Arte su internet?

Arte su internet?

Mi capita, di tanto in tanto, che qualche conoscente dall’interesse artistico mi faccia la domanda: “qual’e’ la maniera migliore per far conoscere la mia arte usando internet?”, e la mia deludente risposta e’ molto semplice: su internet l’ Arte non esiste come tale. O meglio: non esiste proprio perche’ non appartiene a nessun modello economico.

Se studiamo un pochino la storia dell’arte come fenomeno economico, infatti scopriamo che c’e’ una prima fase, detta “classica”, che si protrae circa fino al rinascimento/barocco, nella quale l’arte ha un solo, semplice scopo economico: aumentare il valore immobiliare.

Non si tratta tanto del fenomeno del mecenatismo: e possiamo osservare facilmente che per tutto questo periodo l’arte si concentra completamente nelle zone ricche, nelle case dei ricchi, nelle terre dei ricchi, nelle mani dei ricchi. Non si trova neppure un debole accenno di arte, sia pure a scopi amatoriali, dentro le case dei meno ricchi.

Il motivo e’ semplice: il mecenatismo aveva uno scopo economico. Aumentare il valore immobiliare di un palazzo, di un quartiere, di una citta’. Si trattava, cioe’, di un settore collaterale di quello che oggi chiameremmo “real estate”.

Peraltro, l’arte era concepita e assolutamente ottimizzata per questo: ai tempi di Michelangelo si potevano ben fare colori di tipo minerale con una degradazione molto lenta, ma si preferiva usare colori a base organica, come il tuorlo d’uovo e altre sostanze deperibili: il motivo era “obsolescenza pianificata”, ovvero per tenere l’immobile al suo valore occorreva manutenzione, e per assicurarsi che la manutenzione fosse necessaria su usava l’arte come marcatore: senza manutenzione, in pochi decenni qualsiasi dipinto o statua si sarebbero degradati.

Era sicuramente possibile, per dirne una, rivestire di vetro una statua di marmo. Sarebbe diventata opaca, certo, ma il livello di protezione contro le intemperie sarebbe cresciuto enormemente.

Ma il problema era che, trattandosi di valore dell’edificio, del quartiere o della citta’, esso doveva andare di pari passo col valore dell’arte in esso contenuta. Quindi, un palazzo in cattivo stato di manutenzione non poteva usare un affresco per nascondere il proprio stato, anzi: l’affresco avrebbe tradito lo stato di manutenzione degradando alla stessa velocita’ dell’edificio.

Sarebbe anche stato possibile, che so io, rivestire d’oro la cappella sistina. Ma l’oro poteva, innanzitutto, essere trafugato (ovvero separato dall’edificio, come successe molte volte in passato durante i saccheggi), mentre il dipinto vi era legato. Inoltre, se l’oro aveva un valore legato alla sua scarsita’ , il dipinto era unico. La scarsita’ era ancora superiore.

Questo modo di fare arte allo scopo di aumentare di valore gli oggetti, gli edifici, il mobilio, i quartieri, le citta’, duro’ fin circa il 1700, cioe’ il periodo mercantile. In precedenza, infatti, chi volesse accrescere il valore del proprio palazzo doveva chiedersi quanto bravo fosse un artista. Con la creazione delle entita’ statali, presero il controllo del mercato le accademie nazionali. La piu’ nota era quella francese: se uscivate da li’ o venivate raccomandati da loro, eravate il tipo di artista che avrebbero usato per abbellire chiese, palazzi, ed altre proprieta’ immobiliari.

D’altro canto, questo dava ancora piu’ valore alle opere, in quanto le si poteva trovare SOLO nelle case di persone straricche, di nobili, nelle chiese, e in pochissimi altri luoghi come le piazze di alcune citta’ ricchissime.

Bene. Perche’ ad un certo punto, nel 1700, arriva la borghesia e apre il mercato.

Arriva la galleria d’arte. La galleria d’arte e’ un PRIVATO che organizza una mostra, dove un pittore espone le sue opere da PRIVATO, e la raccomandazione dell’Accademia viene sostituita dal gradimento del mercato. I quadri vengono venduti, parte del ricavato va al padrone della galleria, parte va all’autore.

