Cibo

No, non e’ un post sul mio libro. E’ un post che parla , appunto, di cibo. Perche’ se si parla di agricoltura sembra si voglia dimenticare quella che era la sua missione originale, ovvero quella di produrre cibo per tutti. E se non siete sostenitori di Milton Friedman , potrebbe ancora capitarvi di pensare che una precisa attivita’ economica abbia delle responsabilita’ sociali.

Punto primo: it’s all about planning, dude.
La differenza tra fare agricoltura e raccogliere cio’ che cresce spontaneamente si puo’ riassumere in due punti. Il primo e’ che spontaneamente cresce molto meno cibo rispetto a quello che si possa raccogliere nei campi. Quindi, per forza di cose ad un certo punto qualcuno vuole concentrare tutta in un posto la crescita di piante, in numero e densita’ maggiori di quelle naturali.

Questo perche’ la ricerca del cibo ovunque si trovi impedisce di pianificare le quantita’ di cibo disponibili. Se in una zona qualsiasi arriva un animale prima di te perdi il cibo, mentre un campo lo puoi difendere. Se arriva una siccita’ puoi annaffiare un piccolo pezzo di terra, anziche’ la foresta intera da cui prendevi il cibo.
Il secondo punto per cui nasce l’agricoltura e’, ancora, pianificazione. Non sappiamo con certezza quanto cibo crescera’ spontaneamente l’anno prossimo, e l’unico modo di garantircelo e’ quello di prendere il controllo del processo di riproduzione delle piante.
Il primo fattore nel problema e’ la pianificazione della produzione , con relativi costi di trasporto.
Il punto secondo e’: your grandma was a bitch, like any other.
Qualcuno continua a sostenere che i metodi di coltivazione dell’antichita’ fossero sostenibili e che la popolazione fosse capacissima di sostentarsi con i prodotti locali. Sfortunatamente, la storia umana e’ fatta di un tale numero di migrazioni che una tesi simile e’ insostenibile.
E’ assolutamente chiaro che le migrazioni erano legate, in gran parte, alla mancanza di risorse in loco. E che tali risorse fossero principalmente agricole. Affermare che la biodiversita’ sia una garanzia per la reperibilita’ di cibo in ogni condizione climatica e’ una stronzata: il fattore principale nel problema che stiamo esaminando non e’ la resistenza della pianta, ma la quantita’ prodotta e stoccata.
I cambiamenti climatici sono sempre esistiti, anche senza nominare il minimo di Maunder. E gli anni di carestia sono sempre esistiti. Siccome sono imprevedibili, avere a disposizione una pianta che avrebbe potuto resistere al clima di quest’anno e’ inutile: quando ci accorgiamo del clima di quest’anno, la frittata e’ fatta e il raccolto e’ perso.
L’idea che coltivando 700 tipi di piante , con 700 diverse filiere di conservazione, stoccaggio e trasporto ci si metta al riparo da eventuali carestie locali e’ idiotica. Quando arriva la carestia, tutto quel che ti resta e’ un biologo che arriva e dice “ehi, ma noi abbiamo una pianta che cresce in queste condizioni”. Solo che la scelta andava fatta l’anno PRIMA, e nessuno mi garantisce il clima di quest’anno.
Il secondo principale fattore in gioco , e’ la quantita’ globale prodotta.
Il terzo punto e’: your grandma was more stupid than mine.
