Cosa c’e’ che non va in un pensiero aristocratico?

Non mi sarei aspettato, quindi, che fosse anche necessario spiegare per quale motivo un ideale aristocratico sia per forza di cose piu’ esecrabile del mix stravagante di ignobilta’ berlusconiane.

Per prima cosa, per descrivere il tipo di non-democrazia che un ideale aristocratico persegue non e’ sufficiente fare appello ai concetti di dittatura usuali. Essi derivano in gran parte da ideologie totalitarie, ovvero da ideologie che affermavano di poter rappresentare in un solo partito la totalita’ delle opinioni e delle istanze sociali, economiche, culturali.


L’ideale aristocratico non fa questo, perche’ fa di peggio: esso necessita ,innanzitutto, di un “altro” che sia inferiore. Non e’ possibile , infatti, alcuna aristocrazia se tutti sono ugualmente aristocratici; per forza di cose l’aristocrazia deve indicare un insieme ristretto ed esclusivo di persone.

Di conseguenza, la prima caratteristica della tirannia aristocratica e’ quella di essere esclusiva, cosa che la differenzia enormemente dai totalitarismi, che al contrario si occupano di inglobare tutto, ma proprio tutto, o di distruggere il resto.

Il primo processo distruttivo, diseducativo e aberrante di queste ideologie e’ la necessita’ strutturale di indicare un “altro” che per forza di cose sia escluso dall’appartenere all’insieme dei migliori.

Come un’ideologia aristocratica lo faccia  varia da caso a caso: i casi piu’ diffusi sono le nobilta’, le quali stabiliscono una legge di sangue attraverso la quale sia impedito il libero accesso all’insieme di “migliori”.

Un altro metodo puo’ essere la cooptazione, ovvero la necessita’ di un referente interno agli aristocratici onde poter appartenere all’aristocrazia stessa.

Il metodo piu’ utilizzato oggi e’ di tipo estetico, ovvero si entra nell’aristocrazia a patto di uniformare i propri comportamenti e le proprie dialettiche ad un preciso standard, peraltro cangiante nel tempo. Secondo me si tratta di un adattamento ad una societa’ occidentale che pratica la novita’ come tradizione, tema che ho gia’ toccato.

Il problema e’: che cosa impedisce a chiunque di far parte di questa aristocrazia? La risposta e’ abbastanza semplice: dal momento che l’aristocrazia vuole rimanere tale, e non comprendere tutti, i canoni di appartenenza vengono sempre interpretati in maniera da essere esclusivi, o perlomeno restrittivi.

I comportamenti richiesti, quindi, vanno letti in modo da non essere davvero riproducibili. Possono essere non riproducibili perche’ economicamente difficili, possono essere difficilmente riproducibili perche’ socialmente impossibili (provate ad essere gay come dolce e gabbana in certe zone della provincia italiana, per dire) , o molto semplicemente perche’ si scontrano col senso comune.

Questo e’ il fenomeno cui mi riferisco: l’aristocrazia dell’opinione, opinione che e’ resa minoritaria mediante due processi:

  1. Credo quam absurdo. All’aspirante aristocratico e’richiesta una professione di fede che cozza col senso comune. Poiche’ solo una minoranza riesce a calpestare il proprio senso critico, immediatamente il processo induce una selezione.
  2. Un piccolo spettro di opinioni e’ permesso. Anche in questo caso si fara’ leva sul senso critico, o semplicemente sul livello di scolarita’. Se tutta l’ideologia e’ compresa in uno spettro ristrettissimo di argomentazioni , e come se non bastasse esse vengono espresse in maniera volutamente esclusiva, il risultato e’ che saranno condivisibili, quando non comprensibili, solo ad una piccola parte.
  3. Dequalificazione delle differenze. E’ ovvio che una situazione dialogica sia potenzialmente dannosa per un ideale aristocratico. Sara’ sufficiente voltarsi dall’altra parte,dopo aver dequalificato le opinioni altrui a semplici umori di una massa inconsapevole, e vivere come se “chi la pensa diversamente da me non esistesse”.  Eliminato il dialogo, va tutto bene. O almeno sembra.
  4. Estetica esasperata. Per ottenere questo effetto occorre che alle presunte idee vengano assegnati un certo numero di comportamenti riconoscibili, un’uniforme comportamentale che nei fatti costituisce l’etichetta , quando non la divisa, dell’aristocratico. A quel punto, bastera’ mettere in discussione la “coerenza” delle idee professate con il comportamento e si potra’ escludere chi si vuole.

