Aziendalismi.

Una mia affermazione (abbastanza scontata, pero’) riguardante la categoria di donne “taccododici” ha suscitato qualche polemica, anche se onestamente non capisco il perche’: ammetto pero’ che questa ovvieta’ sia dovuta ad alcune mie esperienze passate (aver lavorato per una corporation americana, aver fatto il freelance, etc) per le quali sono portato a considerare scontate alcune cose. Vedo di chiarire come la penso.

Dunque, se sei ancora all’universita’ e un’azienda che e’ considerata il gotha del supercalcolo ti viene a cercare, ti gasi. Il mio ego, che gia’ aveva un seggio all’ONU, ha iniziato  a distorcere lo spazio circostante con una certa veemenza.

Cadere nella trappola della carriera, specialmente se si e’ giovani, e’ semplice. Per prima cosa, sino a quel momento si e’ avuta una vita sociale “gratuita”, o se vogliamo “di stato”. Gli amici del paese, quelli che ti fai a scuola, quelli che ti fai andando a scuola. La vita sociale e’ percepita come qualcosa che c’e’, come l’aria, e quindi non puo’ mancare. Quando viene chiesto sempre piu’ impegno, non si capisce molto bene come la vita sociale della persona stia per venire cancellata, e procedendo di quel passo tutti i tuoi amici saranno anche tuoi colleghi.

La trappola si svolge in due fasi, o meglio, si compone di due parti logiche. La prima e’ di ordine temporale.

Se fai la tal cosa, raggiungi i tal risultati, ottieni questo e quello, allora DOPO ti verra’ dato ancora di piu’.

Questa e’ la prima trappola, che in realta’ vi fotte. Per prima cosa perche’, ragionando come se il lavoro fosse un investimento, vi state affidando ad un meccanismo di carriera che (1) non e’ affatto garantito.

E’ ora di dirlo, e cioe’ che quello che conta quando siete in una grande azienda non e’ la vostra aspirazione a crescere, ma il cosiddetto “entry point”. Per le aziende voi siete risorse umane, che si reperiscono sul “mercato del lavoro”: se serve un manager domani, si compra un manager domani. Non si prende una persona di competenze diverse per trasformarla: e’ uno spreco inutile.

Ovviamente ci sono delle eccezioni: nelle aziende in forte crescita, ovviamente il singolo tecnico puo’ diventare improvvisamente caposezione, e infine dirigente, per la semplice ragione che l’azienda cresce piu’ in fretta di quanto non possa strutturarsi. un altro caso e’ quello di aziende fuori controllo, o sotto controllo politico, nel quale apposite cordate possono “scalare” l’azienda. Se siete nel classico caso di persona che ha solo se’ medesima e viene assunta, non illudetevi: tutta la vostra carriera sara’ l’entry-point piu’ uno o due gradini.

C’e’ modo di sfuggire? Certo: rimettendosi continuamente sul mercato ad un entry-point sempre superiore, diciamo ogni 2-2.5 anni,  sara’ possibile scalare. Va da se’, pero’, che in Italia la cosa sia proibitiva: solo laureandosi a 23 anni e praticando spietatamente questa logica si potranno scalare 3-4 gradini entro i 30 anni. Se l’entry -point e’ quello giusto, perche’ se siete ingegneri ed entrate come tecnici, ma volete fare i manager, partite dal piano -2, cioe’ con cinque anni di svantaggio. Vi conviene pianificare una carriera da tecnici, allora, almeno non avete quel gap verso ogni bocconiano che entra direttamente nel management e non deve saltare il primo GAP.

Tornando a bomba, quindi: la prima cosa da capire e’ che carriera e lavoro stabile non sono compatibili. Se volete davvero crescere, dovete cambiare azienda entrando ad un entry-point sempre superiore. (2) Se entrate in un’azienda con l’intenzione direstarci, sognatevi la carriera, perche’ sono tutte palle, tranne casi fortunatissimi , anomali, spesso legati a circostanze perlomeno distorte rispetto al normale mercato. Nessuna azienda ha interesse a sostituire (coi relativi costi) la scuola : colmare il gap tra tecnico e manager che e’ presente tra  lauree in materie diverse e’ un lavoro che le aziende non vogliono fare. Punto.(3)