Sin dal periodo di egizi e romani, alcune piante vennero scartate e si smise di coltivarle. Perche’? Per una semplice questione logistica. Il governo del periodo riscuoteva le tasse in natura. Ovvero andava dai contadini a prendere grano e altri prodotti, che poi stoccava nei silos e nei granai.
Durante il periodo invernale lo stato poi vendeva il grano ed eventualmente -piu’ avanti nel tempo- le farine, e si finanziava. I grandi imperi sperimentarono subito le carestie locali ed i relativi cambi di prezzo, e iniziarono a stoccare cibo  di conseguenza. Ma questo ovviamente limito’ la biodiversita’. Se stoccare granaglie e’ relativamente facile , stoccare legumi lo e’ meno, stoccare frutta ancora meno, con l’eccezione della frutta secca.
Cosi’, sin da subito l’esigenza logistica ha selezionato le coltivazioni. Nessuno vieta ad un essere umano di vivere di ortaggi freschi e frutta deperibile, ma se basiamo l’alimentazione di un popolo su questo, alla prima carestia scoprirete che non ci sono riserve e morite di fame.
Allo stesso modo i sistemi di conservazione e la durata delle derrate stoccate presero importanza. Quando si scopri il modo di essiccare carne, pesce, di conservarla con spezie, il modo di spremere le olive, di conservarle in vari modi, di mettere sotto sale il pesce, fu un grosso passo avanti.
Perche’? Perche’ un altro principale fattore del problema e’ la conservazione del cibo.
Il quarto punto e’:  this is not food, even you are used to eat that shit.
Si continuano a nominare mitologiche popolazioni del Merdistan Citeriore, le quali sono capaci di mangiare roba che fa schifo e di vivere felici con quella roba. Beh, se provate a vendere in un paese civilizzato quella roba, venite arrestati.
Come mai? Per una cosa chiamata igiene. I Merdawi del Papwarbi Citeriore hanno, probabilmente, un tasso di cretinismo femminile alla seconda gravidanza del 90%. Hanno quasi certamente un problema di echinococco, parassitosi come se piovessero e crepano di convulsioni per colpa della segale cornuta.
Nelle coltivazioni moderne la segale cornuta e’ quasi sconosciuta, l’echinococco e’ combattuto con una profilassi adeguata, il cretinismo femminile post-gravidanza e’ una sindrome quasi sconosciuta. E questo perche’ una donna rimane in gravidanza 9 mesi senza che nel mezzo ci sia “il periodo secco” nel quale si mangiano solo zecche immerse nel piscio di capra. Se il ciclo dell’alimentazione dura 12 mesi, e una donna ha gravidanze di 9 mesi, il periodo di minima alimentazione cade sempre in qualche fase della gravidanza. E alla seconda, arrivano l’esaurimento e il cretinismo.
Quindi no, i Merdawi del Papwarbi Citeriore non sono “felici” con la loro agricoltura tradizionale. Le donne sembrano felici perche’ sono troppo cretine per pensare , gli uomini sono troppo occupati a togliersi i parassiti dallo stomaco e i bambini non vi stanno sorridendo: vi mostrano i denti.
E non tutto quello che la gente nel mondo mangia e’ “Cibo”. Spesso mangiano varieta’ scadenti di immondizia, con effetti devastanti.  E no, non e’ un problema di punti di vista: se le donne attraversano il periodo di fame del ciclo agricolo annuale e la mortalita’ infantile sale del 10%, la morte dei bambini e’ un fatto.
Perche’? Perche’ un altro fattore del problema e’ la sicurezza del cibo.
A quel punto, andiamo a vedere qualche altro fatto.