A conti fatti , un ideale aristocratico si distingue da un ideale tirannico perche’ l’ideale tirannico definisce cio’ che devono pensare tutti e non possono pensare solo alcuni; l’ideale aristocratico fa esattamente il contrario e definisce un pensiero che non puo’ essere di tutti, ma solo di alcuni.

Stabilito chi faccia parte dell’aristocrazia e chi no, l’ideologia aristocratica inizia con un processo esclusivo , che consiste nell’appropriarsi lentamente di spazi politici con il preciso progetto di praticare una logica esclusiva.

L’ideale aristocratico,quindi,richiede ed implica un continuo distinguo tra chi appartiene all’aristocrazia e chi no, distinguo che deve diventare uno stile di vita, dal momento che dell’ideale aristocratico fa SEMPRE parte, in una forma qualsiasi, la professione di ribrezzo verso qualcun altro, anche quando e’ intenzionato a non dare fastidio a nessuno.

“C’e’ sempre il piu’ puro che ti epura” e’ il paradigma di questa ideologia; la ragione e’ molto semplicemente che solo cosi’ l’aristocrazia ha garanzia di rimanere esclusiva, ovvero basata sulla possibilita’ di tenere qualcuno fuori dalla porta.

A differenza del totalitarismo, che reagisce alle critiche con la persecuzione, l’ideale aristocratico reagisce molto semplicemente con l’espulsione, un’espulsione che di fatto comprende la fine dei rapporti personali, dal momento che e’ professione di fede PUBBLICA  dell’aristocrazia il disgusto verso i non aristocratici.

Se trasportiamo quindi il principio di aristocrazia in un sistema politico,otteniamo qualcosa di simile ai “prolet” di Orwell, cioe’ dei meteci che per definizione non capiscono e non sanno, distinti dall’aristocrazia che per definizione e’ formata dai migliori.

Faccio presente che il meteco sia per definizione chi non viene accettato dagli aristocratici: la condizione di non essere accettati e’ sufficiente.

Una volta piombati tra i “prolet”, tra il popolino ignorante, i meriti in qualsiasi campo vengono annullati. Per definizione, infatti, i popolino ignorante non sa e non capisce: in una societa’ basata su un’ideologia aristocratica sembra ovvio che i posti piu’ elevati debbano venire occupati, per definizione, per DIRITTO, dagli aristocratici.

Questo pero’ non significa che vi sia qualche sforzo per emancipare i prolet, anzi: l’equilibrio tra la massa dei non aristocratici e tutti gli altri e’ essenziale perche’gli aristocratici rimangano una parte esclusiva della societa’; l’esclusivita’ dell’aristocrazia e’ un processo vitale: essa vive di espulsioni.

Poiche’ una sequela infinita di espulsioni e’alla lunga controproducente, spesso l’aristocrazia si stuttura gerarchicamente, cioe’ in maniera orizzontale,oppure si differenzia per correnti, cioe’ in maniera verticale. Cosi’ facendo puo’ anche rimanere maggioritaria, sempre a patto che tutti si uniscano alla pubblica professione di disgusto verso chi non appartiene all’aristocrazia stessa.

In questi casi la vocazione minoritaria dell’aristocrazia non e’ piu’ indispensabile; a patto che non sia totalitaria essa puo’esistere anche inglobando la maggior  parte della popolazione; e’ sufficiente che gli esclusi siano in numero sufficiente da essere visibili, esecrabili ed oggetto di disprezzo.

Ma a differenza dei regimi totalitari, che prevedono la possibilita’ di “rieducazione” degli individui perche’ l’ideale va portato a TUTTI, le ideologie aristocratiche mantengono volutamente una certa quantita’ di persone nella geenna, dal momento che e’ loro necessario per poter mantenere il proprio status. In questa differenza e’ nascosto il motivo per il quale i sistemi aristocratici sono PEGGIORI di quelli totalitari: essi non ammettono emancipazione universale, nemmeno se richiesta o volontaria.

Vediamo gli effetti.

Gran parte delle carriere sociali, culturali ed economiche sono fondate sull’attivita’ di networking, ovvero di relazione. Il fatto che senza venire accettati inibisca la crescita personale fa si’ che una forte aristocrazia possa limitare in senso verticale  la crescita della persona.

Una societa’ aristocratica si struttura culturalmente  in modi diversi  a seconda delle percentuali di aristocratici.