Cosi’, il miraggio e’ quello della carriera. “Se fai, crescerai”, ti viene detto. In realta’ e’ una palla: non solo , come ho detto, non cresci affatto, ma anche tutti i soldi che prenderai andranno via. A me, per esempio, veniva “imposto con le buone maniere” di avere anche un appartamento a Milano, e mica a Quarto Oggiaro. Occorreva una macchina “un minimo da rappresentanza”, per non presentarsi dai clienti con una vecchia ford escort modello Bud Spencer(4). Vuoi rinunciare all’aperitivo aziendale? E al rafting aziendale(5)? E alle convention? E al primo vero palmare con riconoscimento della calligrafia della storia?(6)

Insomma, il trucco e’ che se vuoi tenerti un guardaroba decente, mantenere un’auto decente, un pied-a-terre fuori sede, palestra, sport figo con attrezzatura costosa, quella cifra che ad un operaio sembra un miraggio basta a malappena. E qui c’e’ la prima fregatura.

L’avanzamento di reddito promesso da moltissime aziende viene completamente assorbito dalla somma delle spese necessarie che sono richieste per sostenere lo stile vi vita associato all’impegno lavorativo.

Alla working class apparite come fortunati. Nel senso che loro paragonano i pochi risparmi con il loro stile di vita, e assumono che voi abbiate uno stile di vita superiore ERGO molti piu’ risparmi. Beh, non ci credete: quegli “spremuti” li’ (e ne ho fatto parte) possiedono cio’ che gli serve per sostenere il proprio lavoro e lo stile di vita richiesto, e per questo vi appaiono scintillanti (come la taccododici) ma non gli resta una lira da parte. Se vengono licenziati hanno riserve per 3 giorni, a malappena.

Ma la cosa cui nessuno pensa e’ che e’ possiible moltiplicare il reddito, e’ possibile moltiplicare l’impegno, e’ possibile moltiplicare tutto, ma il tempo a disposizione di una persona e’ sempre quello: 24 ore al giorno. E no, non potrete moltiplicarlo.

Questo concetto ti diventa chiaro quando fai il free lance. Quando fai il free lance (se hai una struttura come avevo io, cioe’ un laboratorio/ufficio) ti trovi ad avere un costo orario. Cioe’, la summa delle spese di un mese divisa per le ore lavorative del mese e’ uguale a tot. Se guadagnate piu’ di tot, ovviamente e’ ok. Se no, il direttore di banca inizia a chiamarvi per via del fido.

Morale della storia: se vi aumentano lo stipendio del 10% ma vi chiedono il 20% del vostro tempo in piu’, non avete mai avuto alcun aumento di stipendio, bensi’ una diminuzione. Il vostro reddito e’ aumentato, ma la vostra paga E’ DIMINUITA. Non ve ne accorgete perche’ le spese strutturali le paga l’azienda. Quando avete un vostro conto, e i costi del telefono aumentano del 20% perche’ lo usate per lavorare di piu’, i costi di luce e riscaldamento aumentano del 20% perche’ lavorate il 20% in piu’, la quantita’ di materiale lavorato aumenta del 20% perche’ ne lavorate il 20% in piu’, e’ ovvio che se non guadagnate ALMENO il 20% in piu’ allora siete morti.

Quello che nessuno fa, cioe’, e’ di calcolare la paga oraria locale, e chiedersi se per caso stia venendo pagato di meno oppure di piu’.

Perche’ il lavoro, in ultima analisi, e’ una transazione economica. Tu mi dai tot, io ti faccio la tal cosa in tale quantita’. Se vuoi piu’ quantita’, paghi piu’ soldi. Adesso. Non domani. Non forse. Io comincio adesso, tu cominci adesso.

Uno degli errori che portano tante famiglie apparentemente borghesi a mangiare caffelatte alla sera per mancanza di soldi (nonostante stipendi tutto sommato accettabili) e’ proprio quello di non capire come si ragiona. Se il bilancio della singola persona , diciamo un dipendente in carriera, puo’ “nascondere” il problema del costo orario, il bilancio familiare e’ ESATTAMENTE come un bilancio aziendale.

Faccio un esempio stupido: mi e’ capitato, subito dopo il botto della new economy, di essere investito da un periodo di magra , e la cosa che feci fu semplicemente prendermi un mese di ferie, cioe’ di chiusura. Azzerando gli ordinativi (cioe’ le spese), le utenze, rimanendo solo con un affitto da pagare, e rimanendo a casa mia. Esistono cioe’ condizioni nelle quali un disoccupato puo’ diventare conveniente rispetto ad un lavoratore, ovvero quelle ove il lavoro richiede uno sforzo economico che poi non viene ricompensato.

