Critica al mercato

La crisi in corso non fa altro che alimentare quella pletora di filosofi specializzati nella “critica al libero mercato”. Alcune delle cose che loro scrivono sarebbero interessanti, se non fosse per un piccolo particolare.

E cioe’, che il libero mercato non esiste.

Ho gia’ menzionato in passato questa semplice lista di fatti. Il “libero mercato”, di fatto, dipende e si basa su tre fattori:

  1. Il contratto tra privati. Si tratta di una istituzione del diritto che permette al contratto di venire stipulato e crea, mediante le sanzioni di legge, la speranza ( o meglio la fiducia) che il contratto sia rispettato.
  2. La proprieta’ privata. Si tratta di un’istituzione del diritto che crea, mediante le sanzioni di legge , la speranza (o la fiducia) nel fatto che le proprieta’ acquisite rimarranno tali.
  3. La moneta. Si tratta di un’ente che svincola il valore del bene dal suo valore d’uso: in un mondo basato sul baratto, un ginecologo puo’ scambiare il proprio servizio soltanto con esercenti donne: se il calzolaio del paese e’ un uomo , il ginecologo gira scalzo.

Tutti e tre questi enti sono prodotti dallo stato, quindi e’ un fatto che il “libero mercato” di per se’ non sia altro che una struttura creata dallo stato.

Uno stato che si disinteressasse completamente del mercato, e non producesse alcun diritto privato, ne’ si preoccupasse di difendere la proprieta’ privata, ne’ emettesse moneta, sarebbe uno stato sotto il quale NON ci sarebbe alcun “libero mercato”.

Questo alla fine pone un limite preciso alle critiche che vengono fatte al mercato. Anzi, no.

In generale, questo semplice fatto pone DUE precisi limiti alle critiche. A due tipi di critiche.

I signori liberisti, infatti, non possono sensatamente criticare lo stato quando interviene nel mercato, per la semplice ragione che lo stato PRODUCE il mercato stesso, definendo e difendendo le regole che al mercato si vogliono dare. Ogni critica allo stato che interviene sul mercato e’, pertanto, un errore logico che portera’ a delle contraddizioni.

Dall’altro lato, tuttavia, sono inutili le critiche al “libero mercato”, dal momento che non esistendo alcun “libero mercato” , ognuna di queste critiche andrebbe rivolta allo stato.

Possiamo criticare il fatto che siano esistiti i titoli subprime , ma non possiamo attribuirli al libero mercato nel momento in cui lo stato riconosceva loro un valore legale. Quando il sistema dei subprime “funzionava”, lo stato difendeva o meno il mio diritto a ricevere dei soldi qualora il loro valore crescesse? Se il mio private trader non mi avesse dato il valore corrispondente, avrei potuto denunciarlo?

Certo che si’: tutto quel commercio era riconosciuto dalla legge.

Dunque, in generale ogni critica al mercato andrebbe rivolta allo stato che ha generato le leggi che lo rendevano possibile, e non viceversa.

In generale,quindi, tutte queste critiche (e spesso queste ideologie, che sarebbero statalismo e liberismo) in ultima analisi non hanno senso. Il vero guaio e’ che lo stato ha creato (o forse assecondato, ma non cambia molto) un mercato con queste regole, o se preferite con queste non-regole.

Questo pero’ da’ una responsabilita’ precisa alla politica, e questo probabilmente e’ il motivo per il quale si tenta di sostenere la tesi del “libero mercato”: se lo stato viene visto come qualcosa che “puo’ intervenire sul mercato o meno” anziche’ come il deus ex machina che il mercato lo crea, chiaramente tenderemo a pensare che se il marcato deraglia il problema vada cercato nei grandi big del mercato stesso, e che semmai lo stato intervenendo ristabilisca il “buon” mercato.

MA quello che e’ successo e’ diverso: lo stato, mediante le leggi, ha creato un mercato. Questo mercato ha prodotto alcuni “big”, ha prodotto una bolla speculativa ed oggi e’ andato in default. Dunque, lo stato ha creato un mercato malfunzionante e catastrofico. Il quale mercato, quindi, non si e’ evoluto secondo una vita propria, come se godesse di libero arbitrio: si e’ comportato esattamente come le leggi dello stato avevano determinato.

Non e’ quindi caduto un modello di mercato: e’ caduto un progetto politico, o se preferite il progetto economico di due classi politiche.

Da un lato e’ fallito il progetto clintoniano, che generando un lavoro “liquido” (o se preferite precario) ha creato il bisogno di prestiti a rischio, creando un bacino enorme di clienti che chiedevano mutui pur avendo un destino professionale incerto.

Dall’altro e’ fallito il progetto di Bush, che attraverso la deregolazione delle regole finanziarie ha permesso che alcune aziende avessero rating e bilanci completamente sconnessi con la realta’.

Ovviamente ad entrambi gli enti (repubblicani e democratici) fa comodo lasciar pensare che la colpa sia di un terzo ente, che sarebbe il libero mercato, e che anzi lo stato sia quello che adesso e’ costretto ad intervenire per risanare gli errori altrui.

Ma rispetto allo stato, gli errori del mercato non sono “errori altrui”: quel mercato lo ha creato lo stato stesso. E gli errori del mercato sono, di conseguenza, errori dello stato.

Il resto e’ un’illusione, alimentata dai due principali partiti americani, nel tentativo di scaricare su altri la responsabilita’.

Uriel

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