Ancora femminicidi. Eh, per forza.

Ancora femminicidi. Eh, per forza.

Ancora femminicidi. Eh, per forza.

Ci risiamo. Un nuovo picco di “emergenza femminicidi” sta travolgendo i giornali, e come al solito tutti quelli che ci scrivono  “profonde analisi” in realta’ sono personaggi che meriterebbero di essere rispediti alle elementari, per ripassare i concetti primitivi di logica e matematica.

Il disastro dei femminicidi e’ un disastro il cui ripetersi e’ conseguenza di due cose:

  • Mascolinita’ tossica.
  • Femminilita’ tossica, detta anche “femminismo intersezionista”.

Andiamo a vedere come si perpetua il fenomeno, semplicemente avendo cura di fare sempre e comunque la cosa piu’ inutile. Supponiamo, per esempio, di affrontare un altro fenomeno criminale qualsiasi usando la stessa logica.

Per rendere evidente l’errore, diciamo di voler combattere con lo stesso metodo il fenomeno delle rapine a mano armata.

Per prima cosa , constateremo che i rapinatori sono normalmente persone povere, o perlomeno non molto abbienti. Magari in difficolta’ economiche, e quindi ricadono nella categoria “poveri”.

Una volta stabilito che una rapina sia un atto di un povero contro un benestante nella stragrande maggioranza dei casi, abbiamo un problema di poveri che hanno, evidentemente, una “povertivita’ tossica”. Significa che anziche’ essere poveri ma onesti, sono poveri e criminosi.

A questo punto, bisogna risolvere il problema della “povertivita’ tossica” . E qual’e’ la soluzione? Ovviamente, cambiare la cultura dei poveri e rieducarli. Insomma, occorre insegnare ai poveri che non e’ giusto rapinare le persone piu’ abbienti. E’ una questione culturale.

Il modo di procedere vi sembra folle? Ecco, leggete qui:

http://archive.ph/ImJPC

Insomma, secondo Michela “Zweistein” Marzano, il problema e’ che non e’ chiaro a tutti (i maschi, beninteso) che “ammazzare donna = brutto”. E qui torniamo al discorso di cui parlavo sopra: abbiamo deciso che, siccome i rapinatori sono in gran parte piu’ poveri delle vittime, tutto risiede in una migliore educazione alla proprieta’ privata. Se educassimo tutti i poveri al fatto che la Proprieta’ Privata e’ inviolabile, e che il proprietario di qualcosa ha il diritto di disporne, allora non ci sarebbero piu’ rapine.

La cosa buffa e’ che se tolgo “femminicidio” e ci metto <reato a vostro piacere> , il procedimento si mostra SUBITO nella sua palese stupidita’. Il procedimento della femminista tossica e’:

  • Esaminiamo (male) i numeri di un reato.
  • Scopriamo a quale categoria generica appartengono i criminali.
  • Una volta incolpata la categoria, decidiamo una vasta campagna di rieducazione.

Se torniamo all’esempio della rapina affrontata allo stesso modo, e applichiamo questo metodo, finiamo col vedere per quale motivo queste logiche (applicate peraltro negli anni ’70 e primi ’80, e mai con successo) falliranno.

Nel nostro esempio, una volta che abbiamo notato come i rapinatori siano quasi sempre “poveri”, additare la categoria dei poveri ce li mettera’ tutti contro. Innanzitutto perche’ ci stiamo buttando dentro gente che non c’entra, ma anche perche’ stiamo invadendo l’ultimo spazio a loro rimasto, cioe’ la dignita’. In secondo luogo perche’ ci stiamo proponendo di entrare in OGNI loro spazio (e ne sono rimasti pochi), “correggere” il linguaggio sino al ridicolo, riscrivere la loro identita’ e definirne l’immaginario.

Certo, mi si dira’ che si sono fatte moltissime “campagne per la legalita’” prima d’ora. E sappiamo bene quanto abbiano funzionato. Cioe’ hanno fallito.

