Bossi e il fucile del potere.

Puo’ sembrare strano il comportamento di Bossi subito dopo la vittoria elettorale, proprio quando ci si aspetterebbe che, avendo guadagnato un consenso piu’ diffuso, per tenerselo stretto la Lega dovrebbe moderare i toni.

Il ragionamento che confortava i commentatori politici era che se oggi la lega contiene anche il consenso di persone meno “estremiste” e mediamente piu’ scolarizzate, la conseguenza piu’ evidente e’ che per mantenere il consenso si sarebbe dovuto dire qualcosa che soddisfi queste persone.

I commentatori che pensavano questo hanno la memoria corta: dimenticano che la Lega ha avuto un altro periodo di “picco” elettorale, nel quale aveva assorbito parti consistenti del mondo giovanile e del ceto medio di allora.

E dimenticano questo: che mai come in quel periodo la leadership di Bossi venne messa in dubbio. Si parlo’ di Maroni, di Miglio, persino la Pivetti e venne defenestrato ed espulso quasi il 60% della classe politica di allora.

Il problema e’ che la Lega aveva (ed ha ) una classe dirigente adatta a rappresentare una protesta brontolona e distruttiva, e per quanto ne dicano non si tratta di un partito progressista.

Ma i primi sogni di Padania non vedevano , almeno nei giovani entusiasti della meta’ degli anni 90, una Padania confessionale, chiusa e bigotta. Sognavano una PAdania fatta su un modello belga od olandese, quando non elvetico.

Si trattava di una componente progressista che voleva farsi vedere, e alla classe politica reggente fu chiaro che se delle persone simili si fossero messe in mostra, nella trasformazione del partito locale a partito nazionale proprio questi elementi sarebbero diventati dominanti. Ed incontrollabili.

Ripeto, mai come in quel periodo la leadership leghista fu messa a dura prova. Si parlava addirittura di Maroni “traditore” per essere un candidato preferibile a Bossi. Maroni pago’ questo gradimento con anni di basso profilo e di asservimento a Bossi.

In definitiva, i commentatori che sperano in una Lega piu’ progressista solo perche’ ha ingoiato parti normalmente progressiste della societa’ non considerano proprio questo: che per molti politici usciti dal PCI, il problema non e’ l’alta percentuale di voti alle elezioni ma la posizione personale nel partito. Il PCI rimase 40 anni all’opposizione, e nel farlo sviluppo’ proprio questa mentalita’: poiche’ non abbiamo una poltrona da darti, guarda invece come sei potente dentro il partito. Bossi, che viene dal vecchio PCI, la pensa esattamente allo stesso modo: a lui basta che la Lega superi il 4% di sbarramento. Da quel momento in poi, che abbiano il 10% o il 4,1% non importa: quello che importa e’, ovviamente, esserne il capo.

Di conseguenza, Bossi e’ del tutto disposto a perdere quei voti guadagnati, se tutte quelle persone entrate nel partito possono anche di striscio rappresentare una richiesta di cambiamento per il partito stesso.

Ed e’ quello che sta facendo: nel reiterare un messaggio tollerabile solo ai fanatici, non sta facendo altro che mettersi al sicuro dalle richieste di rinnovamento che probabilmente verranno dalla nuova base: Umberto ha gia’ visto la scena, e sa benissimo di rischiare la cadrega se non riesce a mettere a tacere i nuovi arrivati.

Lo scopo del suo parlare di fucili e di altre amenita’ e’ proprio questo: se i nuovi arrivati non gradiscono, possono sempre andare via. A Bossi non importa, gli basta essere il capo della Lega, fosse anche la Lega un partito locale col 4% nazionale. Purche’ lui sia il capo.

E se i nuovi arrivati non volessero andarsene? Rimarrebbero succubi e continuamente umiliati dal comportamento del capo, in una posizione per la quale sarebbe continuamente chiaro come le loro eventuali idee progressiste non possano avere spazio.

In definitiva, quindi, e’ meglio non aspettarsi che Bossi modera i toni: anzi, peggiorera’ ulteriormente per non rischiare un altro decennio come gli anni ’90. Gli unici nei quali si e’ parlato di un suo successore.

Uriel

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