Ci sono famiglie, in questo paese, che troverebbero sollievo se andassero al mercato a comprare due tute da ginnastica da indossare, mettessero l’auto in garage per un mese spostando di un mese la rata dell’assicurazione, spegnessero i cellulari, saltassero il parrucchiere, mangiassero solo in casa, ritirassero eventuali figli dall’asilo scampando alla retta, e si prendessero un mese di aspettativa al lavoro. Se hanno negozi, ancora meglio. Vivendo al minimo del consumo, probabilmente migliorerebbero la propria condizione economica anziche’ peggiorarla, semplicemente NON lavorando.

Questo paradosso e’ il succo della fregatura del miraggio della carriera aziendale. Per prima cosa perche’ la carriera aziendale, come ho detto, e’ un miraggio con la sola eccezione di casi rarissimi. Si tratta di una cosa che bisogna pianificare E NON LASCIAR PIANIFICARE AD ALTRI, che avviene solo cambiando spesso azienda, entrando sul mercato nel punto giusto, al momento giusto, eccetera.

Il secondo punto che frega e’ che pochissimi hanno l’abitudine di ragionare a partita doppia: se la gente calcolasse il costo orario della propria vita, specialmente su scala familiare, potrebbe facilmente distinguere una vera promozione (quando il reddito orario cresce) da una promozione finta (quando cresce di X% ma il tempo dedicato cresce di una percentuale maggiore) .

Qundi la prima cosa da imparare e’ che , per la stragrande maggioranza di noi, la promessa di carriera sia una palla bella e buona, perche’ quel misero passettino che faremo verra’ annullato da un impegno temporale maggiore, e il maggiore reddito che ne deriva verra’ divorato dalle spese che servono a lavorare di piu’. Una fregatura completa.

Perche’, direte voi, funziona?

Questo e’ dovuto ad un fattore educativo introdotto artificialmente: la convinzione che il lavoro sia una cosa bella, che chi lavora di piu’ sia piu’ figo, che lavorare sia una cosa bella e ammirevole.

Vi sembra naturale? Le cose non stanno proprio cosi’:

Andando in ordine cronologico, per tutta l’antichita’ il lavoro e’ stato riservato a servi e schiavi. Il solo fatto di lavorare, cioe’, era equivalente all’appartenenza ad un ordine inferiore di umanita’. La cosa era cosi’ marcata che nella Bibbia il lavoro e’ dipinto come punizione divina per la disobbedienza (7), e nei dialoghi di Platone Socrate mostra qualcosa di rivoluzionario: persino ad uno schiavo, cioe’ ad uno che lavora (bleah!) e’ possibile far capire che la diagonale di un quadrato di lato “uno” sia uguale alla radice quadrata di due con una semplice dimostrazione.(8)

Insomma, persino a questa scimmia e’ permesso capire la matematica. Morale: e’ una scimmia. Andando avanti nel tempo si passa al sistema romano, ove lo schiavo era tale anche nello spirito (tantevvero che rimaneva tale , seguendo il padrone, anche nell´aldila´) , e continuiamo per tutto il periodo medioevale, sino al socialismo, che intende emancipare le masse proletarie dalla maledizione piu’ grande, cioe’ il troppo lavoro: il primo sloagan socialista e’ “otto ore di lavoro, otto di riposo, otto di svago”. Fino a questo periodo, il segno distintivo della nobilta’ non era il lavoro , ma l’ ozio. E questo perche’ era possibile costringere, con la forza, altra gente a dare il massimo, anche la vita, al proprio lavoro.

Ad un certo punto arrivano le conquiste socialiste e le aziende notano una cosa: che la produttivita’ si e’ abbassata, perche’ la gente lavora, si’, produce, si’, ma non e’ disposta a dare il 100% della vita al lavoro. Essi ricordano che il lavoro sia la maledizione dei padri, sanno che sia un male necessario, e una volta avuta una paga sufficiente non fanno niente di piu’ del minimo.

E non e’ possibile (non esistono ancora le delocalizzazioni) costringerli.

Cosa fa una classe dirigente che non puo’ costringere? Ovviamente, puo’ convincere.