Allo stesso modo, se mettiamo le cose come “L’educazione del maschio”, tutto quello che otterremo sara’ un arrocco. Che e’ gia’ avvenuto. In secondo luogo, questo modo di procedere richiede che qualcuno, un’autorita’ educatrice, entri in OGNI spazio maschile a dire la sua, tirare linee rosse e decidere tutto, dalle fantasie erotiche al linguaggio. Un’invasione in piena regola.

L’approccio corretto sarebbe quello di cercare, anziche’ il nome di una classe di colpevoli, il contesto pericoloso. Come mai lo dico?

La prima piccola ricerca di questo tipo in Italia è stata realizzata da Arcilesbica Roma nel 2011 su un campione di 102 donne omosessuali nel Lazio: in più di un caso su cinque (20,6 per cento) l’intervistata ha ammesso di avere paura del ritorno a casa della propria partner. In caso di violenza, il 70,6 per cento delle donne intervistate ha detto che chiederebbe aiuto in prevalenza ad amici (29,4 per cento) e ad associazioni (14,7 per cento). La percentuale di donne che non hanno saputo indicare nessun soggetto a cui rivolgersi è del 32,4 per cento; 27 donne su 102 hanno invece risposto che non chiederebbero aiuto; il 76,5 per cento di loro non ha indicato alcun motivo per giustificare questa mancanza di richiesta; l’11,8 per cento ha indicato invece come motivo la riservatezza, il 5,9 per cento l’umiliazione e il disagio. https://www.ilpost.it/2016/04/20/violenza-domestica-coppie-gay/

La violenza domestica non e’ una questione legata ad un rapporto tra sessi. E sia chiaro, non e’ una situazione del tutto italiana: https://www.stonewall.org.uk/help-advice/criminal-law/domestic-violence

Se cercate un pochino in giro, scoprirete subito che anche le coppie gay hanno “qualche problemino” di violenza domestica , e se pensate solo a gay maschi, la cosa esiste anche nel mondo delle lesbiche.

Il problema non risiede quindi in “quale genere sessuale e’ colpevole”, ma in “quale genere di coppia ha questi problemi”.

Non esiste la mascolinita’ tossica. Esiste la coppia tossica.

Altrimenti i matrimoni gay sarebbero immuni dal fenomeno, e non ci sarebbero violenze domestiche, violenze e/o abusi tra donne. Cosa che non e’.

Ora, che cosa succede usando un approccio sbagliato? Succede quello che succedeva negli anni ’70, quando qualcuno si era messo in testa (a New York) che bastasse mandare a scuola i poveri negri per toglierli dal crimine. Il risultato fu un disastro cui Giuliani dovette rimediare con la dottrina della tolleranza zero.  (alla fine poi il crimine era correlato con la percentuale di figli indesiderati e di ragazze madri, ma e’ un discorso buffo). Ma non miglioro’ nemmeno le condizioni dei negri, che videro funzionari del governo entrare dentro ognuno dei loro spazi e correggere il loro slang, fare polizia del linguaggio, riscriverne l’identita’.

Anche ora, le femministe intersezioniste non si stanno chiedendo quale sia il contesto , stanno procedendo con la solita politica identitaria, e di conseguenza il fenomeno si accentua.

Il fenomeno del crimine nel Bronx ando’ avanti sino a quando una politica piu’ sensata di educazione sessuale distrusse l’origine del crimine, cioe’ diede alle donne piu’ povere la possibilita’ di non trovarsi ragazze madri divorziate a 19 anni, per poi trovarsi a crescere pargoli su pargoli in condizioni di indigenza. Era quello il contesto del crimine, e capire che fossero i negri o i poveri, e tentare di rieducarli, non serviva a nulla.

Allo stesso modo, sappiamo benissimo quale sia il contesto in cui nasce e si svolge tutto il problema: un concetto di coppia e di famiglia che non e’ piu’ adeguato.