  • Mainstream. Nel caso in cui gli aristocratici siano la maggioranza, l’effetto sulla cultura e’ un’assegnazione di titolo , diciamo di “alto”, ad una sottocultura, e del titolo di “basso” all’altra. In questo caso avviene un processo di omologazione per il quale “tutti” e’ una fonte qualificante. Cio’ che non fanno “tutti”, non dicono “tutti”, non pensano “tutti” e’ deriso, espulso ed emarginato. “Tutti” e’ la maggioranza di aristocratici, il mainstream. L’ universita’ degli anni ’70 e’ un esempio.
  • Elite. Nel caso in cui gli arisocratici siano una ristrettisima minoranza, quello che pensano “tutti” , quello che dicono “tutti” e quello che fanno “tutti” diviene un dispregiativo. Gli aristocratici hanno rapporti solo tra loro, divengono autoreferenti ed elaborano un linguaggio incomprensibile ai piu’. Il loro canone estetico e’ ristrettissimo, esclusivo e concepito per essere di pochi. Fanno una continua professione di disprezzo verso le masse.
  • Declino. L’ideale aristocratico declina in un solo caso, che e’ quello per cui un altro gruppo inizi a sostenere di essere,a propria volta, la vera aristocrazia. Perche’ questo succeda occorre pero’ che le percentuali siano abbastanza simili, in modo che ne’ la forza dei numeri ne’ la forza della selezione possano venire usate. Se i numeri sono piu’ o meno uguali, e’ impossibile dire “lo dicono tutti”, ma e’ anche impossibile dire “noi siamo i pochi eletti”:  gli aristocratici sono troppi per essere elite, e troppo pochi per essere mainstream. In genere, una delle due fazioni a questo punto espelle un po’ di membri , e mira a divenire elite, poiche’ e’ piu’ semplice rispetto al tentativo di crescere numericamente e divenire mainstream.

A seconda delle tre situazioni , la societa’ prodotta da questi movimenti politici si predispone per un orrore differente.

  1. Nelle societa’ basate sul mainstream, ogni voce discordante ottiene la completa emarginazione, che si traduce in un disastro economico , sociale, culturale. Le persone anche vagamente critiche verso il sistema mainstream vengono quasi considerate pazze, indi emarginate totalmente. Questo non avviene mediante leggi, bensi’ mediante l’ uso in senso esclusivo  del senso comune. Che ingegnere sei, se non capisci? Come pensi di passare un esame di matematica, se non capisci? La politica viene elevata a stile di vita, e chi osa differire viene espulso, a ragione. “A ragione” significa che nascono dialettiche per le quali e’ pienamente giustificato che se non hai certe opinioni non puoi inserirti nella scuola, al lavoro, nell’amministrazione pubblica. Una societa’ basata su una conventio ad excludendum sociale, economica, culturale. Che marito e’, uno che vota per forza italia?  Non c’e’ campo ove non possa venire applicata.
  2. Se abbiamo una aristocrazia minoritaria ma consolidata, essa si limitera’ ad occupare, per cooptazione, tutti i posti piu’ in vista, tutti i posti piu’ elevati, tutte le posizioni piu’ desiderabili. Sidiffonde un’ideologia secondo la quale chi non la pensa come l’aristocrazia non e’, ipso facto, degno di essere piu’ di tanto ai vertici di qualsiasi cosa. Se non la pensi come noi potrai essere un buon lavoratore, magari un buon subalterno, ma non potrai essere MAI un buon capo, un buon dirigente, un buon politico. Si teorizza il diritto di queste persone ad occupare determinati posti. Nella pubblica amministrazione, nella scuola, sul lavoro, i posti piu’ alti sono tutti prenotati, riservati, occupati sin da ieri.
  3. Nel caso di un’aristocrazia in lotta, la situazione e’ la piu’ disgustosa possibile: poiche’ non e’ possibile assorbire altre persone e tornare mainstream, inizia il processo di riduzione ad elite, col risultato che ogni persona e’ osservata, giudicata, inquisita, finche’ non cade in fallo e viene immediatamente espulsa. Tutto si trasforma in una situazione ove c’e’ sempre il piu’ puro che ti epura, ogni critica e’ proibita, c’e’ la gara a chi e’ piu’ puro.