Dagli anni ‘80 in poi, inizia una forsennata propaganda che inizia a dipingere la persona che lavora troppo come un fichissimo, un vincente, uno che e’ arrivato al top. Piu’ lavoro significa piu’ figo. “Sono molto occupato” non e’ piu’ lequivalente di “sono uno schiavo” ma di “sono un nobile”: buffissimo, perche’ i nobili hanno sempre fatto vanto di NON lavorare. Guardate l’immagine sotto:

[immagine irrecuperabile]

E’ l’immagine del Re Sole. Le delicate calze bianche , cosi’ facili a sporcarsi se il re lavorasse, i tacchi rossi  cosi´alti (oggi quella sarebbe l’immagine di un travestito) e quindi inadatti al lavoro, la capigliatura che rende impossibile sudare o avere a che fare con attrezzi o lavoro manuale, la carnagione bianca (che esclude lavori all’aperto come l’agricoltura), i vestiti, ogni cosa di questo quadro ci dice la medesima cosa: egli NON lavora. E non lavora perche’ e’ un nobile.

Solo con ‘era moderna, quando non e’ piu’ possibile costringer ela gente a spremersi come limoni per il lavoro, arriva la propaganda che vuole il lavoro come una cosa fighissima. Non piu’ maledizione biblica, non piu’ condizione di inferiorita’ sociale o culturale (quando non biologica), ma una cosa bellissima, da esibire. Uno status-symbol.

Ebbene, per quanto vi abbiano convinto, il lavoro rimane un male necessario. E non vi realizzera’.

Ed e’ qui che si chiude la trappola: quando , da giovani (dunque sentite meno lo stress, vi sentite fighi, etc etc) vi fanno fare i primi passettini pseudo-avanti, dandovi un biglietto da visita fichissimo,  una “power suite” che e’ solo un vestito, un cellulare aziendale costoso (che a loro costa un euro al mese,  e viene pure scaricato, ma voi lo percepite come 800 euro), vi sentirete felici, ma stranamente insoddisfatti.

Ammesso che abbiate avuto quanto promesso (cosa che non e’, perche’ la vera carriera dentro le aziende non esiste, c’e’ solo la sua illusione) , vi sentite infelici. Questo e’ dovuto alla vostra assunzione sbagliata: credevate che il lavoro vi avrebbe realizzati, ma non e’ cosi’. Ovviamente, ci credete ancora, e quindi crederete alla seconda palla che arriva: se non sei ancora soddisfatto e’ perche’ non lavori abbastanza, cioe’ non sei abbastanza figo.

Se cadete in questo loop, succedera’ che lavorerete di piu’, perdendo parti sempre piu’ importanti della vostra esistenza (affetti, amici, tempo libero, svago, cultura) per raggiungere gli obiettivi aziendali. Poiche’ gli obiettivi aziendali rappresentano il 100% del vostro tempo ma NON vi danno il 100% dei vostri bisogni (non esiste la famiglia aziendale, non esiste l’affetto aziendale, non esiste l’amico aziendale, non esiste il cane aziendale, l’hobby aziendale, il vostro giardino aziendale, etc etc)  . In pratica avete solo 24 ore al giorno, date tutte quelle che avete per gli obiettivi aziendali, perdendo cosi’ di vista quelli personali.

Poiche’ fallite gli obiettivi personali, vi sentirete poco realizzati. Ma loro vi risponderanno che questo avviene perche’ non avete raggiunto abbastanza obiettivi aziendali. E cosi’, vi spingeranno a fare di piu’. Se ci cascate, vi ritroverete a 50 anni con figli che non conoscete, una moglie che e’ tutto tranne che la vostra compagna, una casa della quale non vi siete mai goduti altro che il letto e il tavolo ove mangiate e il bagno, uno o due divorzi, tutti gli amici che sono solo colleghi, l’ultimo libro letto che risale a 23 anni prima , o ad un romanzo iniziato in qualche spiaggia e mai finito.

Siete fottuti. E questi sono i fortunati.

Se invece siete sfortunati, vi troverete senza neanche aver avuto gli avanzamenti (tipico delle donne italiane, si sbattono come pazze senza rendersi conto che se le donne in Italia fanno poca carriera, SIGNIFICA CHE NON DEVONO ACCETTARE PROMESSE DI CARRIERA IN CAMBIO DELL’ IMPEGNO: pochi, maledetti e subito), vi troverete a lavorare come negri per un miraggio che e’ all’orizzone e, come tutti gli orizzonti, si allontana di un passo ogni volta che fate un passo avanti. “Lo so che avevamo un accordo, ma adesso non e’ periodo”, “sono tempi duri”, “e’ la politica, purtroppo abbiamo dovuto scegliere qualcun altro”, eccetera.