Ma qui il modello di business cambia enormemente: cosa da’ valore ad una galleria d’arte? Siccome il riccone borghese di arte non capisce un cazzo, capisce pero’ un concetto di sintesi molto banale. Il Brand. In questo periodo, e da questo periodo in poi, prende valore il nome dell’autore. Sia chiaro, qualsiasi stronzo con due anni di addestramento poteva dipingere come Monet, ma Monet e’ un brand. E’ conosciuto. Si dice che e’ un genio. Tutti parlano di Monet. Tutti vogliono Monet. Tutti vanno alle gallerie di Monet. Tutte le gallerie vogliono Monet.

Arte su internet?
Poco tempo prima, se aveste provato a farvi pagare per un affresco del genere, vi avrebbero appesi per le palle in qualche piazza. E il vostro precettore all’Accademia ne sarebbe uscito sputtanato a vita.

Monet fa cagare, dipinge come un cane in astinenza, ma una volta che l’autore ha fatto parlare di se’, il meccanismo commerciale che bilancia la scarsita’ di Monet (e’ un tizio solo) con la sua domanda (almeno per curiosita’, tutti vogliono vedere i suoi dipinti) . E quando l’arte cambia modello di business, arriva il branding.

Questo modello di business continua a crescere e strutturarsi, sino a quando basta che

  • l’autore inventi qualcosa di “nuovo” o faccia scandalo (es: dipinge con la sua stessa merda), in modo che si parli di lui.
  • venga invitato da gallerie che ospitano solo nomi famosi o controversi

e la sua arte assume “valore”. Non deve piu’ abbellire edifici, non deve piu’ produrre valore per citta’, chiese o quartieri. Tutto e’ in mano al mercato, ove la scarsita’ di opere originali di un preciso autore, combinata con la domanda, produce un prezzo, (e chi se ne fotte del valore, tanto le ville le disegnano i geometri e fanno cagare di default).

Si arriva quindi a questo:

Arte su internet?

Non c’e’ alcuna “arte”, non serve alcun talento, non e’ richiesto saper fare nulla di particolare per produrre quest’ “opera”. Il suo valore e’ dovuto SOLO a due fattori: il brand “Warhol” e il brand “Marylin”. Il resto lo fa il mercato.

Gia’ in questa fase non esiste piu’ “arte”, perche’ non c’e’ piu’ alcun valore. C’e’ solo branding: la notorieta’ dell’autore. Non potete usare questa roba per dare valore ad un edificio, non vi e’ alcuna scarsita’ perche’ qualsiasi cretino puo’ rifare la stessa cosa. La bellezza non esiste, e non deve nemmeno dare piacere all’occhio umano.

Il modello di business , infatti, e’ completamente speculativo: qualsiasi cosa fatta da un tizio famoso e’ famosa, dunque sale il prezzo. Fine. Speculazione grafica.

Arte su internet?

Poi arriva Internet.


Internet produce un modello economico che se ne infischia altamente del brand , e che non ha alcuna cura del rapporto tra scarsita’ e domanda: qualsiasi cosa digitale puo’ venir replicata. Nel mondo di internet, specialmente dopo il consolidamento degli algoritmi commerciali per l’advertisement, e a volerla dire tutta, degli autori ce ne fottiamo un tantino.

Ma qual’e’ il modello economico? Beh, e’ quello ricalcato dagli algoritmi che danno valore (e “monetizzano” l’arte ) a seconda di alcuni criteri.

  • le impression
  • la viralita’
  • la controversia
  • l’engagement

questi sono tutti criteri che non erano assolutamente presenti prima. Siccome l’arte NON serviva a fare pubblicita’, nessuno aveva mai davvero calcolato queste cose.

Il nuovo modello commerciale, quindi, e’ completamente appiattito sulla misura dell’audience e di alcuni suoi derivati, come l’engagement o la viralita’.

In questa situazione, NON SOLO non esiste piu’ l’arte (intesa come produzione di un valore estetico) ma non esiste nemmeno piu’ l’artista: esiste solo “il contenuto”.

Internet non e’ adatta as ospitare arte perche’ dal punto di vista dell’algoritmo di advertisement l’arte non esiste. Esiste SOLO “il contenuto”.