Nel tempo, il ciclo vitale di queste aristocrazie e’ il seguente:

  1. Esse nascono come novita’, e quindi fenomeno di elite. In questa fase, si limitano a selezionare le persone chiedendo una qualche “prova di anticonformismo”. La professione di disprezzo verso tutti gli altri e’ il carattere identitario piu’ forte.
  2. Nella seconda fase diventano mainstream.A quel punto, gli esclusi sono pochi e il movimento diviene autoreferente, noioso, conformista. Poiche’ i piu’ elitari trovano massificante questo stato (non sono piu’ elite), iniziano un processo per di epurazione, ed il movimento inizia a scindersi e ridimensionarsi.
  3. Nella terza fase , il movimento ha perso abbastanza persone da non essere mainstream, ma non abbastanza da essere elitario. In questa fase un altro movimento si autonomina aristocrazia, e inizia lo scontro.La  reazione e’ di ridurre ulteriormente il numero di persone, per tornare ad essere una elite pura.
  4. Nella quarta fase il movimento e’ divenuto elite restringendosi  numericamente, ma ma nel frattempo il movimento concorrente e’ divenuto mainstream. E cosi’, quella che sembrava elite e’ diventata semplicemente la plebe del punto 1.

Tutto questo ciclo implica che milioni di persone siano prima accettate e poi espulse dalla societa’, senza riguardo per i propri meriti individuali, ma secondo il solo criterio di appartenenza all’aristocrazia. Per comprendere l’ orrore basta vedere cosa succede  a chi non vi appartiene.

Nella fase elitaria, chi non appartiene alle elite e’ escluso dai ruoli piu’ alti, dirigenziali, intellettuali, economici, politici, della societa’. Puo’ galleggiare nel proletariato e persino diventare un piccolo borghese. Guai se cerca di arrivare ai salotti buoni.

Nella fase mainstream, nemmeno lo status di piccolo borghese e’ tollerato, e rimane solo quello di proletariato indigente. Culturalmente, le opinioni di queste persone non sono accettate perche’ CLASSIFICATE come indesiderabili. Non e’ prevista nessuna emancipazione, e l’accanimento e’ continuo, facendo parte della continua professione pubblica  di disgusto verso i non aristocratici.

Nella fase di conflitto, il comportamento degli aristocratici e’ particolarmente aggressivo ed inquisitorio: essi combattono contemporaneamente al proprio interno (per espellere gente e ridursi ad elite) e contro l’aristocrazia avversaria.In questa fase nessuna scorrettezza, nessun colpobasso, e’ vietato. La posizione di ognuno e’ precaria; tutti rischiano di essere esclusi ,colpiti, bersagli, epurati. In tal caso, a prescindere dai meriti personali, arriva un ostracismo economico, sociale, culturale, che offre come sola alternativa l’arruolamento nella nascente aristocrazia avversaria.

Nella fase discendente, la vecchia aristocrazia si chiude in una torre d’avorio, sino a quando la nuova aristocrazia diviene mainstream, e la distrugge  economicamente, socialmente, culturalmente, emarginandone i membri.

Questa continua guerra, che sul piano personale significa passare anni da emarginato, anni da persecutore, anni da inquisitore o da inquisito, nella completa IRRILEVANZA dei meriti personali, e’ la societa’ fondata su ideali aristocratici.

Nessuna parte dell’esistenza umana si salva: il non aristocratico e’ indesiderabile come marito, come moglie, come padre, come amico.

E’ inascoltato quando parla, sottovalutato al lavoro, bocciato a scuola.

E’ rifiutato da ogni gruppo se non altri gruppi di emarginati, non gli e’ permesso accedere ove accedono gli altri.

In tutta onesta’, questa merda ve la tenete.

Che io il buttafuori l’ho fatto per anni, e la selezione all’ingresso e’ tutta una cosa diversa dall’aristocrazia. Per esempio, chi e’ dentro non fa professione pubblica di disprezzo verso chi non c’e’: il suo scopo e’ entrare, non lasciare fuori degli altri.

Mentre in un mondo aristocratico non importa cosa ci sia dentro, l’importante e’ che fuori ne restino abbastanza, di quelli che fanno schifo.

Selezione all’ingresso significa che se tutti sono degni, tutti entrano. Aristocrazia significa che se fai entrare tutti qualcuno se ne va in un altro posto, a patto che lì qualcuno venga buttato fuori, per principio.

L’ideale aristocratico non e’ l’ideale che produce il buttafuori, e’ l’ideale che produce quelle scatole dette “privee”, che non impediscono alla gente di entrare nella discoteca, ma fanno in modo che qualcuno sia piu’ uguale degli altri (quelli dentro il privee) mentre gli altri non vengono cacciati, perche’ servono a quelli del privee per sentirsi superiori, e se non ci fossero non sarebbe chiaro che la gente nel privee’ e’ cosi’ VIP.

No, un mondo cosi’ ve lo tenete.

Uriel

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