In generale vi consiglio un VERO periodo da freelance, sul mercato, prima di intraprendere qualsiasi cosa. Vi insegnera’ alcune cose:

  • Le spese sono continue. E sono un fatto. Le ambizioni sono soltanto opinioni, cioe’ zero.
  • State lavorando per realizzare obiettivi economici. Niente come la lealta’, la dedizione, tutte cose che i soldati fanno per la bandiera, e’ veramente richiesto.
  • Pochi, maledetti e subito. Col tempo passano le spese. Quindi, non si anticipa nulla: se la mia azienda vuole di piu’ , paga di piu’.Il rapporto di lavoro e’ come qualsiasi rapporto cliente-fornitore: chi vuole di piu’ paghera’ di piu’. Oppure chiede uno sconto, ma mi deve offrire qualcosa in cambio. Adesso. Non domani e non forse.
  • Non esistono contratti col condizionale. Non esiste che un mio cliente mi dica “dammi la tal cosa, e FORSE, SE POSSIBILE, ti daro’ tale cifra”. No, se mi chiedi la tal cosa, ed e’ un fatto che io te l’abbia fornita, allora TU mi paghi, ed e’ un fatto che tu mi pagherai. Se io ti do’ tot e tot, tu non mi dici che “la politica ci costringe a mandare avanti lui”, “non e’ periodo”, etc: io ti ho consegnato il lavoro, TU paghi. Punto.

Il concetto e’ che tutta la propaganda su “il lavoro, che figata” sta portando la gente a lavorare di piu’ per meno. Quello che dovete iniziare a fare, dopo aver avuto una promozione, e’ prendere in mano i vostri conti e verificare che il nuovo ruolo non vi abbia portato piu’ spese. Calcolate la somma delle vostre spese personali, cioe’ delle uscite. TUTTE. Dividetela per il numero di ore lavorate. Questo e’ il vostro costo orario. Il minimo che dovete guadagnare, l’ora, per non peggiorare la vostra condizione economica.

Adesso calcolate la stessa cosa PRIMA della promozione. Se il vostro guadagno orario , vista la nuova mole di lavoro in termini orari, e’ cresciuta, allora e’ stata una promozione. Poi calcolate il rapporto tra il nuovo regime di spese e il nuovo reddito.  Se e’ peggiorato, il vostro reddito NON e’ MAI cresciuto.

E allora, decidete il da farsi. Come ho gia’ detto, con un regime di spese ridottissimo e uno stipendio molto inferiore si puo’ vivere anche molto meglio di quando si ha stipendio alto ma un regime di spese folle. Dovete PROGETTARE in qualche modo la vostra vita, e l’unico modo di progettare una vita economica e’ usare la partita doppia. L’unico modo di sapere se un’offerta di lavoro sia allettante, per sapere se state vivendo meglio o peggio, e’ quella di prendere le vostre ore di attivita’ e confrontarle con le spese e con le entrate.

E specialmente, non credete MAI alle promesse di carriera dell’azienda: l’unico modo di far carriera e’ cambiare azienda, cioe’ mettersi sul mercato ad un entry-point piu’ alto. Chi lavora per la carriera e’ un fesso, sic et simpliciter. Verra’ spremuto i primi anni, quando sara’ insoddisfatto gli racconteranno che trovera’ soddisfazione facendosi spremere ancora di piu’ , e cadra’ in un loop che lo portera’ a dare all’azienda tutte le ore-uomo della sua esistenza (che sono una quantita’ finita e non moltiplicabile) raggiungendo tutti gli obiettivi aziendali e mancando a tutti quelli personali.

Ah, ecco: chiedetevi anche quali siano i vostri obiettivi personali. Se coincidono con quelli aziendali, beh…. vi hanno cucinato il cervello per benino.

Sarete tentati di dirmi che tutto dipende dal tuo potere di trattativa: vi faccio notare pero’ che il downgrade del proprio lavoro e’ un’operazione molto piu’ facile rispetto alla carriera. Arrivare con competenze ed esperienze enormi e trovare un lavoro “inferiore” in reddito ma con un reigime di spese che lo rende vantaggioso non e’ cosi’ difficile. Tempo fa osservavo degli operai metalmeccanici: questi arrivavano al lavoro in autobus, toglievano vestiti e scarpe e mettevano una tuta, mangiavano nella mensa aziendale: al loro “controllore dei tempi e metodi di lavorazione”, per uno stipendio di poco superiore, era chiesto di rimanere in abiti borghesi (consumando piu’ vestiti), di spostarsi tra le filiali (=arrivare in auto), eccetera. A quel patetico caporale sarebbe convenuto, in pratica, tornare a fare l’operaio, e se cambiasse azienda offrendosi come operaio ci guadagnerebbe. Ecco il concetto.