Se esaminate bene i dati sugli abusi contro le donne, sfocianti in omicidio oppure no, scoprite quasi sempre che quasi sempre il contesto e’ una famiglia/divorzio caratterizzata dall’istituto del matrimonio, civile o religioso. Solo una piccola minoranza e’ relativa a convivenze :

Ora, continuare a cercare il colpevole dei femminicidi in una “mascolinita’ tossica” anziche’ ammettere che l’ “istituto della famiglia sta avendo qualche problemino”, a me sa di cecita’ colpevole.

Perche’ le statistiche esisono. E il colpevole e’ chiaro:

https://tg24.sky.it/cronaca/2018/11/21/violenza-sulle-donne-numeri-femminicidio.html

Non abbiamo un problema di “mascolinita’ tossica”, ma di “familiarita’ tossica”, nel senso che ad essere tossica e’ evidentemente la famiglia. E se anche esistesse una mascolinita’ tossica, il contesto ove essa diventa davvero pericolosa e’ la famiglia. Del resto, il fatto che abusi e violenze avvengano anche nelle coppie di lesbiche dovrebbe avere risposto alla domanda.

Del resto, il concetto di famiglia e’ cambiato pochissimo, cosi’ come e’ cambiata pochissimo la legislazione inerente, (ringraziate il Vaticano per questo), a fronte di un cambiamento drastico delle condizioni sociali.

Solo un secolo fa, una “famiglia” era un clan multigenerazionale che comprendeva , spesso in una sola cascina / fattoria /casa di campagna, una coppia di suoceri, i suoi discendendi maschi con le relative nuore, e una selva di nipoti.
Con la rivoluzione industriale nasce la societa’ attuale, con la sua idea moderna di coppia,  ove “famiglia”  e’ semplicemente una coppia che vive insieme.

E’ del tutto possibile che l’idea di famiglia come entita’ economica, la cosiddetta famiglia-azienda, ove ormai i rapporti sentimentali sono esauriti ma rimangono le ragioni economiche dell’unione, sia il luogo tossico ove si sviluppa la violenza. E a giudicare dai dati, e’ del tutto plausibile.

In particolare, spicca una cosa abbastanza strana:

Ancora femminicidi. Eh, per forza.

Si direbbe, cioe’, che la famiglia italiana abbia uno specifico problema: la coppia non sa come gestire i figli. E questo sembra avere una correlazione piuttosto alta con il numero di femminicidi.

Non esiste un problema di “mascolinita’ tossica”: tutto quello che si vede dai dati (potete spulciarne quanti ne volete) e’ che in centinaia di coppie la maternita’ causi tensioni violente.

Se si volesse aggredire davvero il problema, cioe’, la cosiddetta “incident area” e’ gia’ definita. Il femminicidio e’ un problema di coppie sposate nella stragrande maggioranza dei casi, e specialmente un problema di coppie con figli.

E tutti i discorsi di tipo “educhiamo il maschio” mi sanno molto di una comoda operazione di pulizia della coscienza.

A quanto pare, quello che e’ urgente e’:

  • Riformare la “famiglia tossica”, eliminando i fattori di tensione. Parliamo del 77% di prevalenza. Non puo’ essere un caso.
  • Riformare l’istituto della maternita’/paternita’, dal momento che si trattadel 67,2%, e non puo’ accadere per puro caso. Qui c’e’ una prevalenza chiara.

E quindi, forse occorrerebbe andare alla ricerca di un concetto di “familiarita’ tossica”? (tale ricerca non avverra’ mai: questo implicherebbe una condivisione delle responsabilita’ e delle colpe che il mondo femminile non e’ ancora culturalmente capace di affrontare).

La butto li’, eh. Tanto so che non cambia nulla.

Fonte: https://keinpfusch.net/come-continuare-a-far-ammazzare-donne-e-distribuire-medaglie-di-femminismo/

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