E con questo, l’artista diventa “content creator”:

Arte su internet?
Arte su internet?
Arte su internet?

Come potete vedere, nessuno parla nemmeno piu’ di “arte” , tantomeno di “opere”. Si tratta di “contenuti”, e la professione non e’ neppure quella di artista: al limite e’ “modella”. Ma non oltre.

Che cosa succede se mettete arte nel senso classico (un affresco o una statua) oppure arte nel senso mercantile (Monet, Van Gogh, ed altri) all’interno di Internet? Di certo non ve la sputa, ma noterete subito che non “monetizzate”. A parte il fatto che per produrre quel tipo di arte occorreva MOLTO piu’ tempo di quanto ne serva per fare questo:

Arte su internet?
A quanto pare e’ biologicamente possibile.

quindi siete comunque poco “produttivi”, tutti gli altri parametri del vostro bellissimo affresco ne impediranno la monetizzazione.

Se siete “artisti” nel senso classico (cioe’ se siete Michelangelo) o se siete artisti del periodo mercantile (se siete dei Monet o dei Rodin, cioe’) , non avete la piu’ pallida chance di venire “monetizzati”, per la semplice ragione che quello che fate viene giudicato secondo i parametri del “contenuto”, che non comprendono ne’ il valore che il vostro contenuto potrebbe dare al mercato immobiliare, ne’ il valore del vostro brand: la signorina sopra si chiama Kim Manana, ma potrei mettere le sue foto pubbliche sul mio blog e un algoritmo di advertisement noterebbe subito che attira lettori. Quindi, alla fine, nemmeno il brand funziona: del resto, a quanti di voi frega qualcosa sapere che questa tizia si chiama Kim Manana?

Secondo i criteri economici del web commerciale, Mona Lisa vale MENO di questo:

Arte su internet?

Perche’ se andiamo a misurare tutti i KPI tipici del settore, questa signorina monetizza piu’ della Mona Lisa. E se pensate che io sia stato troppo volgare, ricordate che l’engagement non si misura con un segno. Significa che posso superare tutte le signorine di cui sopra, che a loro volta superano il David e Mona Lisa, semplicemente postando questo:

Arte su internet?

Questa immagine suscitera’ immediatamente sentimenti di tipo negativo o positivo, e il dibattito che ne uscira’ potrebbe tenere le persone impegnate per molto tempo. Ma questo, dal punto di vista ddella internet commerciale basata sull’advertisement, assegna a questa foto un valore ancora superiore. Se abbastanza persone entrano in un dibattito sul valore di questa foto, o di questa persona, sul concetto di “bimbo” ed altro, vale piu’ di Mona Lisa. E se poi ci andiamo a mettere liti furibonde sul femminismo, andiamo ancora oltre, perche’ il valore cresce ancora. Ripeto: cresce.

Come vedete, non sto affatto parlando del fatto che le persone apprezzino o meno l’arte o apprezzino piu’ o meno il “bello”: quando arrivarono le prime gallerie d’arte, nelle accademie si rideva degli autori esposti. Non erano certo i capolavori che uscivano dall’accademia classica.

E adesso che siamo abituati a considerare “arte” persone come Monet o Picasso, probabilmente ridiamo di questi “contenuti”.

Il che e’ normale in tempi di cambiamento, ma rimane il fatto che se dipingete quello che era “arte” nel periodo classico per voi NON c’e’ alcuno spazio su internet (forse su Etsy, dove diventerete “artigiani”?) , e anche se faceste arte nel senso commerciale del termine, siccome il branding non e’ davvero rilevante per un algoritmo di advertisement, nessuno vi monetizzerebbe solo perche’ avete inventato una forma di arte nuova, come l’impressionismo o il cubismo.

Insomma:

il problema non e’ che le persone su internet non capiscono l’arte : le stesse persone che sono su internet sono fuori, e vanno a visitare gli Uffizi. E non e’ nemmeno che non conoscano gli autori: le stesse persone che sono su internet poi menzionano Monet ogni giorno, tanto per darsi una posa.

E’ semplicemente il modello commerciale di internet, che consente un solo tipo di produzione, che e’ “il contenuto”.

Per internet, oggi, l’ “arte” semplicemente NON ESISTE. Esistono solo “contenuti”.


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