Tutto qui.

Uriel

(1) In alcune multinazionali anglosassoni si discute il primo scatto di carriera al momento del colloquio. La fregatura e’ che conta piu’ l’entry point che la possibilita’ di avanzare in seguito. Una persona , dentro una singola azienda, puo’ avanzare di uno-due “gradini”, tranne nel caso di aziende che crescono vertiginosamente, o di aziende in preda al caos. Sulle prime, se ne trovate una siete fortunati. Nelle seconde, la carriera non vi dara’ molto. Tutti gli altri, non si illudano: la carriera dentro le aziende e’ una leggenda: quando vogliono un manager comprano un manager sul mercato dei manager, non stanno a trasformare un tecnico in un manager. Trasformare un tecnico in un manager e’ come alimentare un’automobile a Chanel per risparmiare sulla benzina: conviene comprare benzina.

(2) La cosa rende possibili anche i loop: ho visto gente uscire da un’azienda che erano poco piu’ di un tecnico, vendersi quasi a PM, poi PM, e alla fine ritornare nell’azienda iniziale con una posizione 4 gradini superiore. Ma ancora una volta, parliamo della posizione al momento dell’assunzione.

(3) La laurea in matematica e spesso quella in fisica, stranamente, sono abbastanza versatili. Per qualche motivo che non conosco sia ai matematici che spesso ai fisici e’ possibile mettersi sul mercato sia come tecnici che come manager. Questo e’ strano, perche’ per come la vedo io la cultura della matematica e’ molto piu’ tecnica rispetot a quella dell’ingegneria, che personalmente trovo una cultura quasi notarile, una specie di burocrazia della scienza, cioe’ la semplice scelta di soluzioni note a problemi gia’ presenti nella bibliografia scientifica.

(4) ne ho avuta una, usata. 900CC , un cambio che sembrava andare sulle rotaie. Era tutta meccanica, qualsiasi fabbro poteva ripararla e le parti elettriche erano comprensibilissime a chiunque smanettasse con Nuova Elettronica. Un mito. Non si spaccava mai.

(5) La mia versione del Visconte Cobram aveva la mania del rafting. Quando ha saputo che ero stato in Marina ha iniziato a salutarmi nei corridoi gridando “bomaaaa, bomaaaaa!”. Nave Audace  non ha mai avuto vele, e neanche il Garibaldi: ma vai a spiegare ad uno di Milano il concetto di “turbina a gasolio da 85.000 HP”, e che io stavo in A/S, cioe’ ai siluri. Appena gli avessi detto che esistono motori da 85.000 HP, quello avrebbe chiamato la Mercedes chiedendo un’automobile con 90.000 HP. Che non e’ mica un pinco pallo qualsiasi lui, e non puo’ essere da meno di un marinaio qualsiasi.

(6) Ebbene si’, er afichissimo a quell’epoca possedere un Apple Newton. Io ho ancora (funzionante) un Newton 2000 con espansione da 10 Mb. Incredibile quello che facevano con un processore da 40 Mhz. Costava 1.400.000 lire, all’epoca. Aspetto che valg aun botto per venderlo.

(7)Insieme al dolore del parto. Sono curioso di vedere se riusciranno a spacciare alle donne che, come il lavoro, anche soffrire di parto sia un diritto, una cosa bella, ammirevole, che vai volentieri e di cui ti vanti.

(8) Si tratta di una dimostrazione “greca”,  cioe’ basata sulla geometria. Si uniscano tra loro quattro quadrati di lato unitario, formando un quadrato piu’ grande di lato due, che ha ovviamente un’area di quattro unita’ quadre.  Si traccino le diagonali di ogni singolo quadrato unitario, in modo da formare un rombo simmetrico dentro il quadrato di lato due. Ammetterete che la superficie di tale rombo, essendo la somma delle meta’ dei quadrati unitari, sia anche la meta’ del quadrato di lato due. Dunque, si tratta di un quadrato che ha superficie “due”, e dunque il suo lato e’ la radice di due. Ma il suo lato e’ la diagonale del quadrato unitario di lato uno. Dunque, il teorema e’ dimostrato: la diagonale di un quadrato di lato “uno” e’ il lato di un quadrato di area “due”, ergo la radice di due.

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