Punto primo: la popolazione e’ in crescita. Qualsiasi stronzo sa sfamare 200 milioni di indiani nel subcontinente indiano. Sfamarne un miliardo e’ pensabile solo affrontando i punti principali del problema:
  1. Pianificazione e costi di trasporto. Occorre un sistema industriale capace di pianificare la produttivita’ dei campi e pianificarla. Altresi’, occorre un sistema industriale capace di gestire il trasporto. Se c’e’ carestia nella zona A e manca il Crappus Pippensis, devi avere una riserva di Crappus Pippensis da qualche parte. PErche’ se nella zona A tutti i silos e le tecniche di conservazione e trasposto sono fatte per , che so io, il Bullshittung Liberis , tu dalla zona B non puoi fare venire una cippa. Cosi’, devi scegliere: se vuoi mantenere 7 miliardi di persone, o tutti coltivano Bullshittung Liberis, oppure Crappus Pippensis. Non puoi avere entrambi.
  2. Quantita’ globale. Il clima locale cambia ed e’ sempre cambiato. Le carestie locali ci sono e ci sono sempre state. Se nella zona A hai una carestia, devi avere quantita’ di cibo stoccate altrove. Questo fa si che tu debba aumentare le quantita’ di continuo, anche oltre i reali bisogni, e poi stoccare e conservare le cose. Questo significa concentrarsi su poche specie, per le quali e’ meno costoso fare miglioramento delle sementi, studiare anticrittogamici e concimi sempre migliori. Non e’ pensabile costruire un apparato industriale ad hoc per centinaia di specie. Questo alza il prezzo, ovvero rende inaccessibile la quantita’.
  3. Conservazione del cibo. Il cibo prodotto con mezzi agricoli va conservato almeno un anno. Ovviamente, piu’ se ne conserva e meglio e’, dal momento che un periodo di carestia locale o globale puo’ sempre capitare. Ma se si producono 3500 varieta’ di piante, occorre sviluppare tecniche di conservazione sempre migliori per 3500 varieta’, e poi occorre che OGNI ZONA del pianeta sia attrezzata di conseguenza. Il che rende antieconomica la scelta. Meno tipi significa che puoi conservare di piu’ e meglio, e quindi in caso di carestia spostare il cibo in un luogo ove ci siano le infrastrutture pronte per la tecnica di conservazione che si usa.
  4. Sicurezza del cibo. E’ assolutamente chiaro che per garantire la sicurezza del cibo occorra usare degli standard igienici , profilattici e tossicologici.  Non e’ possibile pensare che 300 varieta’ di piante coltivate in 500 modi diversi possano venire di volta in volta controllate dagli operatori locali. Chi vende farina in un panificio italiano non puo’ dover immaginare i 500 modi diversi di coltivare la farina, i quali producono 500 tipi diversi di problema se gestiti nella maniera impropria. Se si vuole cibo sicuro, occorre che gli standard siano semplici e facili da applicare.
Questo e’ il punto del problema logistico: se vogliamo garantire a tutti che li sfameremo, occorre mettere in piedi un sistema capace di compensare le carenze locali. Se in un posto manca improvvisamente grano, che prima c’era, dobbiamo pensare che in quel posto ci siano le attrezzature per stoccare il grano, conservarlo, trasportarlo,  verificarne la sicurezza e trasformarlo in cibo edibile. Se a quel punto io dico “ma io ho accomulato un altro cereale ” , il problema sara’ che quel cereale che ho accumulato io in un altro posto magari non si conserva,trasporta,stocca,verifica  con le attrezzature presenti dove oggi manca il grano.

