mortali.

Il primo e’ quello della Regina. “Adesso sono una regina, e delego. Dove delego non significa che assegno alle persone della mia squadra i compiti della squadra. No, significa che prendo qualche volonterioso coglione/a della squadra e gli faccio pure fare il MIO lavoro. E io faccio cose “piu’ importanti”. “

Non lo fate. Va benissimo che voi diate alle persone del vostro team i compiti , assegnandoli per vostra decisione inappellabile. Ok, siete il capo. Ma attenzione: il vostro lavoro e’ il vostro. Non potete farlo fare ad altri: siete pagate per questo, ricordate? Certo, con la promozione c’e’ ancora piu’ lavoro. Eh, gia’. Ma come, la Regina deve fare tutte queste cose in piu’ di un mero suddito? Eh, gia’. Non posso semplicemente dire a qualcuno di fare queste cose al posto mio, come ogni regina fa? Eh, no.

Non appena il vostro capo si accorgera’ che dipendete da un sottoposto per attivita’ o informazioni che dovevate avere o fare in prima persona, siete fottute.

Secondo errore delle donne italiane qui. Siccome in Italia una donna per ottenere qualcosa deve fare il doppio degli uomini in meta’ tempo, succede che la squadra riceve poco lavoro perche’ fa tutto lei, la Dea Kali’ con otto mani. Non funziona. Per prima cosa perche’ la vostra squadra si lamentera’ di questo , dira’ che voi gli impedite di fare il vostro lavoro ficcando il naso ovunque, e che anche se credete di essere utili sconfinate in continuazione nel terreno altrui.

Siccome il vostro capo paga voi E paga la squadra , si aspetta che voi facciate quel che siete pagate per fare, e la squadra pure.  Non appena il capo si accorgera’ che voi fate tutto, e i vostri sottoposti (se non altro per giustificarsi preventivamente dall’accusa di non fare un cazzo) diranno che la vostra turbolenza e la vostra invadenza li disturbano, verrete accusate di fare micromanagement. E se considerate che “far fare troppi straordinari” qui puo’ essere una denuncia penale , se fossi in voi non mi giustificherei dicendo “ma come, io per questo progetto ho lavorato ogni giorno sino a mezzanotte”. Dovete capire che se in alcune nazioni la gente si porta il lavoro a casa e’ perche’ se viene pizzicata in ufficio troppo a lungo sono guai.

In entrambi i casi, sia che siate delle Regine o che siate delle Kali’ della situazione, il vostro capo vi vedra’ come persone che destabilizzano la gerarchia, i processi aziendali e la distribuzione corretta del lavoro. Una situazione che per l’italiano e’ “io sono bravo, volonteroso e faccio il lavoro di tutti” per l’italiano e’ una situazione di merito, per loro e’ confusionaria, impianificabile, poco rispettosa dei colleghi e destabilizzante, nonche’ ingestibile.  Siete sulla buona strada per cambiare azienda. Idem per la situazione della Regina: se delegate del lavoro che deve essere vostro in prima persona, anziche’ assegnare il lavoro del team alla squadra, siete inaffidabili. Significa che uno della squadra se ne va e io perdo il capo, perche’ era quello che faceva il lavoro del capo stesso. Orrore.

Per capire queste cose occorre iniziare a parlare il tedesco e a capire il processo cognitivo che ci sta dietro. Per loro, esistono una quantita’ impressionante di quasi sinonimi. Mentre l’italiano fa capire che valore abbia una parola mediante gesti e tonalita’, loro lo fanno scegliendo un sinonimo anziche’ un altro.(e’ una lingua nella quale non esiste lo stesso verbo per “andare in auto” e “andare a piedi”, esistono due “andare” diversi. Uno se andate in auto e uno se andate a piedi).

Cosi’, la domanda piu’ ricorrente nella loro mente e’ “perche’ fa cosi’ anziche’ cola’?”, che corrisponde al processo mentale del linguaggio, quando si chiedono “perche’ ha detto gehen , o fahren?” Ovviamente, perche’ avete o non avete usato l’auto. Allo stesso modo, la scelta delle opzioni per loro deve avere un significato immediato.

Cosi’, se voi potreste avere un incarico semplicemente chiedendolo e invece lo ottenete con mezzi indiretti, la domanda che si pongono e’ “perche’ ha complottato quando poteva semplicemente chiedere? Ah-so! Ma allora vuole LA GUERRA!“.

LA cosa di cui bisogna diffidare, cioe’, e’ il fatto che spesso l’italiano da’ per scontata la malafede o la taccagneria altrui. Cosi’ ci si comporta come se qualsiasi cosa si possa ottenere andasse ottenuta “obtorto collo” . Il guaio e’ che se ottenete obtorto collo qualcosa che potevate ottenere chiedendo, state manifestando ostilita’ verso qualcuno. Il quale rispondera’  con una aperta ostilita’.

Ovviamente tutto questo non e’ un manuale, cioe’ non e’ fatto di costanti nel tempo. Sono cose che notate facendo statistiche su quel che vedete. Io ho fatto statistiche su quello che ho visto accadere ad altri, e devo dire che alla fine ho notato queste tendenze.

Non leggetele come “bianco o nero”: sto dicendo che MEDIAMENTE le cose pendono in quella direzione PIU’ che in Italia. Quindi, se fate alcune cose, e’ MOLTO piu’ probabile che vi finisca male nel medio o lungo termine.

Per tendenza significa che non sto enunciando leggi fisiche. Probabilmente potrete violare questi principi di prudenza n volte, senza che succeda nulla. Ma e’ come guidare ubriachi: prima o poi vi arriva la mazzata.

Ecco, per chi voleva sapere come sia la vita professionale qui, queste sono le mie impressioni e le mie statistiche.

Uriel

(1) Il che non deve rassicurarvi, perche’ posso pensare anche a come farvi malissimo.

(2) Molti popoli pensano che gli italiani cantino quando invece parlano. Se vi ascoltate col loro orecchio, vi accorgerete che loro parlano in si, in re e in do. Mediamente l’italiano usa due ottave in un discorso compiuto, o quasi.

(3) Il tedesco non sbaglia per incompetenza, di solito. Sbaglia per eccessiva pedanteria manualistica. Si comporta come da istruzioni. E non sente le obiezioni. In un certo senso sbaglia per competenza. Diciamo che sono dei teorici anche nella prassi.

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