Se si vuole che mancando il cibo X in un posto si possa rimediare con le riserve di un altro posto, occorre che in tutti i posti ci siano riserve,attrezzature,tecniche di conservazione e verifica adatte, ovvero che dappertutto si faccia uso dello stesso cibo. La biodiversita’ NON e’ una soluzione al problema logistico.  E il principale problema del cibo e’ quello logistico.

Detto questo, qualcuno mi chiedera’: e il “gusto”?

Perche’ lo scopo col quale ci stiamo facendo i pipponi oggi e’ che cucinando come le nostre nonne noi coltiveremmo chissa’ quale gusto.
Innanzitutto e’ una cazzata: e’ vero che in alcune corti europee si era arrivati ad avere gusti estremamente sofisticati, ma e’ vero che in quelle corti europee NON si mangiava come mangiavano le nonne. Gli animali si consumavano quasi esclusivamente cuccioli (come l’agnello o il vitello) oppure castrati, la cacciagione veniva lasciata ai villici dopo la caccia e non certo consumata dai nobili, il re della tavola ricca era il pollo cappone, e cosi’ via, la carne ai ferri era una porcheria da poveretti, e cosi’ via.
E’ vero che 200 anni fa esistevano gia’ gusti sofisticati, ma non erano quelli dei nostri nonni. L’alimentazione contadina ha un solo requisito: fornire calorie e proteine a gente che fa 12-14 ore di campagna al giorno. Questo spiega la sovrabbondanza di carboidrati nella dieta italiana e contadina, e l’uso di legumi. Il gusto non e’ MAI stato un problema dei nonni, e le pietanze che ci tramandiamo come fossero oro colato NON sono esempi di “gusto”.  Ci piace il profumo e ci piace il sapore perche’ abbiamo lo stesso gusto primitivo e non sofisticato dei nonni, ma ripetere l’ignoranza dei nonni non ne fa una cultura. Ne fa solo un’ignoranza tradizionale.
I gusti raffinati li avevano i nobili di Versailles, non i contadini della Loira. Li aveva il Camerlengo papale, non la Nonna Amelia.
Cosi’, la grande mistificazione del gusto e’ innanzitutto una mistificazione velleitaria con la quale si sogna che i gusti del popolo -da cui deriva la cucina tradizionale- fossero sofisticatissimi. Palle. I contadini italiani, tradizionalmente, mangiavano leggermente meglio dei propri maiali, ma non troppo e non sempre.
Ma il vero problema e’ etico. Oggi come oggi non si produce abbastanza cibo a prezzo abbastanza basso. Qualcuno blatera di monopoli e problemi di distribuzione, ma sinche’ trasporto, stoccaggio, conservazione e sicurezza del cibo sono processi industriali sconosciuti , il prezzo sara’ sempre troppo alto per meta’ del mondo.
Se dividessimo per 7 miliardi il cibo prodotto , in maniera uguale, arriveremmo APPENA alla sussistenza, e dico APPENA perche’ e’ una cosa infattibile. Problemi di stoccaggio, trasporto, conservazione e sicurezza farebbero morire milioni di persone ad ogni cambio climatico. Come e’ sempre successo e come ha smesso di succedere in occidente quando l’industria ha introdotto migliori metodi di conservazione, stoccaggio e trasporto del cibo.
Tenendo conto della realta’, sul pianeta terra non si produce abbastanza cibo. Il problema, e la priorita’, non e’ nel gusto. E’ nell’averne abbastanza.
Ed e’ assolutamente  CRIMINALE che si riduca la resa della produzione di cibo per soddisfare il mitologico “gusto” di gente senza gusto che vuole illudersi di avere lo stesso gusto che e’ sempre mancato ai nonni.
Sinche’ si produce troppo poco cibo, c’e’ solo una via: produrne di piu’, stoccarlo meglio, conservarlo ancora meglio e applicare sempre meglio gli standard di sicurezza. Solo quando, a meno delle inefficienze della distribuzione, ci sara’ cibo per tutti, allora il “gusto” sara’ una priorita’ accettabile.
Ci si interroga in contiuazione con gli sprechi di cibo in occidente, ma c’e’ un concetto che non e’ chiaro: ANCHE COLTIVARE LA TERRA A BASSA RESA E’ UNO SPRECO DI CIBO.
Produrre 100 quintali di cibo e buttarne 50 e’ uno spreco, ma e’ uno SPRECO IDENTICO a chi produce solo 50 quintali dove poteva farne 100.
Soltanto perche’ non vedete il cibo nei bidoni della spazzatura non significa che siano cose diverse: in un caso sprecate il cibo DOPO averlo cresciuto, nell’altro lo sprecate PRIMA di averlo cresciuto. I due sprechi sono la STESSA IDENTICA COSA.
E quindi no, per avere la coscienza a posto non me ne frega niente del gusto o della tradizione. Devo poter dire ad OGNI bambino del mondo che lo sfameremo, e non con le zecche nel piscio ci capra che e’ abituatoa  mangiare il bambino della tribu’ Merdawi, ma con lo stesso cibo che darei a mia figlia. Solo allora posso parlare di coscienza a posto.
Per me chi produce bene cibo e’ chi ne produce di piu’. Non me ne frega un cazzo dell’azienda di Norcia che produce 500 prosciutti all’anno per avere un prezzo alto, quando potrebbe produrne 10000. Sinche’ ci sara’ gente che non ha niente da mangiare, chi fa questo e’ UN CRIMINALE.
E se lo fa per il “gusto” , cioe’ per pura libidine, e’ ancora piu’ criminale.
Se proprio volete godere a tavola, fatevi fare un pompino a pranzo. E’ facile, economico, e non e’ uno spreco di cibo.
Uriel

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